di Daniele Ventre
Arno Schmidt, coscienza della letteratura tedesca del secondo dopoguerra; scrittore troppo poco noto da noi, se si pensa che Schmidt è in Germania quello che per noi sono un Gadda o un Fenoglio. La sua sorvegliata opera “Dalla vita di un fauno” (1953) appare ora, su iniziativa di Lavieri editore, tradotto per la prima volta in italiano, con piena aderenza al testo, da Domenico Pinto, che ne ha reso, senza sbavature o compromessi, il complesso impasto stilistico.
L’industria dello sterminio: l’incubo secondo Schmidt
Petrus Romanus
di Riccardo Ferrazzi
Quest’anno avrebbe dovuto esserci il censimento, ma non si farà. Non lo fanno più neanche in Francia, in Austria, in Spagna.
In Germania la Bild Zeitung ha scoperto che l’Istituto di Statistica aveva truccato le cifre e lo scandalo ha travolto maggioranza e opposizione. Girano voci incontrollabili: pare che i luterani siano scesi al 9% e che i cattolici siano in caduta verticale. La percentuale dei musulmani è top secret. Neanche la Bild è riuscita a saperla.
Una riflessione su “Baldus” (la rivista)
di Biagio Cepollaro
L’inizio di una riflessione sulla rivista Baldus (1990-1997)
Sta per uscire, ma darò notizie più precise, la digitalizzazione di tutti i numeri della rivista Baldus (1990-1997) a cura di Massimo Rizzante.
Per me è occasione di una riflessione che vuole superare le difficoltà incontrate fin qui a ripensare a quel periodo, in serenità, al di là di automanieriste e autocelebrative identificazioni ma anche al di là di una poco generosa severità rispetto a fasi precedenti del proprio lavoro. Quando si storicizza un’esperienza, si vede farlo ad altri, occorre equilibrio di giudizio. E vorrei provarci. Le seguenti riflessioni chiedono approfondimenti che spero di fare successivamente.
Formazione formatori

di Paolo Cacciolati
Ha detto di essere un consulente aziendale di successo, abbiamo chiacchierato, io parlo bene con i distintissimi, li accolgo in ambiente confortevole, li ascolto con massima riservatezza.
Sembrava giù di corda, era ormai passata l’era della felicità imprenditoriale, quando organizzava corsi per manger (così chiamava i suoi clienti), che tipo di corsi?, prendi l’enpowerment, mai sentito?, un successo garantito, serve a potenziare il sé dei manger, già solo il nome sa di potenza in atto, en-power-ment, suona bene no? Comunque si va per step, prima creare un sistema di valori, poi condividere una vision e infine indicare una strategia. Con l’enpowerment si risollevano battaglioni di dirigenti depressi. Ri-costruire i loro skills, ri-lanciare le performances, ri-motivarli sulla mission, ri-elaborare il self-assessment, ri-organizzare la position in organigramma, re-indirizzarli verso i target, re-investire i loro output in leadership.
Caro Scalfari
Pubblico con colpevole ritardo questa lettera aperta di Lucio Del Corso a Eugenio Scalfari in seguito al suo articolo del 19 novembre su “Repubblica”. Mi sembrava tuttora più che attuale.
Caro Scalfari,
quando ho letto il suo articolo di domenica, non ho potuto fare a meno di provare un certo stupore: non tanto per il tentativo di giustificare, con una serie di sapienti giri di parola dal sapore vagamente filosofico, un attacco a leader sindacali (lei citava Guglielmo Epifani, ma in piazza il 17 novembre c’erano anche rappresentanti di altre organizzazioni, oltre alla CGIL), al presidente della CRUI, ai direttori dei più importanti istituti di ricerca italiani, a un paio di Nobel che si sono schierati con loro, a centinaia di presidi di facoltà e di direttori di dipartimenti inviperiti, e a migliaia di ricercatori strutturati e a tempo, per tacer delle centinaia di migliaia di precari sempre più spremuti e in bolletta, che erano scesi in piazza prima di loro: tutti accomunati, nel suo sermone, dalla spiacevole tendenza a valutare il proprio particulare più della casa comune democratica in cui pure tutti viviamo.
Mare Padanum
Venerdì 1° Dicembre 2006 alle ore 17.30
Auditorium della Fondazione di Piacenza e Vigevano, via S.Eufemia, 12 – Piacenza
presentazione di Mare Padanum (Lavieri Editore) nuovo libro di racconti di Maurizio Rossi
Terra! Felice Piemontese

LE AFASIE DEL SIGNOR P.
di
Felice Piemontese
Il signor P. si è svegliato, una volta tanto, di buon umore. Un importante editore americano gli ha infatti chiesto un racconto da pubblicare nell’antologia che un noto critico, professore ad Harvard, sta preparando per il prossimo anno. La controllata euforia del signor P. è giustificata: lui si guadagna la vita, infatti, lavorando come impiegato (del livello più basso) in una società di navigazione, ma la sua passione è sempre stata la letteratura, e ha pubblicato alcuni libri che hanno anche suscitato un certo interesse nella critica, vendendo però poche centinaia di copie. Per questo il signor P. non sa bene se è giusto che si definisca uno scrittore – pochi in effetti lo considerano tale – o un qualsiasi impiegato del quale, nel migliore dei casi, si giudicano con una certa indulgenza le bizzarrie, in nome appunto della letteratura.
Antropodicea
di Christian Raimo
Com’è fatto l’inverno? In che modo le foglie alla fine cadono?
Da che parte scorre il sangue? Quand’è che hai sbagliato a cadere?
Dovevi dormire a lungo e non l’hai fatto?
Anonimato e responsabilità
di Bruce Schneier, traduzione di Communcation Valley
In un recente articolo, Kevin Kelly mette in guardia sui pericoli dell’anonimato. Va bene a piccole dosi, egli ammette, ma quando è troppo diventa un problema: “In ogni sistema da me analizzato, dove l’anonimato diviene comune, il sistema finisce col fallire. La recente macchia sull’onore di Wikipedia è generata dall’estrema facilità con cui dichiarazioni anonime possono essere inserite in uno strumento ad altissima visibilità pubblica. Le comunità infettate dall’anonimato finiscono con il collassare oppure con il mutare l’anonimato in pseudo-anonimato, come su eBay, dove si ha un’identità tracciabile dietro a un nickname inventato”.
25 Novembre – Giornata Mondiale contro la violenza sulle donne
In base ad un agghiacciante calcolo statistico diffuso anni fa da Amnesty International, ogni minuto e mezzo un essere umano appartenente al genere femminile viene sottoposto a violenza. Bambine, adolescenti, ragazze e anziane. Generazioni di donne accomunate dall’essere possibili oggetto di soprusi da parte dei compagni di vita, amici, colleghi e in parte minore da sconosciuti. Le statistiche annuali con i dati delle violenze sulle donne non cambiano molto. Anzi, la sensazione che molto sia ancora sottoposto a silenzi omertosi o dettati da pudori sociali è forte e presente. Una volta all’anno, il 25 novembre, si esce dal silenzio per ricordare come esista ancora l’idea di una presunta colpa da scontare, come l’autodeterminazione di corpi, esistenze e decisioni vitali siano ancora definite oggetto di aggressioni maschili, di pressioni sociali, di anatemi religiosi. (MLV)
Vita da prete. 1# – una cosa ridicola
di Fabrizio Centofanti
Sembra facile alzare un prete. Con queste sedie di adesso, piene di sporgenze, diventa tutta una questione di gambe. Movimenti precisi, una danza che distribuisce il peso in proporzioni perfette, altrimenti addio colonna vertebrale. Mi sembra impossibile sollevare questa mole senza soccombere, rimanendone illeso. L’istante in cui il corpo giace finalmente sul letto è un record continuamente eguagliato e completamente inutile (siamo servi inutili, ci viene suggerito: e molti hanno problemi con questa semplice manifestazione di buon senso).
il Contagio
di Marco Rovelli
Si trattava, per me, di iniziare. Si trattava, allora, di comprendere come iniziare. Come inaugurare questo mio ingresso nella tribù indiana. E ho ripensato a uno scritto “a fondo perduto” di qualche tempo fa, una meditazione sulla “lingua della sovranità”. In uno di quei paragrafi tentavo di articolare la forma dell’amicizia. Così ho deciso di “iniziare” (ma se l’Origine è ovunque, questo non è un “vero” inizio) con questa “esposizione” (esposizione di una forma, di un gesto: il gesto dell’amicizia, il contagio). Se nazione indiana ha da essere, non può che essere questo. Contagio, amicizia.
Nell’undicesimo paragrafo del Trattato Terzo del Convivio, Dante richiama proprio la descrizione dell’amicizia aristotelica per determinare i caratteri della filosofia. Filosofia e amicizia condividono la medesima struttura.
E’ arrivato L’accalappiacani
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Ricevo da Paolo Nori la notizia della nascita di una nuova rivista. Si chiama L’accalappiacani, è un “settemestrale di letteratura e arte” ed è pubblicata da DeriveApprodi. L’accalappiacani è fatta al cinema Cristallo di Reggio Emilia, in via Ferrari Bonini 4, in collaborazione con l’Arci locale. Quello che è uscito è il numero 0.0 ed è stato preparato da Daniele Benati, Ugo Cornia, Andrea Lucatelli, Paolo Morelli e Paolo Nori. Il numero 1.0 uscirà appunto tra circa sette mesi ma non è escluso che nel frattempo escano dei numeri 0.1, 0.2 eccetera. Dal numero 1.0 in poi L’accalappiacani sarà reperibile nelle librerie, prima di allora può essere richiesto direttamente a DeriveApprodi.
Quello che segue è il pezzo che apre il numero 0.0, è stato scritto da Paolo Colagrande e si intitola Non possiamo non dirci cani. Vale in qualche modo da premessa all’intero progetto.
A Paolo Nori e a tutta la redazione dell’Accalappiacani un in bocca al lupo.
O, meglio, al cane.
L’ultimo guappo
di Angelo Petrella
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L’immagine delle massime autorità cittadine e regionali che presenziano solennemente ai funerali di Mario Merola sono il simbolo del mancato rinnovamento di una classe dirigente. Ciò che deve destare preoccupazione, a mio avviso, non è tanto la battuta del sindaco Iervolino – in realtà ben riuscita e politicamente sagace – a proposito della “guapparia”, ma piuttosto l’apprezzamento della sceneggiata meroliana e del suo patrimonio culturale. Un patrimonio che culmina nel mito stantio e logoro di una Napoli “pizza e mandolino”, fondata su valori conservatori: la famiglia come unico universo di relazioni concepibile, il paternalismo, la subalternità della donna, il senso dell’onore feudale, l’immutabilità della realtà e la rassegnazione all’esistente.
Juke-Box:De Andrè vs Brassens

Scheletro con askoi. Mosaico. Area vesuviana,
I sec.d.C. Museo Archeologico Nazionale, Napoli
Mourir pour des idées, l’idée est excellente
Moi j’ai failli mourir de ne l’avoir pas eu
Car tous ceux qui l’avaient, multitude accablante
En hurlant à la mort me sont tombés dessus
Ils ont su me convaincre et ma muse insolente
Abjurant ses erreurs, se rallie à leur foi
Avec un soupçon de réserve toutefois
Mourrons pour des idées, d’accord, mais de mort lente,
D’accord, mais de mort lente
Cristina, Mita e l’amicizia
di Linnio Accorroni
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( Questo pezzo è apparso su ‘Stilos’ del 3 gennaio 2006. Ho chiesto a Franz la possibilità di pubblicarlo anche su Nazione Indiana perché questo bel libro della Pieracci Harwell Cristina Campo e i suoi amici”, Edizioni Studium è passato in mezzo a quello che, con ricorrente ossimoro, si usa definire come ‘un assordante silenzio’, quando invece avrebbe dovuto godere, a parer mio, di maggiore considerazione ed attenzione. Un ottimo viatico per coloro che ancora non conoscono la Campo, un testo ‘imperdonabile’ per gli iniziati .)
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L’idea di umano e i Frankenstein della cultura pop
di Giorgio Vasta

Sei nato negli anni ’80 e hai trascorso la giovinezza guardando la tv. Qualsiasi cosa passasse, dai cartoni animati alle serie, dalle sit-com alle soap, mescolando tutto in una sorta di unico iperplot dolcificato orrorifico exploitation apparentemente illeggibile. Durante l’adolescenza è stato il turno della consolle, dei giochi on line, con il gergo delle gilde e l’elaboratissima strategia delle battaglie combattute contro un “nemico” che sta a migliaia di chilometri di distanza, che conosci soltanto tramite un nickname e che non incontrerai mai. Poi, un po’ più grande, altri giochi di ruolo, ma più complessi, giochi rispetto al quale il primo Dungeons & Dragons è come il telefono senza fili per la generazione dei tuoi genitori. Modernariato ludico, niente di più.
Memoria del vuoto
di Gianni Biondillo
Marcello Fois, Memoria del vuoto, Einaudi, 2006
Chiedo al lettore di non cadere nell’errore di leggere Memoria del vuoto in fretta, come si suol dire “tutto d’un fiato”. Perderebbe l’occasione di ammirare il lavoro dell’artigiano che leviga la pagina come una pietra preziosa, del sapiente artista che dopo anni di tirocinio sa usare tutti i trucchi del mestiere trasfigurandoli in oggetti di autentica bellezza.
La montagna bianca
di Christian Raimo
Beati quelli che precipitano dal tetto di un capannone che cede all’improvviso, beati quelli che vengono schiacciati dal carrellino elevatore che stavano guidando, beati coloro che vengono investiti da frane di materiale edilizio nei cantieri abusivi, beati coloro che vengono trascinati e stritolati dai nastri trasportatori, beati i camionisti che rimangono ustionati mentre controllano l’olio, quelli schiacciati tra la motrice e il proprio mezzo, beati coloro che scendono nei pozzi per lo scarico delle acque reflue e soffocano a causa delle esalazioni tossiche, beati i soffocati da un incendio improvviso in una fabbrica-garage di materassi, beati i bruciati vivi, beati gli affogati in una tramoggia di olio di sansa, beati quelli che non entrano nelle statistiche perché muoiono per incidenti stradali avvenuti per la stanchezza conseguente al lavoro appena finito, beate le vittime di esposizioni ad agenti cancerogeni e tossici,
Nuovo cinema paraculo / L’estetismo del degrado
di Christian Raimo
Nel cinema italiano, dalla fine degli anni ’90 è cominciata a riapparire la bruttezza. I corpi sfatti, le città oscene, la lingua sporca. Nei film di Alessandro Piva, Roberta Torre, Daniele Vicari, Matteo Garrone, Ciprì e Maresco… si riscoprivano luoghi e facce che sembravano essere spariti: macilenti, nani, grassi, sdentati, sessualmente deformi che vivevano tra Villaggio Coppola, Iapigia, l’hinterland milanese, le neo-baracche romane. Consapevole o istintiva, era una scelta visiva chiara e spiazzante, che si opponeva con radicalità alle due estetiche che hanno dominato il cinema italiano degli ultimi quindici anni: i begli arredi delle micro-tragedie famigliari della borghesia in crisi d’identità sociale e politica (da Moretti a Muccino, da Calopresti alla Comencini) e la deriva iper-televisiva, a tinte pastello, natalizia o balneare, dei film dei comici (a chi tra Pieraccioni, Panariello, Ceccherini, i Fichi d’India… non ne è stato concesso almeno un paio?).

