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Lettera a Carla sul combattimento e sul sogno

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di Andrea Inglese

Cara Carla,
tu chiami ad un’attitudine di combattimento e di sogno. Ti dirò perché, in questo contesto, io scelga di intervenire con il sogno, e non con il combattimento.

Una casa

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di Raul Montanari

Cara Carla, ti rispondo subito su sette diversi punti:

1. Ti prego di smetterla di parlare di censura. Non è degno di una persona della tua finezza intellettuale (e tantomeno di una persona pronta a rinfacciare a Caliceti il mancato uso del vocabolario) accusare di censura uno che non ha nessun potere se non quello di andarsene. Che censura è? Io ti censurerei se avessi il potere di minacciare di chiuderti la bocca in qualche modo, invece mi limito a ribattere alle cose che tu e Antonio avete detto, in particolare riguardo a Caliceti, e a dire che se rompo troppo le scatole sono pronto a fare le valigie. Questa la chiami censura? Allora io la tua la chiamo paranoia verbale, parossismo lessicale compulsivo.

La volpe è un animale splendido

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di Tiziano Scarpa

volpe.jpgCari amici,
in queste settimane ho ricevuto e pubblicato le risposte di Filippo La Porta e Giuseppe Caliceti all’intervento di Antonio Moresco sulla restaurazione.
Condivido in pieno l’intervento di Antonio, senza obiezioni.
Alcune delle cose che dicono Filippo e Giuseppe (come molte cose sostenute in altri interventi e finestre dei commenti), sono prove involontarie della restaurazione stessa, o di un sentimento di resa che giova a questa restaurazione. Le cose che obiettano ad Antonio, gli argomenti che essi portano diventano involontarie conferme che questa restaurazione c’è e agisce nei loro stessi discorsi: involontarie conferme, anche se in buona fede, anche se intellettualmente oneste.

Dal miracolo alla cronaca

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Sappiamo tutti come la malattia, l’invecchiamento e l’approssimarsi della morte siano di per se stesse esperienze così dolorose da risultare a volte intollerabili. Ma siamo anche consapevoli che ad alleggerire o ad aggravarne il peso, e quindi la sopportabilità, contribuiscono altri fattori legati al contesto sociale e culturale in cui va a collocarsi la vita di ogni singolo individuo. Un’agonia che si trascina per mesi (o anni) tra casa e ospedale, costretta, quando permane nel malato un minimo di lucidità, a spiare la stanchezza e il desiderio della fine nel volto di un parente, il fastidio e la repulsione nei gesti frettolosi di un medico o di un infermiere, non è sicuramente paragonabile a quella dell’uomo che la chiesa cattolica considera vicario di Cristo in terra, autorità universalmente riconosciuta da capi di Stato, da capi di altre religioni, da credenti e non credenti. Questo vuol dire che anche le parole con cui si tenta di rendere dicibile un dolore muto, un rantolo, una contrazione del volto, non hanno lo stesso significato.

Chi me le racconta queste cose?

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di Livio Romano

livio_romano.JPGHa dannatamente e dolorosamente ragione Loredana Lipperini. Siamo in ritardo su altri paesi. Siamo in ritardo di almeno dieci anni. Se qualcuno è capace di perdonare una piccola autocitazione, io che conto nulla, dal profondo Sud dell’Italia, lontanissimo dagli establishment culturali ed editoriali, cinque anni fa, in una recensione pubblicata su Vibrisse di Giulio Mozzi, tessei le lodi della nuova narrativa britannica la quale era, ed è, capace di rappresentare il Secolo, come si dice, e insieme di raccontare le disgrazie private che il vento della precarizzazione lavorativa ha portato nelle vite d’ogni trenta-quarantenne occidentale.

A Raul vorrei chiedere la sola cosa che conta

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di Carla Benedetti

Raul, sei d’accordo con questa frase che ha scritto Caliceti?

“… accettare serenamente .. un ruolo di “marginalità” che oggi la letteratura nel mondo (e soprattutto in Italia) ha da almeno alcuni secoli”

Sei d’accordo, non solo sulla marginalità, ma su quell’accettarla serenamente? Quasi fosse un verdetto epocale? Sei d’accordo su questo? E su tutte le conseguenze (a mio parere di rinuncia) che un simile affermazione comporta?

E poi ti invito a riflettere su questo:

Dire a Caliceti che nel suo pezzo postato su Nazione Indiana (non nei suoi libri, bada bene) si esprime una visione “rinunciataria e immiserita della scrittura letteraria e della cultura” non è un’aggressione ma l’espressione diretta di un dissenso. E tu lo trovi “vergognoso”! Cosa c’è di vergognoso nell’esprimere un dissenso profondo, e una critica dura, nel merito di ciò che un altro sostiene?

L’urlo

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di Raul Montanari

Cara Carla, uno degli indiani è qui.

E’ qui da sempre, veramente, perché non si limita a postare pezzi ma interviene quando e come può, compatibilmente con le sue capacità, nelle colonne dei commenti, ovvero in ciò che rende vivo un blog. Altri indiani, noto, trovano più affascinante e conforme all’idea che coltivano di se stessi imitare il monolito di 2001 Odissea dello spazio, producendo ogni tanto una singola emissione radio e poi chiudendosi in un altero, messianico silenzio. Io invece, pur essendo molto preso dai miei numerosi hobby, come sai, sto qui e combatto con voi. Per voi, spesso.

Tre battute di risposta

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di Carla Benedetti

(Le metto qui perché i commenti sono diventati inaccessibili!)

A Caliceti
Per parlare occorre avere almeno la certezza del vocabolario.

Cerco la parola “marginale” sul vocabolario. Ecco la definizione:
“del margine; che è collocato all’orlo, al margine: fig. di poco conto, non essenziale, secondario”.

Ecco invece la definizione di Caliceti:
“Per me “marginalità” (in questo tessuto sociale odierno, diciamo goffamente così… non è affatto accettare, da parte di uno scrittore, dimensioni terminali, rinunciatarie… Anzi!”

A Sandro
Sì, Sandro, credo anch’io che “crederci” sia la cosa più importante! Come dici tu: “Parte del mio lavoro di scrittore sta proprio nel cercare di aprire squarci e nell’inoculare germi che spero svelino, agiscano…” E poi si può anche tacere. Ma il problema è che quelli che non ci credono invece non tacciono affatto. Parlano. Non fanno altro che ripetere che siamo tutti fottuti, e com’è bello essere fottuti insieme, e poi trovarci a fare dei bei dibattiti sul nostro essere fottuti! Invece non siamo tutti fottuti! E questo dà loro molto fastidio. Sì, dà fastidio che ci sia ancora qualcuno che ci crede.

A Gianni,
che mi chiede se ho letto tutti i vomitorium, se mi sono accorta che ha “fatto un percorso che alla fine disconosce il punto di partenza. Tutto qui!”

Sì, Gianni, ho letto tutti i vomitorium, sono andata fino in fondo al percorso. Sì, ho notato che hai fatto un percorso che alla fine disconosce il punto di partenza. Tutto qui! E per fare questo percorso hai dovuto scrivere che “Nazione Indiana è un luogo di potere”. E’ questo il tuo sogno? E’ per questo che scrivi su Nazione Indiana?

Vomitorium (7)

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vomitorium7.gif di Gianni Biondillo e Loredana Lipperini

GIANNI BIONDILLO
Ciao, Lippa. Se ne hai voglia, dimmi la tua. Prendi pure una birra. Io berrò una camomilla, devo ancora smaltire le birre precedenti… se te la senti, diamo in pasto alla rete queste nostre elucubrazioni.

LOREDANA LIPPERINI
Accetto volentieri la birra (per esser logici, a questo punto dovremmo ordinare una pizza e iniziare una disquisizione sulla supremazia di quella milanese sulla romana, come tu sostieni: ma non lo faremo).

Risposta a Antonio Moresco

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di Giuseppe Caliceti

Caro Antonio,

mi spiace che l’abbia presa così. Per la tristezza, intendo. Ho cercato di contribuire anche io a quel “dibattito” che mi pareva avevi lanciato. A un dibattito si partecipa, no?

Forse non ho usato le parole giuste e sono stato frainteso, forse no. Non l’ho capito.

A ogni modo, un confronto è un confronto e il mio intento era solo questo. Con tutti gli errori e le omissioni che posso avere fatto. E le semplificazioni e tutto il resto di negativo.

Ti ringrazio comunque per avermi scritto. E spero che tu risponda ancora. A me e a altri.

Certo avrò frainteso anche io più di una cosa e “letto” troppo superficialmente quello che tu hai scritto. Ma ripeto, io, oltre a quel positivo spirito di “sfida”, nel tuo pezzo ho sentito qualcosa in più che non mi pare mi appartenga. E te l’ho voluto semplicemente far sapere.

Risposta a Carla Benedetti

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di Piersandro Pallavicini

Riprendo – senza avergli chiesto il permesso – questo intervento di Piersandro Pallavicini dalla finestra dei commenti all’ultimo post di Carla Beneddetti. T.S.

Cara Carla,
ti rispondo al volo e senza pensarci troppo. Intervento insomma non ponderato, ma a caldo. L’atteggiamento rinunciatario, autoemarginante e sfiduciato di Caliceti mi ha francamente sorpreso (e cioè: strano che Caliceti dica quelle cose, di lui mi ero costruito un’impressione opposta). Ovvio che non lo condivido. Parte del mio lavoro di scrittore sta proprio nel cercare di aprire squarci e nell’inoculare germi che spero svelino, agiscano, mettano chi legge di fronte al proprio cattivo gusto, all’omologazione del mondo, alla propria (talvolta incosciente) malvagità, alla propria stupidità… Questo è già fare qualcosa? Questo è già agire, mettersi in attitudine di combattimento e di sogno? Sognare che qualcosa cambi e combattere attraverso la scrittura per il proprio sogno…

Due note (?) su Ballads di John Coltrane

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di Franz Krauspenhaar

John_Coltrane-Ballads-23-09-03.jpgBallads di John Coltrane è un disco “tradizionale”. Uno dei miei dischi di jazz preferiti. Niente a che fare con le straordinarie innovazioni di cui Trane fu portatore, però.

I pompieri

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di Carla Benedetti

Caliceti ha un’idea rinunciataria e immiserita della scrittura letteraria e della cultura. Tant’è vero che si accontenta serenamente della zona di marginalità in cui si cerca di relegarla, e in cui si autorelega lui per primo, serenamente.
Quella stessa idea debole, imiserita, depotenziata che le macchine di potere nella nostra epoca stanno cercando di inculcare negli stessi scrittori (per non parlare dei critici!): “Cosa vi credete di fare! Di trasmettere pensiero, esperienza attraverso i vostri libri? Di agire nel mondo? Di contagiare il mondo con il vostro sogno? Macché sogno! Questa è roba vecchia! Oggi non si può più! Accontentatevi del vostro posticino di ricamatori, di animatori terminali, di amministratori della vostra immagine. Accontentatevi di esistere nella vostra zona di marginalità. E siate sereni, mi raccomando! Non sta succedendo niente! Non c’è nessun genocidio culturale intorno. Non c’è nessuna restaurazione. Mettetevi l’animo in pace! E ascoltate gli scrittori sereni come Caliceti! Lasciate parlare i rinunciatari! Lasciatevi sommergere dai pompieri che vengono a spengere il vostro piccolo incendio!”

E voi indiani, cosa ne pensate? Dove siete finiti? Ce l’avete anche voi un sogno? O vi preoccupate solo di sapere a quale pseudo-categoria sociologica appartenete, e se potete definirvi “veri scrittori” oppure “scrittori anomali”? E’ questo il vostro solo rovello? O vi preoccupate solo di sapere quante copie vendono i vostri libri? Vi sentite o non vi sentite in guerra con le forze della desertificazione e dello svuotamento? Vi rendete conto o no che appena qualcuno si mette in testa di fare qualcosa, anche una semplice analisi della macchina di potere odierna, il suo discorso viene subito innaffiato dagli idranti della delegittimazione, da voci che vi accusano di “narcisismo”, “autoreferenzialità”, “lamentosità”, “pessimismo”, “rancore”. Vi rendete conto o no che chi cerca di dare voce a un sogno oggi viene bacchettato da tutte le parti perhé i sogni non sono più concessi?
Sapete solo pubblicare le risposte depistanti di La Porta e di Caliceti, o pensate anche voi qualcosa sull’argomento? O sognate anche voi qualcosa? Vi sentite o no parte di qualcosa che è in tensione, o siete tutti sereni come Caliceti? Nazione indiana è davvero un luogo in cui si sta in attitudine di combattimento e di sogno oppure un club di pensionati della cultura?

Duo da camera (6)

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immagine854201.jpg
Di Andrea Inglese

Noi due assieme non abbiamo bisogno
di sogni, né di saghe, leggende, riti,
strumenti ad arco, non abbiamo
bisogno di smalti, stucchi, porcellane,
è nitido il motivo a spirale
dei nostri polpastrelli, il foro
uditivo sormontato da una conchiglia
di carne, che sfiorata con mani
o punta di lingua irradia
ovunque la febbre, il tremore,
il precipizio del sangue, è limpido,

Marginalità o libertà

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(Risposta a Caliceti)

di Antonio Moresco

Caro Caliceti,
ho letto il tuo pezzo sulla “Restaurazione”, sia quello su Nazione Indiana che quello parallelo su Liberazione. Che tristezza! Mi fai dire cose che non ho detto (il riscatto generazionale, ecc), sostieni che liquido in quattro e quattr’otto il dibattito che c’è stato sulla “letteratura popolare” (argomento che ho invece cercato di affrontare al di fuori di certe banalizzazioni in un pezzo, sempre su Nazione Indiana, intitolato “Piccola nota”), stravolgi quello che ho detto e il senso e la natura e il referente della “sfida” di cui ho parlato, mi dai del pessimista e poi teorizzi per lo scrittore una marginalità introiettata e accettata (e tutto quello che viaggia in controtendenza sarebbe solo frutto di isolato romanticismo duro a morire).

SAVERIO

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di Martina Cossia Castiglioni

deltaplano.jpg Saverio si allaccia il casco sotto il mento, verifica ancora una volta la solidità dell’imbragatura che lo assicura al deltaplano, poi impugna la barra di controllo. Da dove mi trovo vedo solo la macchia rossa del casco, ma posso indovinare i gesti di mio fratello, immaginare la sua espressione. L’aria è immobile e nella valle c’è un silenzio irreale. Saverio prende la rincorsa sulla piattaforma e dopo pochi metri si lancia nel vuoto.

La Sfida e il Riscatto

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Giuseppe Caliceti risponde a Antonio Moresco

Calicet.jpgCaro Antonio,
ho letto con attenzione e partecipazione La restaurazione: il primo contributo all’incontro che i redattori della rivista letteraria Nazione Indiana stanno organizzando per il mese di maggio alla Fiera del libro di Torino sull’editoria e, più in generale, su quello che sta succedendo in questi anni nel campo della cultura e delle sue proiezioni.

Tracce : di vita

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charles sadinson.bmp
di Gherardo Bortolotti

4. dissonanza cognitiva

svagato, nella texture del reale, nell’intreccio dei sensi, delle cose, una specie di pagina marmorizzata del giorno, il suo emblema, la sua ricostruzione – con l’idea della mappa trasformata in canone dell’ornato, del drappeggio, della decorazione

La Disciplina della Ragione

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di Emanuele Giordano

kant.jpgPochi giorni fa ho inserito in NI un brano tratto dall’ultimo volume di Vito MancusoPer amore. Rifondazione della fede, Mondadori, 302 pp., 17 euro-. Quella che segue è una discussione del testo che ho postato. Ricevo e pubblico con grande piacere. J.G.

Kant era così fortemente legato al peso enorme della tradizione della metafisica, tanto da attenersi a ciò che ne costituisce l’oggetto tradizionale, cioè a quei temi di cui si potesse provare l’inconoscibile. Così, mentre giustificava il bisogno della ragione di pensare oltre i limiti di ciò che può essere conosciuto, rimase insensibile al fatto che il bisogno di riflettere dell’uomo abbraccia praticamente tutto quanto gli accade, le cose che conosce non meno di quelle che non potrà conoscere.

Vomitorium (6)

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di Gianni Biondillo e Se Stesso (con l’apparizione del fantasma di Antonio Moresco)

vomitorium6.gif GIANNI BIONDILLO
Dio, che mal di testa…

ME STESSO
Che c’è? Sei ubriaco?

G.B.
Sì, credo di sì. Parlo con me stesso, quindi è chiaro che sono ubriaco. Sarà la birra virtuale…

M.S.
A cosa pensi?

G.B.
Che ho sbagliato tutto.

Ferdinando Tartaglia

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Fenomenologia di un’eresia anarchica

di Roberto Saviano

tartaglia.jpg Ferdinando Tartaglia l’eretico, l’agitatore, il chierico studioso, l’eremita sessuofobo, il ripudiato, il riconciliato, l’anarchico, il politico rinnovatore, il poeta sublime, l’inetto freddoloso, il satiro fastidioso, il militante romantico. Tartaglia è impensabile poterlo rubricare. Potrebbe legittimamente essere fregiato d’ogni titolo e sfregiato d’ogni insulto.