di Giovanni Catelli

Petrska
Oggi sono sceso, presto, a colazione.
Oltre le tendine, i vetri, l’aria, mi giungeva il soffio della strada, più vicino e vivo, nel mattino senza nome, nel freddo bianco, e lieve, di febbraio; ho vagato, nella sala vuota, verso un tavolo propizio, una saldezza di pareti, una difesa, ma fuggivano le cose all’apparenza, m’accecava quel chiarore di tovaglie, vacillavano le sedie nell’attesa, come a leste ore di partenza.
Ho poggiato il mio silenzio sulle voci, sulle vite già più esperte del mattino, che tracciavano progetti, nelle sale invisibili, nel cieco limbo del servizio, riscuotevano il mio peso dai minuti, si sporgevano alla luce senza inganno, pronunciavano le vie del giorno alla città: si muoveva, una corrente più leggera, una boscaglia mobile di nomi ed occasioni, una promessa d’ombre, di lontane piazze quiete, mai raggiunte dal tempo vincitore, già posate accanto, dal fiume fragoroso della vita, dal rumore ignoto, e cupo, che preme le sue acque.