di Carla Benedetti
Siamo negli anni ’70 in Unione Sovietica.
Sergej Dovlatov, come tutti gli scrittori russi di quel periodo, è uno scrittore clandestino. Scrive racconti pieni di un umorismo eversivo e di fedeltà antiretorica alla vita reale, compresa la propria, che riversa nella scrittura con rara franchezza. Nessuna rivista li pubblica, però circolano come samizdat, copie illegali passate di mano in mano.
I funzionari della cultura lasciano passare solo una letteratura lobotomizzata, ideologicamente affidabile e mentalmente inerte. Centinaia di racconti identici invadono le riviste e le librerie.
Quasi come da noi oggi.
Solo che al posto della rete del KGB noi abbiamo una miriade di funzionari nell’editoria e nei media che con parametri di mercato invece che direttamente ideologici, raggiungono lo stesso effetto.


1. Sparare su Michael Moore e su Fahrenheit 9/11 (con entusiasmo perfino maggiore di quello che ci metterebbe Charlton Heston) è diventato l’hobby preferito di un certo tipo di intellettuale di sinistra micragnoso, minimalista, precisetto, analitico, concentrato non dirò sull’albero, non dirò sulla foglia, ma sulle nervature della foglia, al punto di non vedere più non dirò la foresta (sarebbe troppo facile), non dirò l’albero, ma nemmeno la foglia stessa.
Il 30 novembre ricorre nella nostra regione una nuova festa: la Festa della Toscana. Lo ha deciso fin dall’anno 2000 il Consiglio Regionale, scegliendo questa data che richiama quel 30 novembre 1786 nel quale il granduca Pietro Leopoldo, con l’ispirazione e l’appoggio di Cesare Beccarla e non senza contrasti interni, promulgò il nuovo Codice Criminale.


Mi hanno incuriosito due articoli di commento ai risultati delle elezioni presidenziali statunitensi, firmati da Lea Melandri e Antonio Codebò e apparsi nei giorni scorsi nel quotidiano