di Dario Voltolini

di Sergio Garufi
“Esistono nicchie temporali che non sono contemporanee alla nostra epoca? Sacche di tempo fossile che si perpetuano a dispetto del calendario?”; si chiede uno scrittore italiano de cuyo nombre no puedo acordarme, almeno non qui. Certo che esistono. Una di queste si trovava a Milano, in un punto del trafficatissimo viale Monza. Era un caseggiato esploso a causa di una fuga di gas. Vi era stato pure un morto.Per controversie sul rimborso dell’assicurazione, l’edificio rimase per circa un anno semidistrutto, senza impalcature e ponteggi che lo velassero pudicamente; e nei piani più alti, dov’era sopravvissuto parte di un pavimento, si potevano ancora osservare i resti di una stanza arredata, colta nell’attimo esatto della deflagrazione. Un cassettone, uno specchio appeso a parete, qualche soprammobile rimasto miracolosamente integro e al suo posto nonostante la terribile onda d’urto; tutto come sospeso sull’orlo dell’abisso. Sembrava una casa di bambole, di quelle che puoi vederne l’interno. Ogni cosa superstite era ferma a quell’istante, come il famoso orologio della stazione ferroviaria di Bologna dopo la bomba dell’agosto del 1980.
di Aldo Nove
Il destino nel nome (nel cognome, più esattamente). Lello Voce è poeta e performer (nonché straordinario romanziere), memore di altri tempi, nobili e tutt’altro che “moderni”: la lettura privata della poesia è del resto un fenomeno che ha meno di due secoli, è retaggio di quella concezione solipsistica, marginale, di derivazione tardo romantica e assurta poi a marchio di “genuinità”, di introspezione e insomma di nicchia e quindi di emarginazione.
di Elio Paoloni
Cinema. Televisione. Pubblicità (timidamente). Tutto rigorosamente separato, come se il cinema non si consumasse ormai quasi esclusivamente via cinescopio. Come se gli Autori non tornassero sempre più assiduamente in palestra, a confezionare short. Come se novelas, soap, telefilm, tv movie, videoclip e quarkate non avessero attinenza con l’Arte del secolo (scorso). Come se tutta la tivù, politica e comici compresi, non fosse affare di sceneggiatura, scenografia e regia.
di Giorgio Vasta

Conclusione con sorrisi
Tre consapevolezze, tre sorrisi. Due, quello di Platini e quello di Zidane, espliciti. Uno, quello di Maradona, immaginato, immaginabile, che forse sono io a imporgli ma che suppongo fisiologico, inevitabile, affiorargli alle labbra appena colpito il pallone che supererà Shilton. Più almeno un altro sorriso, quello disperato del coyote che scopre di essere, con tutta la sua consapevolezza, troppo pesante per il vuoto.
La consapevolezza che emerge in forma di sorriso.
di Giorgio Vasta

Tre fotografie di consapevolezze (ultra-)calcistiche
Vorrei procedere provando a scattare tre diverse fotografie di consapevolezze direttamente legate al calcio. Sia chiaro che non è solo di una consapevolezza fisica, atletico-agonistica, che voglio parlare, ma anche, e forse soprattutto, di una consapevolezza mentale, strategica. Utilizzo il calcio perché coinvolgendo in modo evidente il corpo, dilata lo spazio e il tempo permettendo il generarsi e il sedimentare di immagini chiare e, appunto, esemplari.
Seguono quindi tre diversi esempi di modi di percepire profondamente condizioni e risorse del gioco (e, per traslato, di un testo), in un determinato impercettibile momento.
di Giorgio Vasta
Circa un anno fa, ai primi di novembre del 2003, si è tenuto a Torino, presso la Scuola Holden, una giornata seminariale promossa da Enrico Palandri. All’incontro di Torino ne sono seguiti altri tre, a Bologna, Milano e Venezia. Ogni volta l’obiettivo è stato quello di far convergere la riflessione su un aspetto specifico del narrare. A Torino si è parlato di consapevolezza. A me era stato domandato di ragionare sulla consapevolezza nei laboratori di scrittura. Ho recuperato e provato a riordinare quanto avevo detto a suo tempo.
di Dario Voltolini



[Questo – con ciò che seguirà – è un lungo testo che ho composto in previsione di farlo leggere a voci sintetiche e di registrare il risultato su cd. Siccome il mio progetto langue per mancanza di applicazione mia, comincio a metterlo in rete per condividerlo con voi. Prendetelo come la prima parte di un lavoro il cui esito non è uno scritto, ma un parlato.
Dario Voltolini]
Massenzatico (Reggio Emilia), Teatro Artigiano, Via Beethoven 90
31 ottobre 2004
LE CUCINE DEL POPOLO
LA RIVOLUZIONE A TAVOLA
Convegno
di Roberto Saviano
Napoli: prima la droga poi i cantieri. Così cresce l’esercito dei baby camorristi. Hanno dai 12 ai 17 anni. Sono pronti alla prossima guerra tra «l’alleanza» e i Mazzarella. Ai clan offrono tutte le garanzie: stipendio basso, niente orari, niente famiglia. Ci sono loro dietro gli ultimi omicidi. Senza mai abbandonare la scuola, e scommettendo sulle corse delle Smart.
di Laura Pugno
con tutto il corpo
con tutto il corpo
quello che è visibile
desideri:
invisibile aidoru-ai
o solo visibile ora
che esisti,
Lo pensa Tiziano Scarpa, e ne parla con Nicola Lagioia
C’è stato chi, mesi fa, profetizzava che il 2004 sarebbe stato l’annus mirabilis della narrativa italiana. Non so quali elementi avesse per affermarlo, ma credo che Occidente per principianti di Nicola Lagioia basterebbe da solo a confermare quella previsione. È un romanzo bellissimo e importante che ho letto con grande gusto e ammirazione. Ma basta ciance, non mi piacciono i preamboli.
TIZIANO SCARPA: Nel tuo romanzo non succede molto, ma succede tantissimo. Ogni pagina divaga ed è al tempo stesso pertinente. Sei pronto in qualsiasi momento a esorbitare in descrizioni e commenti inauditi restando sempre sul pezzo, non smettendo mai di raccontare. Si incontra di tutto, e contemporaneamente Tutto. Allora, riassunto impossibile. Come sintetizzeresti tu la tua trama? Ne hai voglia?
NICOLA LAGIOIA: Ci provo: è la storia di un giornalista fantasma (scrive per un grosso quotidiano nazionale ma i suoi articoli sono firmati da altri) che nell’estate del 2001 – insieme a un regista squattrinato e paranoico e a una bella studentessa universitaria – intraprende per conto del suo caposervizio senza scrupoli un viaggio su e giù per l’Italia sulle tracce di un altro fantasma: la sedicente prima amante di Rodolfo Valentino.

Di Massimo Rizzante
Se il romanzo vuole continuare a dare una visione totale del mondo e dell’uomo, se vuole continuare a svolgere la sua funzione totalizzante – oltre a quella catartica e cognitiva – anche nella completa disintegrazione dei valori del mondo contemporaneo (disintegrazione che Kis ha vissuto: disintegrazione politica e famigliare, pubblica e privata e perfino disintegrazione della frontiera tra pubblico e privato), deve fare suo quello che Hermann Broch chiamava stile della vecchiaia o stile dell’essenziale, stile astratto.
Di Massimo Rizzante
Alla fine del 1973, un anno dopo la pubblicazione di Clessidra, in un’intervista, raccolta successivamente in Résidu amer de l’expérience (Fayard 1995), dopo aver descritto il proprio “tentativo di sostituire sul piano formale la monotonia di un determinato procedimento attraverso una strategia polifonica” – tentativo che si era concretizzato proprio in Clessidra grazie all’uso di diversi registri e stili – Danilo Kis affermava: “Il mio ideale era, ed è ancora oggi, un libro che dovrebbe leggersi non solo come si legge un libro la prima volta, ma come un’enciclopedia (lettura preferita da Baudelaire e non solo da lui), e cioè costruito secondo un’alternanza brutale e vertiginosa di concetti, un libro capace di obbedire alle leggi del caso e dell’ordine alfabetico (o altro), nel quale si succedono nomi di persone celebri e le loro vite ridotte al minimo necessario, vite di poeti, di ricercatori, di politici, di rivoluzionari, di medici, di astronomi, ecc., divinamente mescolati a nomi di piante e alla loro nomenclatura latina, a nomi di deserti e clessidre, di dei antichi, di regioni, città, alla prosa del mondo. Stabilire tra tutto ciò un’analogia, trovare le leggi della coincidenza”.

(Ringrazio l’amico Massimo Rizzante per questi materiali che mi ha inviato su Kis, e che sono parte di un numero monografico che la rivista Nuova prosa ha dedicato allo scrittore. E ringrazio anche Luigi Grazioli che in veste di direttore della rivista sollecita tali iniziative. Danilo Kis è uno dei vertici dell’arte romanzesca, e non solo per il romanzo novecentesco, ma per l’intera storia del romanzo moderno. L’uscita in Italia di una rivista che dedica un numero monografico a Kis dovrebbe rimescolare le menti e i cuori, almeno degli addetti ai lavori. Non so se questo è il caso. Ma la risaputa letargia dell’ambiente, non ci impedisce di gioire. A. I.)
Di Danilo Kis
Estratto dell’atto di nascita
Mio padre vide la luce in Ungheria occidentale e finì l’accademia commerciale nel luogo di nascita di un certo signor Virág che, per grazia del signor Joyce, sarebbe diventato il celebre Leopold Bloom.

Di Marco Giovenale
Da natale piove.
Comiche – tv – poi fanno scorta –
per l’ontologia che si sviluppa
in casa. Produzione propria.
Come le api gli esagoni.
Così parlare conta