di Alessandro del Moro
Arrivarono le pulci.
Mio padre non guardava, non guardava nessuno e nonostante il caldo chiudeva i finestrini della macchina, fino al punto in cui, sforzando la manovella, il vetro sembrava sotto pressione, un altro scatto e sarebbe finito, meravigliosamente, in frantumi.
Io dormivo perfettamente bene: l’aria di giugno massaggiava la pelle, e io mi sentivo, io ero, parte integrante del processo naturale delle cose, l’esatto speculare della fotosintesi. Respirare, produrre anidride, ingurgitare tutta l’aria che avevo a portata di bocca. Alle volte se avevo bevuto la sera prima, mi svegliavo ansimando in cerca d’acqua. Ma la maggior parte delle mattine, prima di mettere a fuoco i pensieri, anche prima di aprire gli occhi, credevo di aver trovato finalmente qualcosa che mi potesse guidare.




