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Un’ora sola ti vorrei

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regia di Alina Marazzi

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Al CINEMA ANTEO stasera inizia la sua avventura il bel film documentario
Un’ora sola ti vorrei della regista Alina Marazzi, con due proiezioni in presenza
dell’autrice, ore 20.30 e 22.30.
Da domani una programmazione
per due settimane nella fascia delle ore 13.00.

Cinema Anteo, via Milazzo 9 Milano

In archivi ottobre 2004, un’intervista con la regista.

Prefazione alla Gara poetica presso il fiume Mimosuso di Saigyô

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di Fujiwara no Shunzei

traduzione di Andrea Raos

Per quanto riguarda i costumi del nostro Paese dove il giunco cresce rigoglioso [i.e. il Giappone], dato che i canti della baia di Naniwa [i.e. la poesia in giapponese] sono un mezzo per consolare il cuore degli uomini, è probabile che chiunque sia in grado di comporne uno. Tuttavia, quanto allo stabilire con chiarezza quale poesia sia buona, quale cattiva, né io né nessuno è in grado di dirlo.

Un’editoria senza editori – e senza librai?

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di Michele Fiorillo
contesto.JPGNazione Indiana sta organizzando per il 9 maggio alla Fiera del libro di Torino (ore 16.30) un incontro sull’editoria e, più in generale, su quanto sta succedendo in questi anni nel campo della cultura e delle sue proiezioni, intitolato “La restaurazione”.
Questo intervento, speditomi da Michele Fiorillo, è l’introduzione all’ultimo numero della rivista “il contesto”, interamente dedicato a “L’industria culturale italiana. L’editoria degli editori”, con testimonianze e interviste a Roberto Cerati, Carmine Donzelli, Ernesto Franco, Giuseppe Laterza, Edoardo Sanguineti, e al regista Paolo Benvenuti. Un utile contributo alla discussione. c.b.

La questione principale che mette in difficoltà la nostra editoria sembra essere un dato abbastanza preoccupante, riguardante la grande disaffezione alla lettura in Italia: secondo i dati Istat del 2000 il 54,5 % degli italiani dai 6 anni in su non ha letto nemmeno un libro nell’arco di un anno – il che crea un mercato del libro ristretto e instabile

Nascere da un uovo di cigno

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di Lucio Angelini

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Uno dice: “Mi piacciono le fiabe di Andersen”, e tutti colgono il messaggio. Se, invece, dicesse: “Mi piacciono i romanzi di Andersen”, ecco che le orecchie dell’interlocutore si rizzerebbero di colpo. Romanzi? Quali romanzi?

Vomitorium (8)

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di Gianni Biondillo e Helena Janeczek

GIANNI BIONDILLO
Va bene, Helena, portami a casa. Io ho mal di testa. Poi non ho neppure la patente, quindi è meglio che guidi tu.

HELENA JANECZEK
Sorpresa: ci tocca il metrò. Neanche io guido.

Capirci qualcosa

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di Franz Krauspenhaar

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Sto anch’io leggendo quotidianamente su NI, da qualche tempo, una quantità smisurata di lettere aperte. Cioè, non sono proprio aperte: sono lettere di Carla Benedetti a Giulio Mozzi, di Giulio Mozzi a Tutti, di Giuseppe Caliceti a Carla Benedetti eccetera eccetera. Tutto è partito da un pezzo di Antonio Moresco, La restaurazione. Ma che ve lo dico a fare?

Singoli, gruppi, relazioni, lotta

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di Giuseppe Caliceti

Cara Carla Benedetti,

ti ringrazio per la lettera: per il tono in cui l’hai scritta e per quello che hai scritto. Ti dico quello che mi illudo di aver capito e cosa ne penso. In modo grossolano. Chiedendoti scusa anticipatamente perché la voglia di scrivere subito mi ha dato fretta e ho risposto proprio frettolosamente, scrivendo le prime cose che mi venivano in mente: d’altra parte il bello di scrivere in rete invece che su un libro è anche questo modo di scrivere qui, no?

1. Tu dici rivolgendoti a me: “Se dici che viviamo in un’epoca in cui la letteratura e la cultura sono marginali, hai già dato una descrizione non conflittuale della situazione in cui ci troviamo e la riconosci come necessaria, non modificabile. Invece dire “restaurazione” ti fa apparire improvvisamente l’esistenza di forze antagoniste”. Rispondo: sulla prima affermazione, ripeto che per me non è come tu dici; sulla seconda: secondo me esistevano forze antagoniste anche senza una descrizione dell’epoca come “Restaurazione”. A me la descrizione dell’epoca come “Restaurazione” mi pare invece abbastanza ingenua. In questo mondo per combattere occorre che io dichiari guerra? Chi lo ha detto? Io non sono un eroe. Però io so che combatterò e farò del mio meglio. E questo è tutto. Almeno al momento.

I detti del buon vecchio Mougnot

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di Fernand Tourret

traduzione di Andrea Raos

«Nulla dire di sé.»

Vivi che ti scordino.
Quando, ciò che sarai
Tu solo saprai
Più non inquieterai nessuno;
Ma a godere appieno
Del magro bene, finché scodella
Potrai stringere in mano
Colma sera e mattina
Secondo tua fame,
Tuo cuore canterà tua gloria
Perché è tua gioia più rara
Essere uomo che nessuno invidia.
Vivi che ti scordino… Vivi che ti scordino.

Io e le macchine

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di giuliomozzi

la_macchina.JPGBartolomeo Di Monaco, in un commento all’intervento di Antonio Moresco Cosa è successo nel frattempo?, scrive:

Allora si dovrebbe fare una sola cosa, che richiede coraggio, perseveranza e sacrificio, anche economico.
Moresco, Scarpa, Benedetti, Montanari, e altri che frequentano N.I, anche Mozzi, che già sta facendo cose egregie in Sironi, se la sentono di mettere fuori un po’ di soldi, sottraendoli allo stipendio del proprio lavoro (immagino che siano impiegati da qualche parte; non credo vivano col ricavato dei propri libri) e fondare una Casa editrice che realizzi il loro progetto?
Per fare questo devono essere consapevoli:
– che lavoreranno, forse per sempre, in perdita,
– che dovranno terribilmente organizzarsi per sfondare sulla distribuzione;
– che il loro sacrificio di tempo e di denaro dovrà resistere alle difficoltà di ogni tipo e protrarsi negli anni.

A una proposta come questa io rispondo: sì.

Una piccola testimonianza di mondo

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di sparajurij

Noi non siamo gente di mondo. Questo per cominciare.
Ma ci è venuta ugualmente voglia di raccontarlo a tutti. E a voi in particolare, di raccontare la nostra (non ancora) avventura editoriale.

Scrivere sul fronte meridionale

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Lettera agli amici indiani

di Roberto Saviano

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Casal di Principe Napoli

E chisto munno
ca s’ ‘e vennuto l’anema e ’ o core
e nun se importa ’ e chi nasce
e se ne fotte ‘e chi more.

N. D’Angelo

Agli amici di Nazione Indiana.

Quanto siete disposti a perdere per un racconto, per uno scritto? Se rispondete tutto allora sapete già nel vostro petto che non perderete nulla. Neanche una scaglia di pelle dalle vostre dita. Quanto siete disposti a pagare per un vostro scritto, una vostra frase, un pensiero? Anche qui se rispondete tutto, con grande probabilità scrivere vi è cosa leggera e non avete idea di cosa si perde tracciando inchiostro. Io per la scrittura non son disposto a perdere nulla, a sacrificare niente, a pagare ancor meno. Perché vorrei che la scrittura stessa fosse, per quanto mi è dato decidere, in se sacrificio, perdita, fosse totalizzante ma nei suoi perimetri, nella sua alcova. Eppure accade il contrario. Io non so cosa significhi scrivere in gran parte dell’Italia e dell’Europa. Ma so cosa significa scrivere nel sud Italia, nell’Europa mediterranea.

Sulla “restaurazione” del potere e la bellezza nell’arte come nella vita, terminali o germinali che siano…

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di Giovanni Maderna

Due scrittori, due grandi scrittori in bilico, sempre sul punto di essere travolti da sé stessi, dall’idealismo o dal nichilismo, e anche da tante altre cose, e che anzi probabilmente lo furono, travolti, a dimostrazione dell’autenticità del rischio, ma che forse proprio per questo appaiono spesso e volentieri sublimi, hanno scritto cose che a mio parere hanno a che fare con la “restaurazione” e con gli ambigui “Vomitoria”, con marginalità e radicalità, aggressività e censura, verità e ipocrisia…

Musil è il primo:

“Si ribatterà che questa è un’utopia. Sì, certo, lo è. Utopia ha press’a poco lo stesso significato di possibilità; il fatto che una possibilità non è una realtà vuol dire semplicemente che le circostanze alle quali essa è attualmente legata non glielo permettono, altrimenti sarebbe invece una impossibilità; se la sciogliamo dai suoi legami e lasciamo che si sviluppi, ecco che nasce l’utopia.

Corsa di cavalli o cavalli che corrono?

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di Carla Benedetti

Caro Giuseppe Caliceti,

ti scrivo per approfondire il discorso sulla restaurazione e spiegare in che senso secondo me parlare di marginalità della scrittura e della cultura è un’autodescrizione fallace e castrante. Ma prima vorrei dirti che mi dispiace se la mia prima replica al tuo pezzo è stata sentita come un’aggressione. Non c’era da parte mia nessun intento di sminuire la tua voce e il tuo contributo, e tanto meno il tuo lavoro di scrittore, ma solo un grande bisogno di andare subito al punto, al punto che, per lo meno a me, sembra nodale, e di farlo emergere chiaramente e drammaticamente. Non contro di te, ma contro una falsa descrizione epocale che oggi rischia di paralizzare anche le menti più fertili e combattive. Ed è di questo che voglio parlare ora, prendendo tutto il tempo che ci vuole a spiegarsi. Quel tempo che invece ho bruciato nella mia prima replica e che ha fatto sì che potesse sembrare un’aggressione gratuita

Cosa è successo nel frattempo?

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(Risposta a Giulio Mozzi)

di Antonio Moresco

Caro Giulio,
vorrei dire alcune cose sui tuoi interventi a proposito della “Restaurazione”:

Uno. Quel pezzo non era espressione soltanto di una mia posizione personale (tu dici -non so perché- “profezia”), ma anche di quanto è emerso in una riunione collettiva di Nazione Indiana in preparazione dell’incontro che si terrà a Torino alla Fiera del libro.

Due. Non ho mai fatto una divisione manichea in buoni e cattivi e in puri e impuri. Questa cosa non la puoi trovare né nel pezzo di cui stiamo parlando né nell’intero mio lavoro di scrittore. Ma ciò non vuol dire che tutto sia uguale a tutto e che non ci siano delle differenze e non si possano esprimere con chiarezza i nostri pensieri e le nostre tensioni.

Naso impolitico

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di giuliomozzi

naso.JPGAndrea Inglese, rivolgendosi a me e a Helena Janeczek nei commenti al mio intervento Preterizione (che è una reazione all’indiscutibile profezia di Antonio Moresco La restaurazione), scrive:

Helena e Giulio, è una domanda senza ironia e sincera che vi faccio; e non dovete per forza rispondermi subito, o qui; siete nell’editoria, siete in qualche modo quei personaggi “ibridi” di cui parlavo (di cui si parla); ovviamente non so se abbiate mai ammazzato dei capolavori; ma credete, voi, dal di dentro, eppur ancora marginali rispetto al funzionamento della macchina, ma certo molto meno marginali di me, ebbene… Credete che vi sia un nemico della letteratura radicale (della grande letteratura, come diavolo vogliamo chiamarla…)? C’è o non c’è? Avete almeno dei sospetti? Oppure c’è, ma non è identificabile? O è una somma di gesti o dimenticanze, che migrano da uno all’altro, o ancora, come direbbe Musil, è il risultato globale nefando di tanto individuale e volonteroso agire? Davvero, fino in fondo senza ironia. Secondo voi c’è un nemico? Mi interessa il vostro personale parere.

Dall’intervento di Andrea Inglese Lettera a Carla sul combattimento e sul sogno:

Ma il peggior nemico di tutti, è quell’essere ibrido, a cavallo tra cultura e azienda, tra scrittura e management, tra cattedra universitaria e consulenza editoriale, che decide della pubblicazione e della non pubblicazione. Che decide, insomma, di cosa entrerà a far parte dell’universo letterario, e di cosa ne resterà fuori, ai margini, nel limbo. (È chiaro che il nemico, in questo senso, è colui che svolge questo suo ruolo contro la letteratura radicale).

Sono d’accordo: il peggior nemico è quell’essere ibrido; e, come ho già detto in Preterizione, quell’essere ibrido sono io. Il peggior nemico sono io.

Il Papa eliminato dalla Casa

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di Salvatore Toscano

funeralipapa.jpgEcco: parte una canzone degli Aerosmith (magari quella usata in Armageddon), oppure, che ne so, Tiziano Ferro, una qualsiasi hit del momento, o roba un po’ più sofisticata, insomma qualunque stronzata ritenuta capace di far salire la temperatura emotiva del pubblico.
Allora, la situazione è questa: abbiamo appena visto Sempronio del Grande Fratello, o Caio de La Fattoria, uscire dalla Casa acclamato come un Papa a Carnevale da figuranti che si fingono esseri umani. Sempronio del Grande Fratello è stato raccolto dal presentatorino fighetto che si finge un essere umano, è stato infilato in una bella automobile e portato in studio. In studio lo hanno riacclamato e abbracciato, qualcuno ha pianto, gli altri usciti dalla Casa nelle settimane precedenti sono così belli e luminosi che il nuovo arrivato fa fatica a riconoscerli ma li abbraccia lo stesso come vecchi amici, ci sono persino i familiari pure loro belli come a un matrimonio e – non c’è niente da fare, dispiace ammetterlo – hanno tutta l’aria di aver fatto un corso intensivo per imparare a fingersi esseri umani.

Risposta pacata

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di Antonio Moresco

Vedo che in Nazione Indiana è salita la febbre, che c’è fermento e anche scontro, e questo -se non si è cultori del quieto vivere e del bon ton a tutti i costi- mi sembra una cosa buona. Partecipiamo a questa avventura collettiva da più di due anni ed è bene cominciare a domandarci -magari anche tumultuosamente- il senso e l’originalità di questo stare assieme in anni come questi e dei nostri desideri e delle nostre possibili proiezioni, che non si possono ridurre al fatto di avere messo in piedi una bella vetrinetta di scrittori in rete.

Marginalità & Non Rinuncia

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di Giuseppe Caliceti

Carla Benedetti scrive: “Credere che la letteratura debba stare serenamente nella zona di marginalità che le è concessa dalla stessa macchina di potere che mette al centro le Fallaci, i Dan Brown e i Faletti, vuol dire aver introiettato le forze della restaurazione”. E dice che tutto questo in Italia “è cominciato con la neoavanguardia”.
Vabbè, sulla seconda sua affermazione non sono d’accordo. Si può essere in diasaccordo, no? Sulla seconda, invece: io non ho mai detto che “deve stare” da nessuna parte, ma che, semplicemente, secondo me, la Letteratura, deve fregarsene di più, se riesce, dei libri della Fallaci e di quelli del Papa, di quelli di Dan Brown e di Vespa, di Faletti e di Pinco Pallino. Perchè questo, mi pare, è l’insegnamento che arriva anche da grandi Letterati del passato, che magari avevano anche loro, nella loro epoca, al centro del loro mondo editoriale o sociale, gente che scriveva libri e vendeva più di loro. Insomma, il mio invito era a essere più “sereni” di fronte soprattutto alle classifiche delle vendite dei libri. E denunciavo anche una mia personale stanchezza a parlare quasi sempre, anche se in negativo, di libri che magari non si amano, invece di parlare magari di più di libri che si amano. Ciò non significa che uno scrittore si debba disinteressare del mercato editoriale e dei meccanismi di vendita. Mi pare solo che in questo periodo il rischio sia di concentrare più l’attenzione su questo, piuttosto che sulla Scrittura e sugli Esempi Letterari Forti del passato e, aggiungo, anche di oggi. Esempi forti anche dal punto di vista esistenziale, mi verrebbe da dire.

Preterizione

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di giuliomozzi

lourdes.JPGAvevo pensato di iniziare questo intervento dicendo: il testo di Antonio Moresco La restaurazione è indiscutibile. Si può forse discutere una profezia? Non mi pare. E io il testo di Antonio Moresco appartiene (non ho dubbi) al genere letterario profezia. Non argomenta, non dimostra, non analizza, non prova: enuncia, e stop. L’unico argomento che trovo nel testo è un periodo ipotetico dell’irrealtà: se “Kafka, Proust, Joyce, Musil, Faulkner, Beckett” scrivessero oggi, non verrebbero più pubblicati “dagli editori e dai loro funzionari”: il che non può essere né dimostrato né smentito. Io, essendo cristiano cattolico, credo ai miracoli e alle visioni; e sospetto (se qualcuno pensasse di trovare dell’ironia in questa frase, si sbaglia) che Antonio Moresco abbia vista la Restaurazione più o meno come Bernadette a Lourdes vide la “signora vestita di bianco”. La visione di Bernadette si può discutere? No. Si può dire che Bernadette era pazza, si può ricostruire la cultura del luogo e del tempo per spiegare come la probabilità che una ragazzina prima o poi si sognasse di avere le visioni fosse piuttosto alta, eccetera: ma questo non è “discutere la visione”; questo è negarla, e stop.

Prima che crolli il palazzo

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di Helena Janeczek

Anche a me piace vederla come Raul, Nazione Indiana: come una casa. Una casa che possa accogliere molti inquilini e ancora molti più ospiti. E’ questa la specificità, l’unicità di Nazione Indiana come blog letterario. E’ questo, inoltre, che rende Nazione Indiana un luogo d’azione che si oppone fattivamente all’isolamento e alla marginalizzazione degli scrittori e della letteratura.

Il pensiero e il galateo

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di Carla Benedetti

Caro Raul,
tu non stai facendo censura, stai però facendo galateo! Mi stai richiamando a regole di forma, di bon ton!
Mi stai dicendo che Nazione indiana è una casa dove agli ospiti non si possono fare obiezioni sostanziali e critiche dure sui contenuti di ciò che dicono! In altre parole mi stai dicendo che la cosa più importante non è discutere di contenuti, di idee, ma prendere il tè in pace, in buona armonia, far sentire tutti a loro agio?
E se un ospite esprime un’idea da cui dissento profondamente (e che ho criticato anche in altri luoghi in maniera altrettanto dura) non posso, no, prendermi la libertà di dirglielo! Perché non è una cosa bella, si dà l’impressione di urlare, e non sta bene.

Ma io penso davvero che sostenere che la letteratura è destinata a stare in una zona di marginalità, e che gli intellettuali e gli scrittori si devono adeguare a questo ruolo serenamente (e accettare serenamente che il centro venga occupato dalle fallacie della Fallaci) sia un’idea portante della restaurazione in atto.
Perché non dovremmo poter discutere di questo, animatamente, con tutti i toni che uno preferisce? Purché si tocchino dei contenuti!