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E’ arrivato L’accalappiacani

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Ricevo da Paolo Nori la notizia della nascita di una nuova rivista. Si chiama L’accalappiacani, è un “settemestrale di letteratura e arte” ed è pubblicata da DeriveApprodi. L’accalappiacani è fatta al cinema Cristallo di Reggio Emilia, in via Ferrari Bonini 4, in collaborazione con l’Arci locale. Quello che è uscito è il numero 0.0 ed è stato preparato da Daniele Benati, Ugo Cornia, Andrea Lucatelli, Paolo Morelli e Paolo Nori. Il numero 1.0 uscirà appunto tra circa sette mesi ma non è escluso che nel frattempo escano dei numeri 0.1, 0.2 eccetera. Dal numero 1.0 in poi L’accalappiacani sarà reperibile nelle librerie, prima di allora può essere richiesto direttamente a DeriveApprodi.

Quello che segue è il pezzo che apre il numero 0.0, è stato scritto da Paolo Colagrande e si intitola Non possiamo non dirci cani. Vale in qualche modo da premessa all’intero progetto.

A Paolo Nori e a tutta la redazione dell’Accalappiacani un in bocca al lupo.

O, meglio, al cane.

L’ultimo guappo

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di Angelo Petrella

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L’immagine delle massime autorità cittadine e regionali che presenziano solennemente ai funerali di Mario Merola sono il simbolo del mancato rinnovamento di una classe dirigente. Ciò che deve destare preoccupazione, a mio avviso, non è tanto la battuta del sindaco Iervolino – in realtà ben riuscita e politicamente sagace – a proposito della “guapparia”, ma piuttosto l’apprezzamento della sceneggiata meroliana e del suo patrimonio culturale. Un patrimonio che culmina nel mito stantio e logoro di una Napoli “pizza e mandolino”, fondata su valori conservatori: la famiglia come unico universo di relazioni concepibile, il paternalismo, la subalternità della donna, il senso dell’onore feudale, l’immutabilità della realtà e la rassegnazione all’esistente.

Juke-Box:De Andrè vs Brassens

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Scheletro con askoi. Mosaico. Area vesuviana,
I sec.d.C. Museo Archeologico Nazionale, Napoli

Mourir pour des idées, l’idée est excellente
Moi j’ai failli mourir de ne l’avoir pas eu
Car tous ceux qui l’avaient, multitude accablante
En hurlant à la mort me sont tombés dessus
Ils ont su me convaincre et ma muse insolente
Abjurant ses erreurs, se rallie à leur foi
Avec un soupçon de réserve toutefois
Mourrons pour des idées, d’accord, mais de mort lente,
D’accord, mais de mort lente

Cristina, Mita e l’amicizia

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di Linnio Accorroni

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( Questo pezzo è apparso su ‘Stilos’ del 3 gennaio 2006. Ho chiesto a Franz la possibilità di pubblicarlo anche su Nazione Indiana perché questo bel libro della Pieracci Harwell ­Cristina Campo e i suoi amici”, Edizioni Studium­ è passato in mezzo a quello che, con ricorrente ossimoro, si usa definire come ‘un assordante silenzio’, quando invece avrebbe dovuto godere, a parer mio, di maggiore considerazione ed attenzione. Un ottimo viatico per coloro che ancora non conoscono la Campo, un testo ‘imperdonabile’ per gli iniziati .)

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L’idea di umano e i Frankenstein della cultura pop

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di Giorgio Vasta 

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Sei nato negli anni ’80 e hai trascorso la giovinezza guardando la tv. Qualsiasi cosa passasse, dai cartoni animati alle serie, dalle sit-com alle soap, mescolando tutto in una sorta di unico iperplot dolcificato orrorifico exploitation apparentemente illeggibile. Durante l’adolescenza è stato il turno della consolle, dei giochi on line, con il gergo delle gilde e l’elaboratissima strategia delle battaglie combattute contro un “nemico” che sta a migliaia di chilometri di distanza, che conosci soltanto tramite un nickname e che non incontrerai mai. Poi, un po’ più grande, altri giochi di ruolo, ma più complessi, giochi rispetto al quale il primo Dungeons & Dragons è come il telefono senza fili per la generazione dei tuoi genitori. Modernariato ludico, niente di più.

Memoria del vuoto

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fois_memoria.jpg di Gianni Biondillo

Marcello Fois, Memoria del vuoto, Einaudi, 2006 

Chiedo al lettore di non cadere nell’errore di leggere Memoria del vuoto in fretta, come si suol dire “tutto d’un fiato”. Perderebbe l’occasione di ammirare il lavoro dell’artigiano che leviga la pagina come una pietra preziosa, del sapiente artista che dopo anni di tirocinio sa usare tutti i trucchi del mestiere trasfigurandoli in oggetti di autentica bellezza.

La montagna bianca

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di Christian Raimo

Beati quelli che precipitano dal tetto di un capannone che cede all’improvviso, beati quelli che vengono schiacciati dal carrellino elevatore che stavano guidando, beati coloro che vengono investiti da frane di materiale edilizio nei cantieri abusivi, beati coloro che vengono trascinati e stritolati dai nastri trasportatori, beati i camionisti che rimangono ustionati mentre controllano l’olio, quelli schiacciati tra la motrice e il proprio mezzo, beati coloro che scendono nei pozzi per lo scarico delle acque reflue e soffocano a causa delle esalazioni tossiche, beati i soffocati da un incendio improvviso in una fabbrica-garage di materassi, beati i bruciati vivi, beati gli affogati in una tramoggia di olio di sansa, beati quelli che non entrano nelle statistiche perché muoiono per incidenti stradali avvenuti per la stanchezza conseguente al lavoro appena finito, beate le vittime di esposizioni ad agenti cancerogeni e tossici,

Nuovo cinema paraculo / L’estetismo del degrado

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di Christian Raimo

Nel cinema italiano, dalla fine degli anni ’90 è cominciata a riapparire la bruttezza. I corpi sfatti, le città oscene, la lingua sporca. Nei film di Alessandro Piva, Roberta Torre, Daniele Vicari, Matteo Garrone, Ciprì e Maresco… si riscoprivano luoghi e facce che sembravano essere spariti: macilenti, nani, grassi, sdentati, sessualmente deformi che vivevano tra Villaggio Coppola, Iapigia, l’hinterland milanese, le neo-baracche romane. Consapevole o istintiva, era una scelta visiva chiara e spiazzante, che si opponeva con radicalità alle due estetiche che hanno dominato il cinema italiano degli ultimi quindici anni: i begli arredi delle micro-tragedie famigliari della borghesia in crisi d’identità sociale e politica (da Moretti a Muccino, da Calopresti alla Comencini) e la deriva iper-televisiva, a tinte pastello, natalizia o balneare, dei film dei comici (a chi tra Pieraccioni, Panariello, Ceccherini, i Fichi d’India… non ne è stato concesso almeno un paio?).

Il balletto degli operai flessibili

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  di Andrea Bajani

In ventotto anni Julia ha cambiato tre posti di lavoro. Dal 78 all’85 alla Fiat di Torino, dall’85 al 93 alla Sepi di Robassomero, e dal 93 a oggi alla Lear di Grugliasco. Ventotto anni, tre aziende, eppure sempre lo stesso lavoro: sellatura per le vetture Fiat. Dal 78 a oggi ha continuato a iterare un identico movimento, mantenendo un’identica postura, svolgendo un’identica mansione.

Rimedi francesi

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di Magali Amougou

“Fermezza”, “sicurezza”, “polizia”, “provvedimenti penali”, queste le parole che risuonano più spesso nelle orecchie dei francesi. È la linea di Nicolas Sarkozy che non smette di fare propri gli argomenti di Jean-Marie Le Pen, presidente del Fronte Nazionale, agitando gli spettri dell’insicurezza e dell’immigrazione. Uno degli esempi più recenti della strategia del ministro degli Interni, da tempo in corsa per le elezioni presidenziali, è la risposta fornita di fronte al caso delle occupazioni abusive.

Ricordo di un poeta

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 ricordo-di-un-dolore.jpgdi Stefanie Golisch

Percorrendola a ritroso dal momento della scelta suicida, la vita del poeta Manfred Streubel (1932-1992) appare un fallimento: un uomo si spezza al centro. Si arrende.
In molte poesie Streubel evoca il  preciso istante in cui la capacità dell’uomo di resistere si esaurisce. Divenire scambiabile/ uno dei tanti, una prova malriuscita: questa è una possibilità. L’altra è di andarsene come scelse lui, quando non vide più nessuna possibilità, né per sé né per la sua  poesia.

Openclosed, e altre

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 0503md22.jpgdi Fabrizio Centofanti 

I

la paura sottostante, la pineta, e l’ombra

onnipresente della madre, nelle grida violente,

l’impressione di scavare in una pietra,

l’ultima versione: il rumore e il clangore,

nonostante. la domanda, perché, perché tre volte

TANA!

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Santi liberi tutti
di Manila Benedetto

Zero.
La prima volta era verde.
Non so di preciso come lo fosse diventata, ma la prima volta era verde. Un verde vivo, un verde abbagliante, potrei dire fosforescente.
Mi spostavo adagio, attratta da quel verde, eppure spaventata. Dove mi avrebbe portata non lo sapevo, ma non potevo far altro che seguirlo, per un atto di fede, che nient’altro mi rimaneva che aver fede in quel colore. In fondo il verde ha sempre rappresentato la speranza
E la prima volta Lecce era verde.

VibrisseLibri: la carta non è tutto, ma aiuta

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Pubblicando questo post, cogliamo l’occasione per salutare Giulio Mozzi, che inaugurando l’avventura di Vibrisse Libri, lascia la redazione di Nazione Indiana.

Come ho liquidato il Barracuda

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il liquidatoredi Mauro Baldrati

Il taxi corre per le strade lucide di pioggia. E’ sempre emozionante tornare a Londra, la città dove ho passato l’infanzia. Ormai non ho più una città mia, vivo sparso per l’Europa e l’America, per ragioni di sicurezza. Ma, se arrivassi alla vecchiaia – chissà, forse mi sarà concesso – vorrei che la città del riposo e della fine fosse Londra. Ci si perde a Londra, ci si nasconde, si dimentica il passato e non si pensa al futuro a Londra.

Attenzione poeti (il 23 a Milano)

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Milano, giovedì 23 novembre 2006, ore 21:00

Casa della Poesia
(Palazzina Liberty – Largo Marinai d’Italia)

La poesia di ricerca oggi in Italia

Incontro curato da Andrea Inglese

con
Alessandro Broggi, Gherardo Bortolotti, Marco Giovenale,
Andrea Raos, Massimo Sannelli, Michele Zaffarano.

C’era una volta il treno

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di Luca Carlucci

C’era una volta il treno.
Mezzo bello e popolare.
Incontravi gente, chiacchieravi.
Ti affacciavi al finestrino, socchiudendo gli occhi controvento.
Sedevi comodo, con un sacco di spazio, allungavi le gambe, allungavi il sedile, aggiustavi il poggiatesta, dormivi.
Guardavi rapito il diorama che scorreva incessante di là dai grandi finestrini.
Passeggiavi nei corridoi, mangiando un panino.
Anche nella canicola, non faceva mai davvero caldo. Tutti abbassavano i finestrini, le tendine svolazzavano impazzite, e tutto trasfigurava in un’atmosfera, a dispetto del clangore, ovattata, da sogno. I treni erano raramente puntuali ma frequenti, e in qualche modo arrivavi sempre.

Poesia per la domenica (« No te salves »)

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immagine-028.jpg Non ti salvare

Di Mario Benedetti

Traduzione di Martha L. Canfeld

Non rimanere immobile
sull’orlo della strada
non raffreddare la gioia
non amare indolente
non ti salvare ora
né mai

Impronte sull’acqua #2

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di Francesco Marotta

*

ti cammina sul braccio

la tenebrosa

sapienza di

chi regge lumi

al mattino, ti

acceca

il risucchio dell’olio

che sciama in vapore e

incendia il tuo

occhio

 

Filmmaker DOC 11

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Festival Internazionale FILMMAKER DOC 11
Milano 21/28 novembre 2006
SPAZIO OBERDAN ­ V.le Vittorio Veneto 2
ingresso libero
  

Oltre la morte

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di Gian Ruggero Manzoni

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La perdita di uno stato consente di acquistarne un altro, all’infuori che non si reputi l’Universo quale inutile custodia fisica chiusa e volta, esclusivamente, ad essere considerata un enorme ‘scherzo’ dovuto ad una mutazione di campo di una realtà ben maggiore, a sua volta parte di altro e altro ancora, e ciò all’infinito.” (Stephen Hawking)

Pare che l’Universo, e per il 90% è ormai assodato dalle rilevazioni fatte, si distenda in accezione piana e aperta (seppure incisa dal relativismo einsteniano), che il Big Crunch (il Grande Collasso) mai avverrà  (cioè che l’andamento ondulatoria di espansione e contrazione sia ipotesi non plausibile) e che invece più certa sia la fuga dell’insieme (materia luminosa e materia oscura) verso l’infinito, in attesa di un raffreddamento totale entropico (comunque risolvibile, per la vita, da un essere di quel futuro – si veda il tal senso l’ottimistica Teoria dell’Intelligenza Eterna di Dyson); oppure, quale ultima ipotesi,  resta quella del Big Rif, il Grande Strappo, la teoria che segue direttamente quella del Big Bang e che prevede una continua accelerazione dell’espansione del Cosmo fino ad un punto critico che porterebbe alla disintegrazione dell’insieme. Se ciò dovesse essere, l’Universo verrà alla fine frantumato.