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da: Thérèse (HC2738B)

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di Florinda Fusco

ora che sono il tempo non ho più memoria

chorus:

Thérèse dipinse il suo nome sulla bocca

l’eredità del giogo premeva la testa già pesante
tra due legni che opprimevano il suono e segnavano
due cerchi sulle guance. La pietra cadde sul cranio
che mangiavo pane e frutta. E vidi i re cadere
dalle sedie e i lazzari tornare nelle tombe.

Dante e i maestri omosessuali

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CONSIDERAZIONI DI FRANCO BUFFONI SU INFERNO XV

Nel canto XV dell’Inferno due parrebbero essere i punti fermi relativamente al rapporto tra Dante e Brunetto Latini:
– Dante mostra rispetto e affetto per il maestro (gli dà del “voi”; si rivolge a lui come a “ser Brunetto”);
– Dante condanna Brunetto alla pena eterna in quanto omosessuale. 1)
Il mio obiettivo in questo scritto è di mostrare come entrambi questi assunti possano essere messi in discussione, e persino radicalmente contraddetti.

Il tradimento dei critici, due anni dopo #2

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di Carla Benedetti

tradimento dei critici.jpgE ora vorrei dire, in breve, le ragioni per cui ho scritto quel capitolo “Il potere che ognuno conosce e nessuno racconta”, sulla vicenda delle dimissioni di Mario Martone dal Teatro di Roma, e perché stava all’interno di un libro che parlava della paralisi della critica in Italia.

Ovviamente, dato il tema del libro, mi interessavano i rapporti tra critica e potere. Volevo mettere a fuoco ciò che inibisce la critica in Italia, e non tramite censura o limitazioni della libertà di parola imposte dall’esterno, ma per via indiretta e dall’interno, cioè cioè per credenze condivise (o ideologie), per autocensura e per vincoli introiettati dalla critica stessa e da chi la esercita.

Il tradimento dei critici, due anni dopo #1

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di Carla Benedetti

daumier4b.jpgDue anni fa, subito dopo l’uscita del Tradimento dei critici, fui denunciata per diffamazione a mezzo stampa assieme all’editore Bollati Boringhieri, con una richiesta di riparazione di un milione di euro. Incriminato era l’ultimo capitolo del libro, “Il potere che ognuno conosce e nessuno racconta”, dove ripercorrevo gli avvenimenti che avevano portato alle dimissioni di Mario Martone dalla direzione del Teatro di Roma, ricostruiti attraverso articoli apparsi su giornali e riviste, e altri documenti di dominio pubblico. A querelarci fu l’allora presidente del consiglio d’amministrazione del Teatro, Walter Pedullà, di cui avevo riportato alcune dichiarazioni pubbliche, mettendole a confronto con altri fatti.

Lo Spettacolo. Gli occhi. Il cuore.

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di Marco Rovelli

Simona-Ken.jpg1. Ero in auto, quando mi ha chiamato la mia compagna per dirmi che avevano liberato Simona e Simona. Non ho esultato, non ho detto ‘evviva’, non mi si è aperto niente, dentro. Dal cuore non si è levata croce, per parafrasare maestro Eckhart. Una notizia come un’altra. Tra le (tante) altre. Niente più che due nomi, in fondo, confusi tra milioni di altri nomi a me ignoti – che non conosceranno mai liberazione. Comincio a pensare a quale saranno le conseguenze politiche di questa liberazione, come il governo ne potrà trarre vantaggio, cosa cambierà nello scenario irakeno. Le due simone sono già passate. Non sono altro che pedine in un risiko interminato. Sono già passate, dicevo: in realtà, non ci sono mai state.

Caro Accasetteventicinque

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di Giuseppe Carlotti

bu.jpg Caro Accasetteventicinque,

ti allego una missiva che domattina alle ore 9.30
provvederò ad inviare via corriere espresso TRACO 10
al Presidente degli Stati Uniti George W. Bush Jr.

Ti prego di farmi pervenire eventuali commenti (specie
riguardo quel Post Scriptum che ti sta tanto a cuore)
entro e non oltre la nottata, eventualmente anche per
via telepatica.

In bocca al lupo per quel test dell’AIDS,

Daniele

La parlantina #2

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di Antonio Moresco

Caneslitta.jpgGli scrittori americani (gran parte di loro, perlomeno) hanno una inconfondibile e inarrestabile facoltà meccanica di parlare e affabulare, e a volte anche di intortare, che possiamo chiamare, con parole nostre, “parlantina”. Non che la parlantina sia di per sé una cattiva cosa. Può essere anche un’ottima cosa, dipende. Può mettere al mondo nuove strutture mentali, linguaggi…
La parlantina può derivare da molte cose. Nel caso degli americani deriva forse dal fatto di avere dei canoni narrativi e figure e topos collaudatissimi e reiterabili e miti comunicativi e sociali che possono essere ingenui e freschi, elementari e potenti, ma che possono generare e cristallizzare a volte anche superficialità e conformismo. Io non disprezzo tutto questo né difendo un’idea che si vorrebbe “europea” di letteratura specialistica e terminale, culturalistica e suppurata. Né mi sembra che il problema sia –come è emerso anche da una recente discussione in rete – che gli americani, con la loro letteratura, sarebbero creatori di miti (mitopoietici) mentre noi europei saremmo invece solo capaci dell’esercizio sterile della critica e della distruzione neghittosa dei miti (mitoclastici). Le cose in realtà non viaggiano così separate e normalizzate: prima la costruzione e poi la distruzione, oppure il contrario. Perché costruzione e distruzione sono un movimento unico e la costruzione di miti avviene a volte proprio attraverso la distruzione di miti, e viceversa (basti pensare al Don Chisciotte oppure a Moby Dick, il campione stesso della grande letteratura americana, non a caso rifiutato a lungo dal proprio stesso paese e dal proprio tempo).

La parlantina #1

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di Antonio Moresco

quijot3.gifÈ passato un anno. Sono di nuovo in Argentina con Giovanni. A Buenos Aires abbiamo trovato di nuovo Laura e Nic, che erano qui già da un mese. Ci siamo fermati alcuni giorni per assorbire il cambio di stagione e il fuso orario, prima di scendere nella Terra del Fuoco. Siamo tornati nel solito hotelito. Adesso, nell’ingresso, hanno messo una grande fotografia di Gardel vicino al solito quadro del Sacro Cuore col muscolo cardiaco in mano. C’è anche quest’anno il solito vecchietto piegato in due e semiparalizzato che si sposta girato di fianco, a passettini, lo stesso che avevamo sorpreso l’anno scorso a culo nudo, una notte, mentre cercava di adescare alcuni ragazzi fermi a confabulare sul ballatoio. Si vede che vive qui tutto l’anno. Gira ancora in mutande, col pentolino del mate in mano. Ci ha riconosciuto immediatamente. Quando ci ha visti passare con gli zaini la sua faccia sofferente e grinzosa si è deformata per un istante in un sorriso. Adesso sta quasi tutto il tempo coricato sul letto, come morto, con gli occhi chiusi, stecchito, respirando a fatica, con una coperta di lana, da cavallo, tirata su fino al mento nonostante il caldo di fine estate. Si vede spuntare la sua testa irrigidita, quando si passa di fronte alla sua camera dalla porta perennemente aperta per far circolare l’aria. Ha cercato anche di attaccare bottone con me, un pomeriggio, mentre stavo seduto fuori dalla mia porta, su una sedia di plastica. «Habla español?» ha buttato lì fermandosi un momento per tirare fiato.

In riunione

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Di Andrea Inglese

Ambiente: stanza per riunioni, con tavolo ovale, poltroncine girevoli, quattro persone eleganti, di cui è impossibile scorgere il volto. Sul tavolo: cartellette plastificate, fogli zeppi di equazioni, tomi di filosofia e scienza, bloc-notes scarabocchiati, portacenere, pacchetti di sigarette, occhiali, calcolatrici, bottiglie d’acqua. Le voci si diffondono anodine. Le persone che stanno lavorando si chiamano A, B, C, D. Sono quattro demiurghi.

La palma

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di Dario Voltolini

palmaTante cose succedono. Uno cambia opinioni, modifica il proprio quadro percettivo, il gusto. Aggiunge cose, ne dimentica altre. Anche la vita mentale è movimento.

Oggi però pensavo che sempre, in ogni momento della mia vita, da quando l’ho incontrata per la prima volta qualche anno fa, Of Mere Being di Wallace Stevens mi colpisce e mi fa fermare davanti a sé (al suo cospetto) con la stessa forza.

L’immagine che racchiude rimane intoccabile, irraggiungibile, nonostante sia veramente davanti agli occhi. Come è possibile?

Non lo so.

Ecco il testo e la traduzione di Bacigalupo.

Carla Accardi

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di Elena Volpato

Il Macro, Museo d’Arte Contemporanea di Roma, offre una personale a Carla Accardi artista ormai ottuagenaria che ha fatto la storia della pittura astratto-concreta in Italia. Era poco più che ventenne quando sottoscrisse il manifesto di Forma 1 nel marzo del ’47 con il quale la giovane generazione di artisti incominciava a prendere a spallate il linguaggio pittorico tradizionale nell’immediato secondo dopo-guerra. Il segno fortemente grafico della Accardi è al centro di un lettura critica che lo vuole di volta in volta figlio spudorato di un’intuizione non sua, ma piuttosto del collega e marito Sanfilippo, oppure espressione totalmente diversa da quello e innovativamente volta verso una tensione ottica capace di giungere sino al limite dell’ambiguità percettiva.

Tabù da infrangere preferibilmente entro… (vedi la data di scadenza)

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di Günther Anders

anders.gifDa tempo ho il sospetto che ciò che nella letteratura è definito “appassionante”, debba questa sua caratteristica al tabù. È questo il motivo del ruolo centrale dell’assassino nella tragedia. L’angoscia dell’incesto eccita lo spettatore di Edipo. La tensione subentra perché all’orizzonte affiora l’inquietante possibilità della violazione di un tabù. Quando il tabù che sta alla base di un dramma ha perso la sua capacità terrifica e quando non è più compreso, allora il dramma cessa di essere appassionante.

Colazione al Fiorucci Store (Milano)

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fiorucci.jpgdi Gemma Gaetani

I thought I was someone else, someone good
Lou Reed

1. Dopo il primo bacio in discoteca, venti minuti che lo conoscevo, tre rum e coca che avevo bevuto, le affinità elettive percepite, tra le reciproche salivazioni.

La mia più grande fantasia erotica
è che qualcuno di cui mi innamori,
per una magica alchimia robotica,
anche di me. Così. Lui si innamori.

Dimensione Follia

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di Elena Volpato

Ha aperto alla Galleria d’Arte Contemporanea di Trento una mostra curata da Roberto Pinto intitolata Dimensione Follia. Inevitabile la perplessità iniziale sulla scelta tematica. Leggi “follia” e ti si rovesciano addosso pagine e pagine di letteratura critica, dalle prime letture psicanalitiche dell’arte fino all’Art Brut. Sembra proprio di non poter sostenere di nuovo, all’interno di una mostra, tutta la mitologia del folle genio artistico che, dall’ottocento romantico in poi, non riusciamo, nonostante i molti tentativi, ad allontanare. Ma proprio quando tutte le premesse sembrano allontanarci da un progetto, l’intelligenza del curatore e il valore delle opere in mostra ci fanno incredibilmente ricredere.

Coetzee e le euforiche esequie del reading

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di Sergio Garufi

coetzee.jpg

Che avesse ragione Pontiggia, quando sosteneva che i reading letterari sono delle euforiche esequie sulle cui poltrone educatamente s’attedia/ il pubblico di gente intelligente/ più della media (G. Giudici)?

Pinochet: ingiurie

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di Henri Deluy (n. 1931)

I

Una faccia
Di topo
In bocca,
Rode.

Istruzioni per la creazione di ordigni esplosivi #3

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di Tiziano Scarpa

kamikaze2.jpgCon questa minuscola sillaba ti sposo

Nel diario non si fa soltanto rappresentazione. La rappresentazione è un’altra delle acquisizioni meschine che molti critici si aspettano dagli scrittori. Rappresentare, rappresentare, rappresentare sempre. Il tipico, il generico, la storia emblematica, la classe sociale, l’Italia di oggi, il paesaggio antropologico…

Istruzioni per la creazione di ordigni esplosivi #2

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di Tiziano Scarpa

cartelloStrad.jpgIl diario è una bomba nucleare fatta in casa

Io non tengo un diario soltanto per ricordare eventi. Scrivo il mio diario anche per sviluppare idee, annotare intuizioni, progetti di libri da scrivere. Nel redigere quello che mi è successo, io faccio uso del mio passato.

Penso che il diario sia una delle potenzialità più esplosive della letteratura attuale e futura.

Istruzioni per la creazione di ordigni esplosivi #1

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di Tiziano Scarpa

bomba.jpgIo non ricordo quasi niente di quello che faccio. Quando penso al mio passato, non so bene che cosa dire. Le cose mi vengono in mente per categorie, per somiglianze, non per sequenze temporali. Le connessioni del mio cervello non sono narrative. Non riesco a riassumere decentemente un film, però mi ricordo nei dettagli alcune scene che mi hanno colpito, ma che non saprei ricollocare dentro il flusso del prima e del dopo. Non so ricostruire l’intreccio di un romanzo, ma ricordo con precisione quando è comparsa la parola “caffettiera”: mi ricordo bene la posizione nella pagina, a che altezza era la riga.

L’impero e i sensi

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Conflitto permanente: cronaca dei modi che il cinema propone per aggirare l’Impero: Venezia 2004

di Sparajurij/Pan

biennale.gif In questo scorcio d’arte cinematografica d’autunno e di Festival di Venezia 2004, era volgare, i temi conduttori, con singolari rimandi tra film e cinematografie diverse, sembrerebbero essere in ordine sparso:
la ricerca del corpo giovane, l’irrazionalità della storia e della vita ai tempi dell’Impero dallo sperma, al feto, all’aborto, al tavolo anatomico, con un occhio particolare alle disabilità e all’ipotesi dell’eutanasia.

La Terra del Fuoco # 2

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di Antonio Moresco

Tierra del Fuego 2.jpgE’ passato un giorno. Il tempo è cambiato, come succede qui, che cambia continuamente anche all’interno di una stessa giornata. Adesso piove, fa freddo. C’è una luce plumbea, lunghe striscie grigie di nubi tagliano in due le montagne. Siamo nel Parco Nazionale, con le sue foreste fredde, le sue lagune e le sue baie, i faggi che qui si sono modificati e sono diventati dei sempreverdi, gli altri alberi tra i cui rami ci sono grandi sfere di vischio, dai tronchi ricoperti di licheni, attaccati da cancri ed esplosi qua e là per un’abnorme produzione di ormoni. Ce ne sono dappertutto. Grandi escrescenze esplose di legno e tutt’ intorno distese di alberi morti, scortecciati o ricoperti di licheni, perché anche gli alberi muoiono e se non vengono tolti rimangono in mezzo ai vivi. E poi ci sono i castori, che qui sono più grandi del normale, sono lunghi un metro, e portano la morte dappertutto, sono un vero flagello per queste foreste. Perché le zone dove si fermano e scavano le loro tane e costruiscono le loro dighe presentano dopo un po’ un impressionante spettacolo di morte vegetale. Distese di cadaveri verticali di alberi in mezzo agli altri alberi che qui crescono lentamente per il freddo. Ci vogliono 80 anni perché riesca a crescere un albero di dimensioni medio-piccole. Figurarsi quanti ce ne vogliono per gli alberi grandi! Si vedono ancora le zone con i mozziconi degli alberi abbattuti dagli ergastolani, quelli tagliati raso terra durante l’estate e quelli tagliati a un metro d’altezza durante l’inverno, in mezzo alla neve.