di Antonio Moresco
È passato un anno. Sono di nuovo in Argentina con Giovanni. A Buenos Aires abbiamo trovato di nuovo Laura e Nic, che erano qui già da un mese. Ci siamo fermati alcuni giorni per assorbire il cambio di stagione e il fuso orario, prima di scendere nella Terra del Fuoco. Siamo tornati nel solito hotelito. Adesso, nell’ingresso, hanno messo una grande fotografia di Gardel vicino al solito quadro del Sacro Cuore col muscolo cardiaco in mano. C’è anche quest’anno il solito vecchietto piegato in due e semiparalizzato che si sposta girato di fianco, a passettini, lo stesso che avevamo sorpreso l’anno scorso a culo nudo, una notte, mentre cercava di adescare alcuni ragazzi fermi a confabulare sul ballatoio. Si vede che vive qui tutto l’anno. Gira ancora in mutande, col pentolino del mate in mano. Ci ha riconosciuto immediatamente. Quando ci ha visti passare con gli zaini la sua faccia sofferente e grinzosa si è deformata per un istante in un sorriso. Adesso sta quasi tutto il tempo coricato sul letto, come morto, con gli occhi chiusi, stecchito, respirando a fatica, con una coperta di lana, da cavallo, tirata su fino al mento nonostante il caldo di fine estate. Si vede spuntare la sua testa irrigidita, quando si passa di fronte alla sua camera dalla porta perennemente aperta per far circolare l’aria. Ha cercato anche di attaccare bottone con me, un pomeriggio, mentre stavo seduto fuori dalla mia porta, su una sedia di plastica. «Habla español?» ha buttato lì fermandosi un momento per tirare fiato.