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Poesia fuori del sé, poesia fuori di sé

Poesia fuori del sé, poesia fuori di sé / Vincenzo Ostuni

[Di seguito, la prefazione al numero de L’illuminista dedicato ai Poeti degli anni Zero, che stasera viene presentato all’ESC.]

Nella premessa collettiva a Parola plurale, senz’altro la migliore antologia di poesia italiana apparsa almeno in quest’ultimo decennio – antologia che, lo ricordiamo, abbracciava un arco temporale amplissimo, fra gli anni Settanta e i primi Duemila – i curatori mettevano in guardia contro certe antologie curate da poeti, colpevoli di non giustificare in maniera criticamente adeguata la loro struttura, le linee di ragionamento e di indagine che ne motivavano la composizione; con la conclusione – del tutto condivisibile, nei casi citati – che tali linee fossero logicamente ed empiricamente debolissime.

Raccogliendo il generoso invito rivolto da Walter Pedullà ad allestire un’antologia dei poeti degli anni Duemila, chi scrive ha dovuto confrontarsi con la medesima preoccupazione, rivolta su sé. Certo di non poter che costituire un «canone policentrico», vista la natura della poesia del decennio e vista anche la mia stessa difficoltà, come poeta, a riconoscermi in tendenze o gruppi oggi attivi, ho dovuto ricorrere a un criterio composito, ciò che fa di questo volume una creatura ibrida: non una mera ricognizione ma neppure un’antologia di tendenza.

Innanzitutto, va detto, ha agito un’istanza per così dire sancitoria. D’accordo con il committente, si è deciso cioè di scegliere autori che si possono giudicare, fatte la debita tara della «sottoboschività» connaturata alla nostra poesia, compiutamente emersi negli anni Duemila e non prima: autori che nel decennio appena trascorso siano stati oggetto per la prima volta di un’attenzione critica relativamente diffusa e abbiano pubblicato i loro primi libri importanti, potendo vantare oggi un numero congruo di pubblicazioni (anche se, va detto, il fenomeno del «plaquettismo», determinato in buona sostanza dall’esiguità economica della nostra poesia, ha abbassato più che mai, con eccezioni, è chiaro, il rapporto fra il numero di opere pubblicate e il numero di pagine, in una sorta di parossismo del precetto callimacheo). Sono stati così esclusi alcuni autori che – come Michele Fianco o Alessandro De Francesco – hanno pubblicato nei Duemila ottimi libri, ma non paiono ancora essere stati ascoltati in maniera soddisfacente. Questo stesso criterio ha determinato anche, come concausa, l’elevata età anagrafica degli autori inclusi: perché ad esser fioriti negli anni Duemila, ad aver pubblicato in questi anni i loro primi libri importanti, sono a volte autori dall’esordio precedente e per lo più sopra la quarantina; il giovane Gian Maria Annovi ne ha trentadue, non più pochissimi. Nel nostro paese non solo, com’è noto, i quaranta non valgono come limite superiore della gioventù poetica – mentre per la narrativa la soglia, pur alta, pare ormai stabilita dal costume mediatico: sotto i trenta si fatica persino ad esistere.

Data questa prima soglia d’agnizione, sono però intervenute scelte di poetica. In primo luogo, si sono esclusi, forse con qualche rigore di troppo, rappresentanti del sempre risorgente fenomeno del poetese, per usare un termine caro a Sanguineti: quella sorta di koiné elegiaca, suicentrica, che populisticamente (di fronte a quale popolo, poi?) proclama di fondare la vitalità dell’arte poetica non già sulla tecnica e sulla materialità della scrittura, bensì sulla pretesa del poeta – ultrapostumo vate – di attingere direttamente a verità profonde, preferibilmente semplici o a volte insondabilmente oscure, ma comunque prive di ogni pur tenue capacità di spostamento delle attese, o anche solo di una minima sorpresa cognitiva o formale. Una metafisica del poeta (più che della poesia) che ha trovato nella generale celebrazione del tramonto delle neoavanguardie – fra gli anni Settanta e gli anni Novanta – un fecondissimo brodo di coltura. Bando dunque, per usare le parole di Enrico Testa, ad autori che si pongono entro gli angusti confini della «mitografia della figura dell’autore» – confini entro cui calza intera una certa dimessa elegia del quotidiano, forma perniciosa di preterizione narcisistica.

La seconda categoria di esclusioni ha da fare con un fenomeno pur caratterizzante, e da non trascurarsi affatto in sede critica, della poesia degli ultimi dieci anni: il suo essere diffusamente fruita come spettacolo. Le letture pubbliche e i festival proliferano: e la gran parte dei poeti qui antologizzati – anche i meno simili dal punto di vista tecnico-formale – ha sviluppato negli anni un proprio convincente stile di lettura orale. Tuttavia, è opinione di chi scrive non solo – e questo è ovvio – che l’ascolto, per di più un ascolto unico, di un testo poetico non consenta al fruitore di accedere che a una minima porzione della sua ricchezza espressiva, bensì che anche la comunità critica sia stata in certi casi indotta a una sopravvalutazione di autori i cui testi hanno il proprio principale valore nel risultare particolarmente efficaci al primo ascolto. Alcune esclusioni di autrici e autori affezionati a quel veicolo forse sorprenderanno, ma sono sostenute dall’intenzione di ristabilire la primazia della lettura su pagina, o almeno il dovere di farne verifica: e altrettanta ferma è l’intenzione di contrastare l’opposto fenomeno per cui alcuni autori, di particolare successo nelle letture pubbliche, vengono poi erroneamente relegati a quel solo ambito – su tutti, è stato il caso di Sara Ventroni.

Epigonismo lirico e sopravvalutazione della performance, ecco i due primi criteri di esclusione. Cosa però accomuna positivamente i nostri autori? Per la gran parte o forse la totalità dei poeti qui antologizzati, può valere – come ipotesi generale e provvisoria, tutta ancora da precisare e verificare – il riferimento a una categoria molto utilizzata nell’ultimo decennio, quello di «poesia di ricerca». La definizione più compendiosa, ma anche la più estensiva, che io ne conosca è dovuta a Paolo Zublena, in «collaborazione» con Enrico Testa. Vale la pena citarla per esteso:

Si pensi almeno, secondo quanto riconosciuto da una decisiva analisi di Enrico Testa, basata soprattutto su Viviani e De Angelis, agli elementi che seguono: 1) «segni pronominali di tipo anaforico destituiti di antecedenti […] e, in genere, forme deittiche […] riferite a enti non direttamente riconoscibili neanche nello svolgimento tematico del discorso successivo»; 2) «incipit stranianti che fanno del testo una sequenza poggiata su una sorta di vuoto linguistico»; 3) «slogatura dell’andamento discorsivo» (anomalie della focalizzazione, disgiunzioni incongrue, cambi di modalità enunciativa, cambio di locutore anche senza marche di discorso diretto); 4) «uso anomalo dei nomi propri di persona» (anche questo un caso di inscrutabilità della referenza).

[…] Si possono aggiungere: un frequente principio di esitazione che indebolisce i confini sintattici, costellando di indecidibili il processo di lettura (un nome può essere l’oggetto di un verbo che viene prima, ma anche il soggetto di un verbo che segue, ad esempio); il montaggio di segmenti testuali semanticamente estranei tra loro; il contraddire delle parentetiche; l’interruzione del discorso non più soltanto attraverso la reticenza formale retoricamente motivata, ma anche con un brusco e immotivato taglio. Si tratta di procedure che riducono la linearità del discorso e danno luogo non a una sparizione del senso, ma a una sua disseminazione, che revoca ulteriormente in dubbio il postulato di un soggetto unitario, resecando alla base l’ipotesi di un suo coerente «voler dire».

È anzi possibile ipotizzare che, senza necessariamente occorrere tutti insieme, questi tratti caratterizzino quella che con qualche approssimazione si può definire come poesia «di ricerca» rispetto al più o meno banale epigonismo coltivato da autori anche di valore (Gezzi e Maccari, per fare due esempi tra i più giovani), o alle occorrenze dello stile semplice dall’andamento più biografico-narrativo. In questa direzione, insomma, va registrata una prossimità di codice tra poeti anche molto diversi tra loro per ragioni tematiche o stilistiche: da Mesa a Ottonieri, fino a Raos, Giovenale, ma anche Calandrone o Bonito. Le basi extralinguistiche di queste configurazioni testuali restano per tutti la tendenza alla disidentificazione della soggettività espressa nel testo poetico, e insieme l’opacità e quasi la resistenza del referente-mondo a costituirsi in un senso lineare: orizzonte postlirico che si contrappone a un mai domo e anzi ritornante lirismo, la cui natura difensiva prevede anche il rifugio nelle certezze della sintassi e della testualità tradizionali.

Si tratta dunque ancora, in buona sostanza, di una contrapposizione fra lirismo e antilirismo – che includerà però, nel nostro caso, come cercheremo in alcuni casi di dimostrare, tratti di un lirismo relativamente asoggettivo, caratterizzato da una dismissione di ogni tirannide epistemica dell’«autore reale»; o ancora forme autobiografiche ma sostanzialmente antiliriche. Rispetto dunque alla definizione di Zublena, saremo forse più liberali non già nell’estensione ma nell’intensione: non solo, nei nostri autori, i tratti citati non occorrono «necessariamente […] tutti insieme», ma sostanziali divergenze limitano l’omogeneità di questo gruppo, cui dunque potremmo scherzosamente pensare come a un ampio centrosinistra della poesia italiana. (E si pensi a fenomeni di frangia, come l’aria di famiglia che potrebbe scorgersi fra certo Inglese – che pure si farebbe fatica a definire come il più tradizionale tra gli autori qui inclusi – e il pur apprezzabile ma, sono d’accordo, lirico-lirico Gezzi del recente L’attimo dopo). Tuttavia, le parentele non mancano. Autori di opzioni decisamente brachilogiche ed ellittiche sono Annovi, Biagini, l’ultima Frene, Giovenale, Marzaioli, Pugno, Sannelli, in certi casi anche Ventroni: un carattere dominante. Una tendenza invece quantitavamente eccedente, dall’ambizione ermeneutica più classica, può esser vista in Inglese, in specie il primo Inglese ma anche quello delle ultime Lettere alla Reinserzione Culturale del Disoccupato, in Riviello o, ancora, nei testi più lunghi di Ventroni o nella prima Frene, ma anche, criptata in modi diversi, in Zaffarano o Bortolotti da un lato e in Calandrone dall’altra. All’opposto, le affinità autoattribuite – come per esempio all’interno del gruppo di lavoro e sito GAMMM, che comprende Bortolotti, Giovenale, Inglese e Zaffarano (e comprendeva Sannelli), oltre che i notevoli Alessandro Broggi e Andrea Raos, o della Camera Verde, gloriosa galleria, casa editrice e luogo d’incontro romana, il cui catalogo annovera, oltre ai cinque di GAMMM qui rappresentati, anche Marzaioli – non sono sempre, a un esame critico, le più convincenti.

Poesia fuori del sé, fuori cioè del suicentrismo lirico – e anche fuori di quel surrogato avanguardista del sé cartesiano che, in un’ipotesi di Testa, sarebbe l’«enfasi sull’aspetto monumentale dell’opera, sui suoi tratti di immobilità e compiutezza»: enfasi che condurrebbe nel fronte della tradizione «alla sopravvalutazione del valore estetico o, nel caso dell’avanguardia, pragmatico del testo». Ma qualche parola va pure spesa per un fenomeno molto importante della poesia italiana recente: il suo multiplo uscire fuori da sé. Per due versi, infatti, si potrebbe parlare di «poesia fuori della poesia» come fenomeno di punta del decennio. In primo luogo, una maggioranza qualificata di poeti qui antologizzati pratica attivamente altre arti, portando queste loro dimensioni espressive a interagire fittamente con la testualità. Nella gran parte dei casi si tratta della fotografia (almeno Annovi, Bortolotti, Calandrone, Giovenale, Inglese, Marzaioli, Ventroni, Zaffarano, mentre Pugno ha collaborato strettamente con il fotografo Elio Mazzacane), ma annoveriamo forme installative (Biagini), musicali (Zaffarano), teatrali e cinematografiche (Calandrone, Inglese, Pugno, Sannelli), videoartistiche (Inglese), persino incisioni (Frene) e coreografie (Ventroni) eccetera eccetera. Questo aspetto merita di essere studiato a fondo e qui non ci limitiamo che ad annotarlo – rilevando anche come esso sia stato raccolto e incoraggiato, in un circolo virtuoso, da una delle collane più coraggiose della poesia italiana di questi anni, quella “fuoriformato” diretta da Andrea Cortellessa per Le Lettere di Firenze che ha ospitato le opere forse più importanti di Giovenale e Pugno e senz’altro la più importante di Ventroni.

Esiste un altro senso in cui la poesia è uscita fuori di sé. Si tratta della risorgenza della poesia in prosa, o meglio (i coinvolti tengono molto alla distinzione) della «prosa in prosa», titolo dell’altro “fuoriformato” che ha avuto il merito di portare il fenomeno alla piena attenzione degli addetti. Non solo scrivono in prosa Bortolotti, Giovenale, Inglese e Zaffarano, ovvero i quattro dei sei autori di Prosa in prosa inclusi in questa antologia: ma lo fanno o lo hanno fatto anche Calandrone, autrice di interessanti prosimetri, Marzaioli, Riviello, Sannelli e in qualche misura Ventroni. Fra gli esperti del sottogenere, o del non-genere, ci si divide sull’appartenenza di questo alla prosa o alla poesia, ma a noi pare che, al di là di questioni nominalistiche, queste prose siano poeticamente apparentabili alla poesia. Ci soccorre in questa convinzione Paolo Giovannetti, il critico più esperto del genere, quando sostiene in apertura della sua introduzione a Prosa in prosa:

In Francia o negli Stati Uniti, ma certo in molte altre parti dell’universo global, Tecniche di basso livello [l’ultimo libro di Bortolotti] e questo che state leggendo ora sono libri di poesia. Anzi, per dirla tutta e per prendere nettamente posizione: il volume di Bortolotti e questo che state leggendo ora sono libri di poesia.

Per l’argomentazione tassonomica rimandiamo alla lettura di Giovannetti: qui basti ribadire come oggi, non solo in Italia, la scrittura di prose brevi e fortemente antinarrative sia un quasi monopolio dei poeti, anche per reazione, come ha intelligentemente notato Inglese, a una sorta di claustrofobia che il verso imporrebbe:

Una buona parte degli autori che oggi in Francia e in Italia scelgono di scrivere poesia in prosa lo fanno per un’insofferenza nei confronti del verso e di ciò che esso implica in termini di automatismi stilistici, lessicali e persino tematici. A volte si constata un vero e proprio «disgusto» del verso, che ovviamente è conseguenza di una necessità di rottura nei confronti delle aspettative del genere nel loro insieme.

Esiste dunque un’obiettiva consonanza fra chi oggi pratica la prose en prose come naturale estensione o complemento della propria attività poetica e un autore come Bortolotti che ne fa l’unico mezzo espressivo: l’eccezione in questo caso conferma proverbialmente la regola; in questo senso, e forzando un po’, alla certezza con cui in alcune interviste Bortolotti si confessa prosatore, ci sentiamo di controbattere, con Giovannetti, che Bortolotti è un poeta e non lo sa.

Un’ultima nota metodologica. Abbiamo preferito limitare il numero di poeti a quelli che ci sono parsi strettamente necessari e preferito fornire di ciascuno un’ampia scelta, maggiore di quanto normalmente accada nelle antologie. Questa opzione ha ovvi vantaggi, ma comporta un rischio maggiore di omettere autori importanti. Del resto, il medesimo rischio vale per chiunque metta mano a un’antologia, qualunque sia il numero di poeti che decide di antologizzare, per un misterioso fenomeno di asintotica insufficienza. È il peccato originale di ogni antologia, si direbbe: la sua cattiva infinità. Precorrendo i tempi, dichiaro fin da subito i miei principali (non certo gli unici) dubbi: oltre ai poeti già citati in questo testo e nelle note, aggiungo qui Luigi Socci e Italo Testa. Come quelli, anche questi faranno di certo molto parlare di sé: fuori di sé, com’è ovvio.

Note:

Parola plurale. Sessantaquattro poeti italiani fra due secoli, a cura di Giancarlo Alfano, Alessandro Baldacci, Cecilia Bello Minciacchi, Andrea Cortellessa, Massimiliano Manganelli, Raffaella Scarpa, Fabio Zinelli, Paolo Zublena (luca sossella, 2005). Va notato che, in alcuni casi con notevole precocità, Parola plurale antologizzava cinque degli autori qui riproposti (in ordine alfabetico: Biagini, Frene, Giovenale, Inglese, Sannelli) e ne citava altri due (Pugno e Ventroni) fra gli esclusi per criteri di «soglia bibliografica».

Un criterio più ovvio, quello dell’esiguità delle opere edite, ha impedito l’inclusione di autori – in alcuni casi già noti per la loro attività critica o narrativa – che vanno seguiti con grande attenzione. È il caso di citare almeno Elisa Davoglio, Gilda Policastro, Luigi Severi.

E. Testa, Antagonisti e trapassanti: soggetto e personaggi in poesia, in Per interposta persona. Lingua e poesia nel secondo Novecento, Bulzoni, 1999, pp. 11-32: 12; cit. in P. Zublena, Chiusure ospitali e altri paradigmi di disseminazione, in Nuovi poeti italiani (a cura Eiusd.), fasc. monografico di «Nuova Corrente», n. 135, gennaio-giugno 2005, pp. 163-190: 169. Il numero contiene anche un importante saggio di G. Alfano e antologizza poeti italiani del decennio 1996-2005: in ordine di nascita Bonito, Zuccato, Lo Russo, Raimondi, Berisso, Gardini, Inglese, Frene, Raos, Giovenale, Biagini, Pugno, Fusco, Santi, Di Prima, De Alberti, Maccari, Gezzi.

E. Testa, L’esigenza del libro, in La poesia italiana del Novecento. Modi e tecniche, Pendragon, 2003, pp. 97-119: 114-118.

P. Zublena, Come dissemina il senso la poesia di ricerca, s.d., sul sito dell’Enciclopedia Treccani all’indirizzo http://www.treccani.it/Portale/sito/lingua_italiana/speciali/poeti/zublena.html. Corsivo nostro.

M. Gezzi, L’attimo dopo, luca sossella, 2009.

E. Testa, Antagonisti e trapassanti…, cit., ibidem.

Andrea Inglese, Gherardo Bortolotti, Alessandro Broggi, Marco Giovenale, Michele Zaffarano, Andrea Raos, Prosa in prosa, Le Lettere, 2009. La definizione di «prosa in prosa» si deve allo scrittore francese Jean-Marie Gleize, che parla proprio di «uscite» dalla poesia (Sorties, Questions théoriques, 1999).

Paolo Giovannetti, Dopo il sogno del ritmo. Installazioni prosastiche della poesia, introduzione a Prosa in prosa, cit., pp. 5-17: 5. Da notare che l’autore della preziosa nota finale, Antonio Loreto, diverge tassonomicamente: si tratta per lui di prose. Andrea Inglese ascrive altrove queste prose alle «arti poetiche», termine costruito in analogia con le «arti visive».

A. Inglese, Poesia in prosa e arti poetiche. Una ricognizione in terra di Francia, in «Trivio», n. 0, 2008, pp. 85-109: 85.

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159 Commenti

  1. “Si tratta dunque ancora, in buona sostanza, di una contrapposizione fra lirismo e antilirismo”. Che novità! Io credo che la poesia dovrebbe suggerire qualche nuovo concetto di “io”, “soggetto”, “mondo” etc e qualche nuova idea sulle relazioni tra questi concetti, piuttosto che appiattirsi su concetti filosofici già vecchi e su diatribe già superate: “io unitario” vs. “io multiplo”, “linearità” vs “disseminazione”. O pure, detto altrimenti, spostando l’origine del problema (ma il circolo è qui vizioso!): io credo che i critici dovrebbero allenarsi a leggere nei testi dei poeti suggerimenti per nuovi concetti di “io”, “soggetto”, “mondo” etc. piuttosto che leggervi il riflesso di concetti filosofici già vecchi etc.

    Lorenzo

  2. sono d’accordo con Lorenzo. poi mi sembra, ad occhio, un’operazione romanocentrica con nomi non proprio e non sempre di qualità.

  3. Apprezzo la poesia odierna, ma non ho mai ben capito l’allontanamento del lirismo, l’abbandono del centro raggiante dell’esperienza del mondo e degli altri come punto di partenza le “je”, la poesia è un esperienza del fuori limite del je, ma considero la poesia una metamorfosi
    dell’essere per raggiungere il centro vitale della vita: le “je” puo invadere una stanza, un albero, uno stato di anima,
    un gatto, la polvere,
    la scrittura è il laboratorio essenziale dell’identità diversa
    del poeta,
    un nascere costante,
    credo nel ritorno del lirismo.

  4. Secondo me queste operazioni antologizzanti, monumentalizzanti, lasciano il tempo che trovano, in generale. sono mappe imprecise, quasi sempre, e quasi mai all’altezza dei canoni annunciati. Prendo la parola così brutalmente legittimato da tre dati fondamentali: il primo è che ho in grande stima tutti i poeti che sono compresi nella playlist (a molti sono legato da lunga amicizia) e il secondo è che non faccio il poeta né libri di poesia. Il terzo motivo, quello più importante è che credo di essere in grado di capire una prefazione ostica come quella dell’Ostuni e di confutarne alcuni dei paradigmi adottati.

    primo paradigma, detto anche degli affiliati
    scrive Vincenzo:
    Nella premessa collettiva a Parola plurale, senz’altro la migliore antologia di poesia italiana apparsa almeno in quest’ultimo decennio – antologia che, lo ricordiamo, abbracciava un arco temporale amplissimo, fra gli anni Settanta e i primi Duemila – i curatori mettevano in guardia contro certe antologie curate da poeti, colpevoli di non giustificare in maniera criticamente adeguata la loro struttura, le linee di ragionamento e di indagine che ne motivavano la composizione; con la conclusione – del tutto condivisibile, nei casi citati – che tali linee fossero logicamente ed empiricamente debolissime.

    Concordo con la “grandiosità” oltre che del formato anche delle intenzioni dei curatori e spingendomi oltre, dico che sicuramente tale opera ha permesso a dei critici che stimo molto, come Giancarlo Alfano di prendere parte alla piccola rivoluzione della nuova critica in Italia. detto questo, e ne abbiamo già discusso con lo stesso Cortellessa che ne ammetteva l’errore, da quell’antologia venivano espunti dei percorsi come quello di Biagio Cepollaro rendendo incomprensibile o comunque storicamente falsata tutta la lettura del gruppo 93. ma la parte più preoccupante del paragrafo è la conclusiva, dominata dal paradigma dei poeti secchioni:

    poeti, colpevoli di non giustificare in maniera criticamente adeguata la loro struttura, le linee di ragionamento e di indagine che ne motivavano la composizione

    paradigma dei dissociati

    scrive Vincenzo
    Esiste un altro senso in cui la poesia è uscita fuori di sé. Si tratta della risorgenza della poesia in prosa, o meglio (i coinvolti tengono molto alla distinzione) della «prosa in prosa», titolo dell’altro “fuoriformato” che ha avuto il merito di portare il fenomeno alla piena attenzione degli addetti.

    Vincenzo sai bene che quella operazione (Prosa in Prosa, Poesia in Prosa, a prose is a prose…) si è esposta nei mesi successivi a un micro dibattito (assai autoreferenziale e circoscritto) proprio per la debolezza del collante tra proposito teorico e testi proposti a corollario e di certo non ha condizionato né condizionerà mai, secondo me, il rapporto degli autori ai generi dal momento che secondo me, accadrà. ma già accade che gli autori saranno sempre più iscritti nel mega genere delle scritture (vd Premio Dedalus) e le scritture nei generi (saggistica, poesia, narrativa) in cui si potranno più o meno collocare a seconda dell’opera proposta.E questo vale a maggior ragione per i testi ibridi

    Paradigma dei simpatizzanti
    Bortolotti è un poeta e non lo sa.
    Vincenzo, questa poi, eddai….

    paradigma dei con chi te la fai
    scrive Vincenzo
    All’opposto, le affinità autoattribuite – come per esempio all’interno del gruppo di lavoro e sito GAMMM, che comprende Bortolotti, Giovenale, Inglese e Zaffarano (e comprendeva Sannelli), oltre che i notevoli Alessandro Broggi e Andrea Raos, o della Camera Verde, gloriosa galleria, casa editrice e luogo d’incontro romana, il cui catalogo annovera, oltre ai cinque di GAMMM qui rappresentati, anche Marzaioli – non sono sempre, a un esame critico, le più convincenti

    qui non ho capito, ( come del resto il passaggio al paradigma delle imposte ridotte, ovvero quando scrive dell’argomentazione tassonomica) però chiedo lumi all’estensore della preface…

    Paradigma dei poeti timidi e scontrosi (detto anche dei freddi di chiamata)

    Epigonismo lirico e sopravvalutazione della performance scrivi tu, Vincenzo
    come i nemici da abbattere, suggerisce Ostuni, aggiungendo molta confusione a parer mio, alla confusione che caratterizza questo testo.
    Si arriva al paradosso, sembra dirci tra le righe, che la capacità performativa (reading? esibizione? Slam? recitazione?) nuoce all’opera quasi ne disinneschi la potenza più della non abilità di poeti in quanto lettori o performer, e questo, lasciatemelo dire, non sta né in cielo né in terra.
    Con tutto il bene che vi voglio, ma perché continuare a farsi del male, con l’aggravante di essere convinti di fare del bene?

    serenamente
    effeffe

  5. Risposta per fabiognomi: altro che romanocentrica! Vi sono ben 7 autori su 13 non romani, romanocentrica solo perchè lo è il curatore?

  6. è stata una serata interessante, all’insegna dell’autoironia a quanto ho capito.

    prima elisa biagini ha letto una orazione.

    poi francesco muzzioli ha detto “ateismo per tutti!” e che bisogna abbandonare il “poetese” e la poesia come preghiera.

    poi maria grazia calandrone ha letto una preghiera.

    per fortuna c’era laura pugno. che ha letto un’invocazione sciamanica.

    amen.

    una madre.

  7. lorenzo, lo so benissimo cosa intendi per romanocentrica, ma i critici, lo stesso curatore/autore e gli autori antologizzati sono “espatriati” in tutti i sensi da molto tempo, non siamo negli anni ottanta, almeno da questo punto di vista…

  8. ma poi…. avete letto l’antologia? eravate presenti, ” madre”, alla serata di ieri? a quanto ho capito no…

  9. La prefazione di Vincenzo all’antologia si limita a “lirismo”/”antilirismo”? Le annotazioni non saranno un filo più articolate, anche (ma non esclusivamente) con riferimento a pagine di Zublena e Testa?

    Aggiungo.
    Francesco, quando scrivi che gli autori [di “prosa in prosa”, e anche altri] “saranno sempre più iscritti nel mega genere delle scritture (vd Premio Dedalus) e le scritture nei generi (saggistica, poesia, narrativa) in cui si potranno più o meno collocare a seconda dell’opera proposta” non stai forse dimenticando la quarta categoria, “altre scritture”, nata proprio nel Dedalus anche per la riconoscibile non classificabilità (che può>/em> non essere soltanto “ibridazione”) di alcune scritture? [E non penso qui solo a pagine identificabili come “prosa in prosa”, ma anche a flashes genialmente inclassificabili come le Cartoline dai morti di Arminio]

    Che delle scritture debbano essere inscritte in un “mega genere delle scritture” non vedo come possa evitarsi, essendo scritture. Che i generi siano sempre invariabilmente fissi e che alcune opere non possano in nessun modo rivelarsi – talvolta, in certi casi – non dico tracce di un cambio di paradigma avvenuto, ma led accesi di possibili cambiamenti in atto o venturi, lo trovo dubitabile. O almeno a me accade di dubitarne.

    Sul tema della performance, Vincenzo esclude (se leggo bene) la “sopravvalutazione della performance” (corsivo mio). Ossia, se interpreto correttamente, esclude – in questa rassegna per “L’illuminsta” – un modo di accostamento all’opera che (con sue proprie e specifiche chiavi di accesso, non solo di lettura) esperisce volentieri il senso dell’opera, la gusta, la affronta, anche a prescindere dalla “lettura su pagina”. Ecco, mi sembra che questo “a prescindere” venga, con questa antologia, criticato.

    Se leggo bene, l’antologia si è (anche, e non esclusivamente) prefissa di “fare verifica” del processo esecutivo e anche performativo di alcuni autori andando alla lettura critica dei testi su carta. In ciò dichiarando un legittimo intento e stabilendo un modo di procedere che non da ieri o da oggi ha il suo senso (e che non penso voglia essere “il” senso), nell’insieme delle possibilità aperte alla critica per affrontare i fatti letterari – o più ampiamente artistici.

  10. un tag errato ha creato un … corsivo eccessivo (perfino nel contesto del mio sempre eccessivo uso di corsivi! :-)

    me ne scuso e ri-posto il commento, corretto:

    La prefazione di Vincenzo all’antologia si limita a “lirismo”/”antilirismo”? Le annotazioni non saranno un filo più articolate, anche (ma non esclusivamente) con riferimento a pagine di Zublena e Testa?

    Aggiungo.
    Francesco, quando scrivi che gli autori [di “prosa in prosa”, e anche altri] “saranno sempre più iscritti nel mega genere delle scritture (vd Premio Dedalus) e le scritture nei generi (saggistica, poesia, narrativa) in cui si potranno più o meno collocare a seconda dell’opera proposta” non stai forse dimenticando la quarta categoria, “altre scritture”, nata proprio nel Dedalus anche per la riconoscibile non classificabilità (che può non essere soltanto “ibridazione”) di alcune scritture? [E non penso qui solo a pagine identificabili come “prosa in prosa”, ma anche a flashes genialmente inclassificabili come le Cartoline dai morti di Arminio]

    Che delle scritture debbano essere inscritte in un “mega genere delle scritture” non vedo come possa evitarsi, essendo scritture. Che i generi siano sempre invariabilmente fissi e che alcune opere non possano in nessun modo rivelarsi – talvolta, in certi casi – non dico tracce di un cambio di paradigma avvenuto, ma led accesi di possibili cambiamenti in atto o venturi, lo trovo dubitabile. O almeno a me accade di dubitarne.

    Sul tema della performance, Vincenzo esclude (se leggo bene) la “sopravvalutazione della performance” (corsivo mio). Ossia, se interpreto correttamente, esclude – in questa rassegna per “L’illuminsta” – un modo di accostamento all’opera che (con sue proprie e specifiche chiavi di accesso, non solo di lettura) esperisce volentieri il senso dell’opera, la gusta, la affronta, anche a prescindere dalla “lettura su pagina”. Ecco, mi sembra che questo “a prescindere” venga, con questa antologia, criticato.

    Se leggo bene, l’antologia si è (anche, e non esclusivamente) prefissa di “fare verifica” del processo esecutivo e anche performativo di alcuni autori andando alla lettura critica dei testi su carta. In ciò dichiarando un legittimo intento e stabilendo un modo di procedere che non da ieri o da oggi ha il suo senso (e che non penso voglia essere “il” senso), nell’insieme delle possibilità aperte alla critica per affrontare i fatti letterari – o più ampiamente artistici.

  11. Tanto per chiarire le questioni geografiche, (rispondo a Lorenzo che non mette il cognome) io per esempio non sono romana, ma veneta, Biagini è fiorentina, Sannelli è genovese, Bortolotti e Zaffarano lombardi ecc. ecc. Per non parlare di quelli che vivono all’estero. Dunque cade da subito questa illazione, che non avrebbe comunque senso. Effe effe mi delude un po’, peccato…

  12. Giovanna se avessi colto il senso del mio intervento che mantiene intatta l’illusione che nutro nei confronti di ciascuno dei poeti citati, probabilmente non ti avrei deluso. Grazie Marco per le precisazioni, per quanto continui a pensare che determinate enfasi, Poeti degli anni zero, siano poco adatte al lavoro dei poeti coinvolti. effeffe

  13. @ elle
    allora mettiamola così, non credo che tutti i poeti romani citati siano di valore, anche se si impegnano nel campo della poesia. poi mi chiedo, e spero che qualche critico illuminato mi possa rispondere, esistono poeti sotto roma?

  14. @ Fabio Gnomi
    tutti i poeti citati sono di sicuro valore
    lo so e ne ho le prove
    effeffe

    ps
    ce ne sono di sicuro valore anche a Roma Nord Est, (vd Rizzante), Roma Sud (vd Giovanna Marmo) Roma Nord Ovest (Francesca Genti, Francesca Tini Brunozzi, Anna Lamberti Bocconi) ecc ecc. Solo per citare alcuni nomi dalle caratteristiche invocate dal curatore. questo per dire che basterebbe proporre i “cartelli” dicendo ecco, oggi ci occuperemo di loro, sono così e così, hanno questo e quello, senza immediatamente mettere in campo manovre inclusive esclusive che inevitabilmente diventano offensive verso altre poetiche. Il che non significa legittimare il tutto fa brodo, il tutti sono poeti, che male fa (ai lettori e ai libri) ma almeno non fa considerare “sottobosco” poeti di sicuro valore. effeffe

  15. maria grazia: grazie per attribuirmi verve creativa, ma non credo in questo caso d’averne dimostrata molta. “orazione? preghiera? sciamani?”
    giustifico così la mia battuta: elisa biagini ha letto con l’uniformità di tono e gli accenti di un prete svogliato ma che tiene alla serietà della messa, che la poesia di laura pugno abbia precisi riferimenti allo sciamanesimo è una tesi abbastanza difendibile, e infine che il primo (?) testo letto da maria grazia calandrone – prescindendo dal modo di leggere – avesse diverse affinità con un inno (pagano?) alla natura madre (“l’acqua è una creatura viva”, “fanciulli divini” o giù di lì) a me sembra poco discutibile. ad ogni modo, sono impressioni mie. Relativismo per tutti!

    ciao!
    una madre.

  16. Giovanna Frene, che scrivi: “Tanto per chiarire le questioni geografiche, (rispondo a Lorenzo che non mette il cognome) io per esempio non sono romana, ma veneta, Biagini è fiorentina, Sannelli è genovese, Bortolotti e Zaffarano lombardi ecc. ecc. Per non parlare di quelli che vivono all’estero. Dunque cade da subito questa illazione, che non avrebbe comunque senso.”

    ti rispondo osservando che il “romanocentrismo” non si giudica in base a dove sono nati i poeti o dove vivono adesso. Bortolotti e Zaffarano fanno parte del “gruppo di lavoro e sito” GAMMM, di cui fa parte anche Giovenale, gruppo che a Roma è attivo presso la Camera Verde. Tra questi si può contare anche Giulio Marzaioli. Sannelli, che vive a Genova, fino a un paio di anni fa faceva parte del medesimo “gruppo” di poeti (e.g., curava Bina con Giovenale). Laura Pugno vive all’estero forse da un anno ma è di certo una “poetessa di area romana”. Laura Pugno e Sara Ventroni e Marco Giovenale hanno pubblicato volumi per la collana Fuori Formato dell’editore Le Lettere a cura del critico romano Andrea Cortellessa. Lidia Riviello opera a Roma e ha organizzato vari (?) RomaPoesia, che vede ospiti molti degli altri poeti citati. Non vedo dunque come si possa parlare di “illazione” per l’osservazione fatta da Fabio Gnomi. Con questo, per me il romanocentrismo o “x-centrismo” non è un problema! Basta non prendersi in giro e non esaltare troppo il “lavoro titanico” del “selezioonatore” che in due mesi ha trascelto i migliori poeti anti-lirici italiani (Ottonieri dixit). Sembra non sia andato troppo oltre la propria Rubrica, ma anche questo, per me non è un problema! Si potranno sempre lodare altri aspetti del lavoro di Ostuni.

    Ciao,
    Lorenzo

  17. @ lorenzo, trovo sia normale che a un certo punto della maturazione di alcuni poeti ci siano e vangano rinvenuti, nonostante tutto, punti di comune sentire su alcune cose poetiche. non vedo dove sia lo scandalo. (e poi, lo fanno un po’ tutti, o mi sbaglio? tanto vale non essere ipocriti) e dunque anche se questa antologia fosse una sintesi del tragitto parallelo avvenuto in/tra questi autori durante questi anni, non vedo il problema, anzi: tutti i fili che via via si erano intrecciati in più di un decennio ora sono giunti a creare un vero e proprio cavo gettato verso il futuro, l’inizio di un ponte. in questo senso, trovo che l’antologia sia del tutto coerente e matura. e arrivata al punto in cui ognuno di noi 13 è avviato verso la piena maturazione espressiva. inoltre, io vivo nel famoso nord-est, piuttosto appartata (e ne sono fiera): ma se penso ai poeti con cui sono stata antologizzata (che stimo anche come persone, in primis) sono molto molto orgogliosa perché so ancora leggere i testi, e li trovo davvero molto belli e validi, di spessore, insomma quelli che leggo sono testi poetici che dicono qualcosa di nuovo, che toccano, che si espongono, che vivono, che sentono

  18. Cari,

    solo brevissime e dovute precisazioni, scusandomi se per il seguito non potrò intervenire.

    Il passo su Parola plurale è stato male interpretato, complice certamente la mia sintassi (ma non mi sembra manchino verbi). Sto lodando Parola plurale e associandomi alla sua prefazione nella critica alle antologie curate da poeti.

    La performance può anche migliorare un testo, ma il giudizio sulla sua qualità testuale-letteraria va fatto su carta.

    A parte evidenti assurdità del tipo “siccome Bortolotti lavora con GAMMM allora è romano” – anche Broggi allora, ecc., mah! – certo che c’è una predominanza d’ambiente romano. Ma che una città “generi” più poesia e poesia migliore di altre in determinati periodi è un dato storico, non una provenienza d’ambiente. Se avessi fatto una poesia sugli anni Ottanta o Novanta, ci sarebbe stata molta più Genova, Napoli, Milano e Roma molto meno. Ho considerato e letto tutti i poeti che avete nominato e alcune decine di altri (per l’esattezza sessanta), e ho ritenuto, con le eccezioni indicate e chiaramente motivate nella prefazione, che quelli inseriti siano, lo dico chiaramente, I MIGLIORI, quelli che hanno prodotto le opere più convincenti durante il decennio trascorso. Detto questo, non mi sembra che la mia opera sia stata titanica, perché le discrepanze di valore sono spesso, anche in questa rosa ridotta di soli sessanta, molto ampie. Questo non significa che oltre ai tredici non ce ne siano altri validi, ma neppure significa che io abbia scelto sulla base di criteri di vicinanza esistentiva o geografica. Ho preso in considerazione alcuni poeti meridionali, Renda Frungillo Policastro e altri, li apprezzo anche, ma ho ritenuto i loro lavoro troppo esigui ancora oppure meno interessanti degli antologizzati.

    Ma grazie ancora dei commenti, passo e chiudo,
    V.

  19. P.S. Alcuni dei poeti che citate sono “compiutamente emersi” nei Novanta, e quindi non rientravano nel criterio cronologico utilizzato.

  20. Frene: nessuno ha parlato di scandalo ma qualcuno e’ parso scandalizzato quando si e’ parlato di romanocentrismo.

  21. E’ molto più corretto, verso se stessi e verso gli altri, scrivere qualcosa del genere: ho avuto l’incarico di preparare un’antologia e vi ho inserito gli autori che mi piacevano di più, quelli che, a mio giudizio, sono i migliori sulla “piazza” – piuttosto che, assemblato il “mazzo”, cercare a posteriori “affinità elettive” inesistenti, e ancora più inesistenti pezze di appoggio teoriche.

    Cos’è che lega, o potrà mai legare, la scrittura di Sannelli e quella di Bortolotti? Come, per quali vie esoteriche, associare la Calandrone (antilirica???) e Giovenale? Li unisce, forse, il fatto che si conoscono tutti di persona? E questa conoscenza sarebbe un plausibile collante critico ed ermeneutico?

    Si eviterebbe, anche, il (molto) risibile dispiacere di non aver potuto inserire tizio/a e caio/a, soprattutto quando tizio/a, magari, ha pubblicato finora una manciata di testi su un volume collettivo; oppure il ricorso ai preclari “trascorsi critici” di caio/a… Ma scusate, gli studi di Massimo Rizzante, per voi, hanno bisogno di presentazioni? E se a questi studi aggiungessimo due eccellenti opere di poesia, più una terza, ancora migliore, ampiamente leggibile in rete? Era almeno nella rosa (!) dei sessanta? E Stefano Guglielmin? E Giuliano Mesa? E Biagio Cepollaro? E Ida Travi? Ed Enzo Campi? E Cristina Annino? E Anna Lamberti Bocconi? E…

    Poeti degli anni zero, ovverosia: Poesia da ri-fondare. Bene. Ma fondare o ri-fondare cosa, se si prescinde da qualcuno di questi nomi?

    Meglio fermarsi qui, prima che qualcuno gridi al “complotto”. Pur sapendo che, come ha dimostrato con grande onestà intellettuale Forlani, l’unico complotto lo create voi con queste ammucchiate, che servono solo a fare “titoli” da aggiungere al curriculum degli inclusi. Provate invece, almeno qualche volta (visto che queste “iniziative” sono ampiamente pubbliche e pubblicizzate), a pensare a qual è l’immagine che arriva al lettore: quale “immagine”, allora, se in ogni antologia, rivista, iniziativa editoriale, al comparire del nome X, sai già che ci sono anche Y, Z, K, W? Quale credibilità in tutto questo?

    fm

  22. Ad FM mi limito a rispondere che – se non vado errato – tutti i poeti da lui indicati, se non vado errato, hanno esordito in anni precedenti e sono dunque esclusi ipso facto, per definizione, da questa antologia. Alcuni ce li avrei messi volentieri, ma la commissione è stata diversa. E’ un’antologia di poeti nuovi! Se vuoi ci metto anche Pagliarani, Montale, Leopardi e Ariosto.

  23. Succede spesso cosi’: si risponde sempre e solo alla parte piu’ debole di un commento critico. I nomi che ha fatto fm sono fuori target ergo tutte le sue critiche sono infondate. Sarebbe meglio adottare piu’ spesso il principio di carita’ verso i propri interlocutori.

  24. Ah già, Ostuni, sono “poeti nuovi”… Scusa, non me ne ero accorto. Cercherò, allora, a libro aperto, di capire dove sta la “novità”. E, soprattutto, perché di questa novità sono portatori (uno in più, uno in meno) sempre gli stessi – in questo caso: questi, e non altri.

    Mi raccomando, poi: vacci piano con l’Ariosto, è uno che per essere digerito richiede parecchie bottiglie.

    Buone cose.

    fm

    fm

  25. @ Lorenzo

    Grazie della “bontà”, che fa rima con “carità”, ma ti assicuro che la “debolezza” era voluta, i. e.: quei nomi non erano fatti “ad capocchiam”.

    Stefano Guglielmin (se il riferimento cronologico è l’ultimo decennio: cfr. Giovenale, Calandrone, Sannelli), in questo lasso di tempo, ha pubblicato tre eccellenti opere creative (poesia) e due autorevoli saggi di critica e teoria (filosofico-)letteraria. Se sapessi che il suo nome figura, con certezza, nella lista dei sessanta (e dalli!) ti/vi pagherei tutte le bottiglie che servono a digerire l’Ariosto. E non ce ne vogliono poche…

    (E lo stesso vale, detto en passant, per il pluricitato “Prosa in prosa”: Ermini, Ghignoli, Ercolani, pur partendo da presupposti teorici diversi – almeno loro li hanno – coltivano quel tipo di scrittura e di ricerca da anni: come mai non sono stati presi in considerazione? Troppo “distanti” dagli inclusi? Può darsi. Ma allora mi si spieghi cos’è che lega la “prosa” di Inglese a quella di Broggi…)

    fm

  26. Gentile signor Ostuni,

    la invitiamo a essere coerente con la sua prefazione e a non citare i nostri nomi. Lei non ci avrebbe mai messo nella sua antologia perché siamo entrambi poeti lirici. Si renda almeno conto di quello che ha scritto.

    Cordiali saluti,

    Giacomo Leopardi e Eugenio Montale

  27. Io in genere diffido di chi risponde piccata, senza assolutamente entrare nel merito dei rilievi che vengono mossi, a una critica onesta e “costruttiva” come quella di Forlani. Lasciando l’impressione, magari senza volerlo e contro la sua stessa volontà, che lo fa solo per dovere di “scuderia”… @ Giovanna Frene

    Mi chiamo Francesco Marotta, per servirla.

    fm

  28. Ma che una città “generi” più poesia e poesia migliore di altre in determinati periodi è un dato storico, non una provenienza d’ambiente. Se avessi fatto una poesia sugli anni Ottanta o Novanta, ci sarebbe stata molta più Genova, Napoli, Milano e Roma molto meno.

    Vincenzo qui ormai si sfiora il comico.
    Parlando degli anni ottanta e novanta sembri dire che Milano, Genova, Napoli e Roma siano state le città in cui sia successo qualcosa per il semplice fatto che in queste città si sono sviluppati i segmenti più forti di quella esperienza nota come gruppo 93. Bene. Quello che non sembri capire è che una delle maggiori conquiste fatte nell’ambito di quella esperienza è stata di rifondare una comunità poetico letteraria con una diffusione sul territorio assolutamente totale, senza distinzione di sorta fra Nord e Sud (vd esperienza Baldus) tra città e provincia (vd esperienza Altri Luoghi) e tra forme della ricerca (vd Ottonieri.Frasca a Napoli, con una esplosione implosione degli steccati, prosa poesia, poesia performata musicalmente o graficamente ecc)
    Ed è stata proprio quella esperienza a permettere negli anni duemila (in questo va riconosciuto a Lello Voce di aver contribuito con i suoi slam a consolidare i rapporti fra i vari poeti in giro per l’Italia) l’estensione di quella rete con un alleato il web, la rete, senza precedenti. Cepollaro prima,NI,GAM, Absolute poetry, la dimora del tempo sospeso del marotta, via delle belle donne, solo per citarne alcuni gangli di quella rete, hanno permesso di cartografare in modo più preciso e diffuso quello strano mondo della poesia. Questa è la vera novità, la nascita di una comunità libera di autori veri, sicuramente veri quanto la ” pulita dozzina” messa in campo, e che operazioni faziose, deboli e soprattutto nella malafede dei compilatori di playlist, attentano, dividendo là dove si farebbe meglio a federare.
    Un’ultima annotazione i poeti che ti ho citato li ho scelti in base ai tuoi paradigmi perché altrimenti la lista della spesa sarebbe stata ben più lunga , eppure non mi hai risposto. Forse perché Massimo Rizzante vive da esule a VErona?. E francamente trovo ridicolo quel salvarti il culo (questa è l’impressione che ne ho avuto, per questo lasciami passare l’espressione) nel citare dopo averli esclusi percorsi come quelli di Andrea Raos tanto per citarne uno). Insomma nominations alla Grande Fratello. Allora ascolta bene quello che ti dico: se questa è la vostra prassi da critici, francamente e molto sinceramente penso che saremmo in tanti (qui mi metto pure io) a poterne fare a meno.
    effeffe

  29. leggo e mi limito a un sorriso, tra i tanti che ormai, alzando le spalle, sono costretta a fare.
    grazie fm ed effeffe dal vasto sottobosco che si fa il culo, da nord a sud, indistintamente.

  30. Vincenzo, ma guardo un po’, a me pareva invece di avere ricevuto risposte, come dire, indegne, di un critico e comunque, e te lo dico in tutta amicizia, quest’ultima frase te la potevi risparmiare.
    Di certo non ho mai considerato l’omertà corporativa un valore aggiunto al proprio progetto. E, qui chiudo, ti rivelerò che almeno di una cosa ti sono debitore, ovvero del marchio photoshoperò, nato in occasione del fondamentale sciopero degli autori da te insieme ad altri proclamato e che ha lasciato un segno profondo nelle nostre coscienze, in un senso, o in un altro oltre che nella storia letteraria del nostro povero paese.
    effeffe

  31. credo che forlani abbia dato di sè uno spettacolo più che degno.
    scusate l’intromissione.
    buon proseguimento

  32. ps sulla vecchia e logora questione dell’*anonimato* in rete
    “Mi chiamo Francesco Marotta, per servirla.”

    :-) incorniciata!

  33. non intervengo sulle critiche rivolte al testo introduttivo del curatore, primo perché ovviamente spetta a lui difendere i criteri della sua scelta, e non certo a chi è uno degli antologizzati, anche perché, solo con paradosso alla woody allen, uno potrebbe essere il maggiore stroncatore dell’antologia di cui fa parte.

    Vorrei però osservare alcune cose: un’antologia ha diverse finalità, una delle quali è quella non solo di stabilire dei valori (questi sono i migliori poeti ecc.) ma di permettere una “verifica dei valori” (questo è una prospettiva ragionata su di un lavoro poetico). Se è vero che ogni antologia pretende di individuare i lavori poetici maggiori all’interno di un certo panorama, e in questo caso si vuole affermativa, è anche vero che un’antologia non è mai assoluta, ma convive con altri operazioni “antologizzanti” e vive quindi in un regime di relatività. Intendo dire che non si può accusare un’antologia di essere tale (ossia di procedere per esclusioni). A un’antologia, in generale, può contrapporsi solo un’altra antologia. Il che è giusto, ed è proprio dal confronto di diverse antologie, che viene cartografato il territorio poetico.

    Ora, sempre a livello generale, l’antologia di Ostuni si presta a grandi critiche, in quanto ha fatto una scelta estremamente selettiva – lasciando fuori quindi tanti pretendenti. E’ ovvio che più un’antologia è inclusiva, più rende giustizia a tutti i pretendenti, e quindi porta la pace. Ma un’antologia troppo inclusiva corre il rischio o di essere biblica nel formato o di fornire una ricognizione a volo d’uccello, poco “utile”, poco informativa. Ostuni si è preso dei grossi rischi, ma gli va dato adito di aver presentanto un materiale antologico ricco e articolato. Detto in altri termini: si potranno certo criticare i nomi scelti da Vincenzo Ostuni, ma sarà difficile criticare la serietà del progetto. E dei lavori seri sono necessari e rari. Chi volesse prendersi, ad esempio, la briga di dare una fondata valutazione negativa della mia poesia, potrebbe avere nell’antologia di Ostuni uno strumento di lavoro utile.

    C’è poi un altro aspetto, più problematico. Il carattere ibrido tra ricognizione e tendenza. Questa è un’aspetto dell’impresa di Ostuni che sollecita domande. Perché la rinuncia, ad esempio, ad un’antologia di tendenza a tutto tondo?

    Io stesso mi sono trovato a curare per una rivista statunitense, qualche tempo fa, un dossier antologico “Poeti italiani sotto i quaranta”. Si trattava di una lavoro molto più “leggero” di quello realizzato da Ostuni. Eppure anch’io, credo, di non essermi del tutto risolto a una selezione di “tendenza”, perché mi risultava davvero difficile ipotizzare una tendenza, in termine di poetica, che tutti tenesse assieme. Eppure la soluzione ibrida adottata non mi ha soddisfatto del tutto.

    Detto questo, se dovessi muovere una critica al lavoro di Ostuni, lo farei sul piano del gusto, ma non su quello del metodo. Criticherei l’esclusione di uno in rapporto all’inclusione di un altro, ma non criticherei la presa di rischio di una selezione limitata, che dia però una visione ampia e articolata del lavoro degli autori antologizzati.

  34. Carissimo Andrea
    sai bene quanto io condivida le tue conclusioni sulla coesistenza di più visioni seppure antologizzate, posizione ribadita qui nei miei accenni “indegni” alla comunità letteraria. Lo spettacolo che è venuto fuori dal playlisting critico di questa operazione con l’introduzione di una nuova categoria (dopo i maggiori, e i minori, ecco i migliori) è come nel testo in questione il nostro critico abbia snocciolato uno dopo l’altro dei paradigmi chiari e netti (per me non veramente) su cos’è poesia e cosa non lo è, autenticamente e oggettivamente. Non di tendenze allora si parlava, il che non avrebbe spinto me né altri a dire, fermi un attimo, qui c’è qualcosa che non va…
    Avrai notato anche tu come l’Ostuni abbia eluso ogni forma di confronto e con scatto e piglio da commissario del popolo, dopo aver decretato cosa fosse in linea con le direttive del Gran Partito della Critica e cosa no, ha stabilito cosa facesse degni o meno i propri interlocutori. Se sono messi così, permettimi di aggiungere che questi stanno male (senza nulla togliere all’impegno e al rigore che mettono nelle proprie cose) effeffe

  35. Francesco, solo una nota, a margine della quasi-fine di un lavoro che mi ha impedito fin qui (e fino a parte di oggi) di intervenire come avrei voluto (spero di ricomparire però nei pross. giorni):

    Il tema dei maggiori, minori, migliori.

    Perdonami, ma: è quello che vanno a organizzare le antologie. (Tutte, nessuna esclusa).

    Si fanno le antologie non dei più rosei o dei più alti, dei più larghi e dei robustamente ambidestri, dei meno informatizzati o di quelli che hanno fatto più viaggi a Roma, ma dei “maggiori” o dei “migliori” secondo (penso, credo, mi pare) due direttrici o linee, di solito: una che tende a essere non oggettiva ma oggettivabile, e una che è soggettiva per il banale motivo che è pensata da un singolo.

    La prima direzione o linea mi pare, qui, segnata da una serie di elementi che potranno essere dibattuti ma pur vengono dichiarati da Vincenzo: (1) l’arco temporale 2000-2010, (2) l’essere usciti con una serie di opere in quel tempo, (3) l’essere stati ascoltati [criticamente, immagino] in quel medesimo tempo, (4) il non-lirismo o non-epigonismo lirico, (5) la necessaria verifica di una (se presente) riuscita performativa come riuscita anche testuale [e la priorità di questa su quella], (6) l’identificazione di alcuni caratteri testuali [che in certi casi creano convergenze, in altri no, tra gli autori] che in parte sono esemplati dalla citazione di Zublena/Testa.

    Questo, per il fronte dell’oggettivabile. (Che non è un noumenico e irraggiungibile “Oggettivo”; ma nemmeno è un obiettivo irraggiungibile).

    Per il fronte del soggettivo, ossia dell’azione di scelta, rimando all’incipit del commento di Andrea.

  36. Postilla (probab. indispensabile): nel commento qui sopra non ho voluto dare alle linee o direttrici prima e seconda un numero “d’ordine” (=innanzitutto viene la 1, poi la 2).

    Penso possa essere cosa condivisa e chiara che anche quell'”oggettivabile”, di cui parlo, riferito alla prima “linea” che si può rintracciare in un’operazione antologica, è da intendersi come “oggettivabile-secondo-un-soggetto” (oggettivante). (Ossia un lettore, critico e autore).

    In soldoni: è sempre l’autore dell’antologia che decide e dichiara (=oggettiva) quali criteri ha scelto, e li articola. Così qui accade.

    Chiaro è che si tratta di criteri non assoluti, perché è evidente che si sarebbe potuta fare anche un’antologia che va dal 1995 al 2005 e sceglie solo autori che hanno pubblicato in rivista, o che sono usciti soltanto in cd o video, eccetera.

    E, in questi altri casi, idem, il curatore avrebbe scelto “i migliori” autori che “hanno pubblicato tra il 1995 e il 2005 solo in rivista”, ecc. ecc.

    Bon.

    Essendo stati però altri i criteri, e trovandoli noi elencati nel post (che non mi sembra un oscuro piano massonico rivelato da wikileaks), vediamo che a questi ha senso nel nostro dialogo tenerci fermi. E poi, o prima, magari leggere l’intera (e corposissima: 352 pagine) antologia.

  37. @ fm – non sono affatto piccata, ho solo chiesto chi eri. qui i piccati mi sembrano altri. inoltre, come sai, sono la più aliena da ‘scuderie’, viaggio con chi mi piace e stimo, e a cui io piaccio e che che mi stimi. un caro saluto, assolutamente pacifico e onesto

  38. il commento performativo è la nuova frontiera della critica, giovenale e inglese dovrebbero brevettarlo prima che qualcuno gli rubi l’idea

  39. Cerco di essere franco (in primo luogo con me stesso)
    Dopo aver espresso privatamente all’interessato per un verso la mia personale, umana, palese delusione per l’esclusione da questa antologia, e per un verso osservazioni un po’ meno interessate e personalizzate dal solito, imperante narcisismo in cui mi specchio la mattina a casa (una volta un amico mi ha detto: omnia immunda immundis), ribadisco pubblicamente la mia ostilità all senso di un’operazione di scrematura generazionale, decisamente romanocentrica.
    Nel merito: il discorso sull’io, e sopratutto l’idea che la capacità di intrattenere relazioni sociali con un ambiente e di ‘farsi vedere’ sia un criterio oggettivo di valutazione del valore di un poeta, in quanto ‘emerso’ -ce ne sono molti, in questa antologia, che stimo e lo sanno- sottende l’eliminazione di ogni diversità.
    Una cosa che riconosco, e che rivendico, nonostante le fratture che mi separano dalla mia esperienza a Nuovi argomenti, dove ho letto poesie di tanti autori (alcuni di loro sono presenti in questa antologia), è il senso del pluralismo, che qui è mancato. E’ mancato tantissimo.
    Mii permetto, infine, un’annotazione al piripipi del Curatore, forse accecato da illuministico senso di onnipotenza, o di accerchiamento. Vinenzo Ostuni riprenditi, per cortesia, questi meccanismi da ‘vincitori’ e ‘vinti’ fanno invidia a Carl Schmitt.

  40. Questa cosa sta diventando ridicola. E censoria, ho postato un commento ed è stato tagliato, perché attaccavo il curatore, senza risparmiare peraltro me stesso. E’ grave quello che è successo. Molto grave.

  41. Ecco adesso va meglio, il commento è stato ripristinato e lo giudicheranno i lettori. Almeno la libertà di parola…

  42. Marco, io non lo so se hai colto completamente il senso dei miei interventi ma provo a riformularli partendo dal tuo commento.

    1) Il tema dei maggiori, minori, migliori.

    Perdonami, ma: è quello che vanno a organizzare le antologie. (Tutte, nessuna esclusa).

    Non sono d’accordo. Infatti lo stesso Andrea I scrive:
    C’è poi un altro aspetto, più problematico. Il carattere ibrido tra ricognizione e tendenza. Questa è un’aspetto dell’impresa di Ostuni che sollecita domande. Perché la rinuncia, ad esempio, ad un’antologia di tendenza a tutto tondo?

    Un’antologia di tendenza avrebbe infatti, secondo me chiarito prassi e intenti, oltre a liberare il campo da ogni possibile obiezione. Se solo provassi almeno con me a non sentirti costretto a fare quadrato come di solito accade in questi casi, ammetterai che considerare i poeti antologizzati, con le caratteristiche invocate, come i migliori sulla piazza saresti il primo a dire che non è vero (oggettivamente). Quando ci incontreremo in camera verde a fine mese ti presenterai dicendo ciao Furlèn sono il migliore poeta degli anni zero, magari con una medaglia? Non lo so, Marco io ti stimo come poeta e critico anche se non ti reputo il migliore…
    Trovo poi paraculo affermare che certo Raos, Rizzante, Marmo, Genti, Lamberti Bocconi, Tini Brunozzi ecc, siano buoni ma non i migliori. Al che aggiungo, che cosa ci guadagna un’ opera e gli autori citati nell’essere considerati i migliori? Io lo trovo patetico, in generale, perfino per i dentisti, figuriamoci tra poeti.

    E poi, o prima, magari leggere l’intera (e corposissima: 352 pagine) antologia, scrivi tu.
    Carissimo Marco io questo libro non lo leggerò, a causa di quelle premesse, ed è un peccato, ti assicuro, per me ma anche per voi perché diciamocelo non è che si accorrerà in massa a leggerlo, e uno in più, uno in meno fa la diffrenza. A me dei migliori non me ne frega una mazza, e trovo che sarebbe assai utile che anche i critici si occupassero semplicemente di opere e di autori. Non di tutte e tutti, ci mancherebbe altro ma magari non necessariamente dei migliori dal loro punto di vista.
    Comunque quello che avevo da dire l’ho detto, a qualcuno avrà interessato ad altri no. Sicuramente erano cose che non potevo esimermi dal dire qui su Nazione Indiana ovvero un luogo che non considera affatto come Ostuni i poeti citati come i migliori, ma come poeti insieme ad almeno un centinaio di altri autori che proprio qui su nazione Indiana godono e hanno goduto delle attenzioni dei critici , dei lettori, e soprattutto degli altri poeti. è per loro che ho sentito il bisogno di intervenire, ed è solo per questo, come ben sapete.
    effeffe

  43. Forlani,

    purtroppo superi la soglia massima di non sequitur. E’ logicamente impossibile risponderti. Ti consiglio l’Organon di Aristotele, a volte aiuta.

    Statti bene,
    V.

  44. Dai, scherzo. Il punto è che è veramente difficile risponderti. Non farei che ripetere quello che ho scritto nella premessa – che sembri aver letto poco attentamente, se posso permettermi. Del resto, se i nomi che senti mancare son quelli, la Lamberti-Bocconi ha esordito nei Novanta; Raos secondo me non si è espresso ancora pienamente, ma è citato con favore e apprezzamento nella premessa; e gli altri quattro mi interessano quale più (Genti) quali meno, ma comunque meno degli antologizzati. Ogni antologia comporta una soglia. Certo, avrei potuto mettere cento autori, ma ho preferito dare ampio spazio a quelli che ritenevo necessari. E’ una scelta di gusto, notava giustamente Andrea, ma non mi pare grossolanamente infondata: tutto sommato, se un’antologizzatore aveva ragione, potrà dirlo il tempo, ammesso che nel tempo di quest’antologia si parli, certo. Buon lavoro a te e a tutti, V.

  45. per prima cosa mi scuso per aver mancato per troppo tempo ai miei doveri di “padrone di casa” come postatore della prefazione di vincenzo. spero adesso di riuscire a scrivere qualche riga e mettermi in pari.

    la prima cosa che voglio fare è, sicuramente, invitare francesco e vincenzo a provare a raffreddare gli animi. data la stima che nutro per entrambi è davvero un dispiacere vedervi litigare evidentemente sordi l’uno alle ragioni dell’altro. chiaramente, nel ruolo di paciere paraculo che mi sto costruendo, non esprimo una posizione (non l’ho espressa nemmeno quando mi è stato dato del “poeta”, figuriamoci ;-) e piuttosto quoto le parole di inglese sulla serietà e, quindi, la falsificabilità del lavoro di vincenzo.

    cerco solo di rimettere a posto i pezzi della discussione e vedere se è possibile un qualche tipo di sintesi o, laddove non sia possibile, almeno un riconoscimento reciproco. i punti di frizione sono fondamentalmente due, per quando ne capisco: la “selezione dei migliori” e il “centralismo romano” (che, per me di brescia, suona sinistramente padano :-DDD). in effetti, il secondo punto sembra piuttosto un’articolazione del primo, anche se, e lo hanno già detto in molti, l’occorrenza di questo centralismo sarebbe tutta da dimostrare. in ogni caso, l’idea sarebbe che in una città per un dato periodo ci sia una produzione migliore che in altre.

    e quindi di nuovo è la questione della produzione migliore quella di cui si sta discutendo. da una parte, vincenzo rivendica la capacità selettiva del suo lavoro di curatela, esponendone per altro gli strumenti, i parametri, in modo tutt’altro che furbo e paraculo (a differenza di me ;-); dall’altra francesco non solo mette in dubbio quella selezione ma introduce un altro fattore: attenzione, dice, che così si fa un monumento, non si mettono in circolo dei saperi, dei testi, etc.. in altre parole, si può dire che, da una parte, c’è un’idea di critica come selezione e, dall’altra, un’idea di critica come aggregazione.

    se mi ponevo come scopo una possibile sintesi, direi che è già chiaro che non c’è molto margine su cui lavorare. sono a confronto due paradigmi diversi, che non implementano tanto la logica dell’esclusione contro quella dell’inclusione quanto, piuttosto, l’idea di una letteratura che si esprime in verticale, per livelli di compiutezza diciamo, ed un’idea di letteratura che si esprime in orizzontale, secondo mappe, percorsi, etc. (ed è interessante, questo lo devo dire, che come campione della seconda idea ci sia un indiano, esprimendo così quella che mi sembra la forma peculiare di mediazione che i blog stanno esercitando da qualche anno a questa parte). è possibile ripartire nella discussione dal riconoscimento di questo doppio paradigma? è possibile discutere a partire dalla distanza “ontologica” che separa queste impostazioni?

  46. Grazie Gh. E’ vero, ho voluto fare un’antologia canonizzante, e in questo senso verticale. Ma mi chiedo quale non lo sia. Anche le antologie di tendenza lo sono, in quanto per lo più affermano che _quella_ tendenza è la tendenza più viva, fertile, in una parola _migliore_. Questo non significa che io non sia interessato ad aspetti “orizzontali” della ricerca letteraria. Però credo fermamente che la ricezione della poesia abbia sofferto, negli ultimi vent’anni, del fatto che si sia ricevuta scarsa guida canonica. Credo che non avvicini alla poesia, ammesso che sia un bene in sé, questo avvicinarsi alla poesia, fare un’antologia di cento autori (diciamo: canonizzante ma più blandamente) presentando un paio di poesie a testa, accontentandomi di un mio inferiore livello di adesione all’opera di ciascuno, ma che senso avrebbe? Tanto più in un momento (e tanto più se si predilige un’opzione antilirica o “diversamente lirica”, com’è la mia opzione) in cui è impossibile render conto dell’opera di un’autore se non presentando, disponendo sul tavolo delle pagine, almeno in parte, la sua ampiezza progettuale?
    Del resto, se invece il punto diventa semplicemente che ci dovevano essere due o tre poeti in più, o sette otto in più, e magari due o tre poeti in meno, mi sembra davvero troppo poco per criticarla aspramente.

  47. Viciè, Gherardo ha ben sintetizzato i nostri punti di vista, credo, e avendo rifiutato il tuo “migliorismo di base” capirai come non mi metta ora ad accampare la pretesa che il mio paradigma sia migliore del tuo. Vedo però che insisti ad arrampicarti sugli specchi (Anna Lamberti Bocconi esordisce negli anni 90, dici, esattamente come Andrea Inglese aggiungo io ( Prove d’inconsistenza, in VI Quaderno italiano (Marcos y Marcos, 1998, ) o il Rizzante ( 1999 Lettere d’amore e altre rovine (Biblioteca cominiana),- ma lo hai letto almeno? e così Raos per non parlare di Florinda Fusco che ha pubblicato nel 2001 “Linee” (Genova, Editrice Zona)- (qui forse la effeffe ti ha mal disposto).

    Mi sembra chiaro come tra le righe diceva anche l’Inglese che l’inclusione o meno di tale poeta o talaltro, non riposa su nessuna delle ragioni plausibili da te evocate ma solo sul gusto del curatore, bene.
    Io ribadisco che sarebbe stato, e lo sarebbe in futuro, più onesto raccontare questa tua Ontologia Poetica, scrivendo che si trattava di studi su degli autori che hanno attirato il tuo interesse e che giudichi pertinenti rispetto a certi paradigmi della poesia di ricerca (a cui si contrappone quella dei trovatori, mi pare) piuttosto che stabilire (ma poi, con quale autorità? di critico? di poeta?) cosa sia meglio per tutti.
    effeffe

  48. Effeeffe, attieniti però alla realtà. Io non ho voluto imporre un canone a nessuno: ho scelto i migliori per me. Dove sta l’intento imperialista? L’effetto di canonizzazione lo avrà se lo avrà, e appartiene alla storia degli effetti, come direbbe un gadameriano, non all’intenzione. Per me sono i migliori, certo, e _per me_ un canone fatto di questi sarebbe fatto bene o abbastanza bene. Come avrei potuto non volere questo? Avrei dovuto fare un’antologia con quelli che ritengo essere i meno buoni? Bah. Veramente una scarsissima argomentazione, la tua, e ammetti.

    Veniamo poi ai dati di fatto. Nella mia antologia – e leggitela ‘sta c***o di premessa – si parla chiaramente di “emersione piena”, non di esordio. Anche Frene, Biagini, Annovi – vado a memoria, ce ne sono pure altri – hanno esordito negli anni Novanta. Ma hanno avuto evidentemente, patentemente il loro floruit nei Duemila. Dover tornare su queste banalità, su… Fai uno sforzo!

  49. Le canonizzazioni, oggi come ieri, le fa il papa.
    A questo punto facciamo rimare poeti con preti, e illuministi con non esisti.

  50. Va bane, siamo agli epigoni di Stavrogin…Magari stai danzando nudo nella tua stanza
    davanti allo schermo del computer, in preda a godimento antiepigonico, quarant’anni e non sentirli…

  51. Senti Mantello, è tutto il giorno che vomiti fiele in privato e in pubblico. Lasciami divertire, no? Certo che c’è solo una cosa più triste della completa mancanza di talento: la quasi completa mancanza di talento.

  52. Beh allora sono felicissimo di essere una persona più triste di te.
    E con questo chiudiamo il siparietto perché non ha più senso,
    anzi dinne un’altra così hai l’ultima parola e ti senti a posto con te stesso.

  53. Vincenzo Ostuni
    Pubblicato 28 febbraio 2011 alle 14:58 | Permalink

    Io non ho voluto imporre un canone a nessuno: ho scelto i migliori per me.

    *

    fm

    Pubblicato 27 febbraio 2011 alle 15:49 | Permalink

    E’ molto più corretto, verso se stessi e verso gli altri, scrivere qualcosa del genere: ho avuto l’incarico di preparare un’antologia e vi ho inserito gli autori che mi piacevano di più, quelli che, a mio giudizio, sono i migliori sulla “piazza” – piuttosto che, assemblato il “mazzo”, cercare a posteriori “affinità elettive” inesistenti, e ancora più inesistenti pezze di appoggio teoriche.

    Lo sapevamo fin dall’inizio. E lo sapevano anche Andrea Inglese e Marco Giovenale – le cui dotte argomentazioni a sostegno, adesso, si commentano da sole. Così come parecchie altre cose…

    *

    @ Marco Mantello

    Accetta un consiglio, se ti va: rimani nel sottobosco: cioè tra i lirici, gli epigoni, i metafisici di se stessi, i performativi senza pagina (manca solo l’etichetta: quelli con la stella gialla sul petto): cioè nella “non-poesia”: cioè tutto ciò che non piace a Ostuni-Giovenale-Inglese & compagnia officiante. Almeno ti eviti, tra tante altre cose, di assistere allo spettacolo abominevole di critici e poeti che, componenti o presidenti di giurie di premi letterari, danno riconoscimenti in denaro e/o in pubblicazioni agli “amici” che hanno già ampiamente incensati e presentati in pubblico – e sui quali hanno già scritto indimenticabili saggi, altissimi contributi teorici, accuratissime prefazioni…

    Sarai sempre un sottoboschivo, cioè una nullità, ma almeno potrai ancora guardarti allo specchio e, se di sinistra, continuare ad andare fiero di quella coerenza etico-politica che parecchia gente non sa manco più che cazzo sia – semplicemente perché non l’ha mai avuta.

    fm

  54. Forlani,

    non ho niente da dire su quel che scriveva fm: io ho fatto proprio questo! Ho persino negato (leggi tu, e leggesse pure fm!) che si tratti di un’antologia di tendenza. Non è però affatto vero che le affinità elettive siano inesistenti. Ho ammesso che non c’è un tratto comune a tutti, né ho cercato di tirarlo fuori a tutti i costi, ma sostengo e credo con qualche ragione e persino in maniera ovvia che alcune somiglianze attraversino l’opera di parecchi.

    Le allusioni della seconda parte non le capisco, e comunque senza dubbio non mi riguardano. “La stella gialla sul petto”… Siamo alla follia. Bah. Forlanino forlanetto, in che canone ti metto?

    Statti bene, ancora et semper,
    V.

  55. Ostuni, guarda che non era Forlani quello di sopra, ma proprio fm, cioè io. Quindi, eventuali insulti rivolgili al sottoscritto.

    fm

    p.s.

    Quella di storpiare i nomi è una prassi denigratoria tipicamente fascista: non te l’hanno ancora detto?

  56. Vicè mettetemi fuori dai vostri canòni, azz, dopo tutta la fatica che ci metto per non lasciarmi incasellare.
    je t’en prie, apprezzo il gesto
    detto questo c’è qualcosa che non quadra in questo tuo ultimo commento, a cosa ti riferisci? mi sembri un pochettiello confuso.
    Poi Mantello, nun fa accussì, è triste vederti così. Ecchecazz, stamme a parà di una antologia mica ra bibbia…
    @fm
    secondo me francè non dovresti dubitare invece della buona fede dei poeti che citi perché su quella ci metterei la mano sul fuoco, né tanto meno del curatore, che è giovane e quindi va perdonato per certe “leggerezze”
    effeffe

  57. @Forlani: Ok, scusa, era fm a intervenire! Ho sbagliato. Avevo letto male e capito che tu avevi citato fm.

    @fm, ma perché ce l’hai tanto con questa storia? non capisco. smettila di fare allusioni pesanti, per piacere: corruttela, nazismo, fascismo… ti devo querelare?

  58. @francesco marotta
    su questo però ha ragione Vincenzo, sono accuse gravi, brutte da sentire, difficili da credere. Come si diceva con Gherardo bisogna costruire ponti, ma non per farli saltare con la dinamite. effeffe

  59. Senti, Francesco: io ho apprezzato davvero tantissimo i tuoi commenti, la tua onestà intellettuale (di cui non ho mai dubitato) e allora ti chiedo: ma ti rendi conto di quale ignobile operazione sta passando da mesi, anche attraverso questo blog, in merito alla poesia? Si riassume in poche parole: oltre un certo gruppo, oltre i dieci-quindici autori che si recensiscono a vicenda sulle pagine dell’Unità e del Manifesto, che ruotano intorno ad un paio di riviste, che fanno capo a due-tre iniziative editoriali, non esiste niente, non ce un cazzo da salvare, è tutta merda, “sottobosco”, “epigonismo”, chiaviche umane e chiaviche in versi… E’ esattamente quello che si recepisce all’esterno, ti piaccia o no, ed è quello che potrebbero confermarti decine di vostri ex lettori. E tutto ciò è vergognoso. Perché fa strame del lavoro e della dedizione di tanti e getta merda, anche se infiocchettata ad arte, su scritture e percorsi artistici di assoluto valore.

    Le risposte di Ostuni e la spocchia intellettuale di altri, qui, ne sono una riprova lampante, che non ha bisogno di chiose.

    fm

  60. Ostuni, sei tu che insinui, rileggi piuttosto: io ho detto a Mantello ciò che non trova nel “sottobosco”. La mia risposta a te, personalmente, finiva con l’asterisco. L’hai visto?

    fm

  61. Forlani: costruire ponti con chi ti disprezza? con chi non ti riconosce?

    Falli tu, allora. Ma non per me.

    Ciao.

    fm

  62. però, scusate, forte del fatto che sia in sede di dibattito che, come dire, in quanto ad inclinazione personale, sono certo più vicino alle posizioni di effeffe (nel senso che per me, come recita un titolo di gleize, la letteratura è fatta da tutti), prendo posizione e dico che non si può criticare in questo modo il lavoro di vincenzo.

    si può essere in disaccordo sull’idea di canone; si può dire che storicamente il canone è in crisi definitiva, perché le modalità di rarefazione del discorso, nell’epoca dell’accesso di massa alla produzione del discorso stesso, sono più o meno tutte saltate; si può anche dire che la canonizzazione snatura la percezione del farsi letterario etc. etc. però almeno due cose non si possono dire: uno, che la curatela di vincenzo sia riducibile ad una mera questione di gusto e, due, che venga fatta sulla base di un’autorità sciovinista.

    non le si possono dire perché: uno, gli strumenti della selezione sono messi in campo e, secondo buona prassi di studio e ricerca, dati in pasto a tutte le falsificazioni, le critice, le contro-argomentazioni del caso (dire che sono più o meno delle scuse a posteriori per giustificare una camarilla non è una contro-argomentazione); due, l’autorità o, meglio, l’autorevolezza su cui si basano queste operazioni di selezione è sempre da decidersi a posteriori, cioè è il risultato dell’efficacia teorica e critica del lavoro messo in campo, e, in prima battuta, il curatore, il selezionatore si basa sempre su un’autorevolezza d’ufficio, funzionale proprio al lavoro che va facendo, che non mi sembra abbia molto senso mettere in questione.

    ho partecipato a pochissime antologie e in moltissime non sono apparso. francamente, non ho mai vissuto la cosa in modo così “vigoroso”. come dice il furlen, non stiamo parlando della bibbia (che anche in quel caso, poi…), please!

    (cmq, giusto per prendere posizione fino in fondo, dico che anch’io sento almeno una grossissima mancanza ed è quella di andrea raos, per quel che mi riguarda un autore in grado di inserirsi in una tradizione lirica superandola senza alcun epigonismo e, anzi, in grado di spostarne completamente il baricentro in senso non antropocentrico, alieno, minerale. metto la doléance tra parentesi perché il dottor raos non ha bisogno del mio viral marketing ;-)

  63. Questo articolo pieno di prossa e popea sembra scritto nel ‘900, cioè un millennio fa. è incredibile che umanità che scrive così poi si lamenti che le gènti le ‘un lèggano. mah! comunque e a prescindere…

    Pretestuoso e fuori luogo mi è sembrato il criterio di esclusione, sia per gli uni che per gli altri, ma sopraditutto per gli altri, ché un poeta orale su mille l’ho trovato, ma un poeta scritto fra tutti non l’ho trovato…

    Stenderei un impietoso vello su: “Cosa però accomuna positivamente i nostri autori? Per la gran parte o forse la totalità dei poeti qui antologizzati, può valere – come ipotesi generale e provvisoria, tutta ancora da precisare e verificare – il riferimento a una categoria molto utilizzata nell’ultimo decennio, quello di «poesia di ricerca». La definizione più compendiosa, ma anche la più estensiva, che io ne conosca è dovuta a Paolo Zublena, in «collaborazione» con Enrico Testa. ” e vello supplementarmente impietoso sul testo che ne segue interamente eccitato…

    Confermo la mia non di oggi impressione che le gènti perbene ben facciano a stare il più possibile lontano dai professori di poesia.

  64. Grazie mille Gh. L’idea di canone è però obiettivamente vivissima, e i canoni pure. In tutte le letterature e tutti i paesi e tutte le discipline artistiche. Non è che il bisogno di trascegliere si finisce per decreto di un pensatore: fa parte della ricezione delle arti e non se ne vede neanche lontanamente la fine. Si può discutere sul fatto che _debba_ finire, ma che stia per finire è indubbio: purtroppo o per fortuna, no. Ma tiro un sospiro di sollievo nel poter discutere civilmente e rigorosamente su un tema reale, come questo.

  65. Proposta per una nuova incardinazione del post, secondo le direttive:
    Canone. Morto un papa se ne fa un altro. Letture luterane. Civiltà

    Caro effeeffe ho apprezzato i tuoi interventi, tu apprezza la mia sincerità. E non è che non mi costi, te lo assicuro. Una persona triste

  66. France’, rientro in rete adesso e mi spiace che mi metti nella penna parole che non ho scritto. Rileggi il commento che ho fatto, e (please) figurati se vado in giro colla coccardina “yo soy el mejor” sulla bombetta. Rileggi la partizione che faccio tra criteri oggettivati (e vedi quali sono), e scelta soggettiva, e vedi anche la postilla che fo subito dopo. Proprio non ci siamo, se mi fai dire che non stimo Raos o Rizzante o Marmo. E non ci siamo proprio perché ho scritto quei 2 commenti. (Rimasti, mi pare, totalmente senza risposta). Ma non ci siamo anche per altre ragioni, che Gherardo e Vincenzo mi pare spieghino assai meglio di me.

  67. Biciè su questa idea dei canoni (al plurale come la parola) sono d’accordo pure io, e lungi da me ma penso da chiunque sia intervenuto fin qui, l’ abbracciare una sorta di visione para democratica dell’arte (e della letteratura) da laisser faire laisser aller. Se per canoni però intendiamo categorie in grado di comprendere senza alcuna difficoltà una fuga di Bach o una improvvisazione free di Archie Shepp. ovvero la non riduzione della creazione poetica alla mera realizzazione (da intendersi come passaggio all’atto) di una sovra determinazione di tipo formale del linguaggio. Grandissimi poeti, penso a Celan e alla sua conferenza sulla verità della poesia, ci hanno detto che non era possibile definire una volta e per tutte cosa fosse una poesia, ma ancor meno quale verità potesse racchiudere in sé. E questa io la considero personalmente una fortuna
    effeffe

  68. mi domando perché in Poeti degli anni zero non ci siano poeti del livello di un Bruno Galluccio, Verticali, Einaudi 2009 che, com’è noto, è un libro di esordio…siamo già al federalismo poetico?
    Paola Santucci

  69. e, poi… France’, insisto: scrivi: “A me dei migliori non me ne frega una mazza”

    Permettimi: in rif. anche a quello che diceva Gherardo (dico: ci sono manciate di antologie in cui non sono compreso, e ciò magari addirittura mi rincuora):

    escludendo TOTALMENTE me e la mia presenza, affermo: a me invece frega eccome, dei migliori. Tanto che quando vado in libreria, allo scaffale di poesia, di solito resto deluso se non trovo i titoli che elenco qui [primo commento del thread, in basso]. E’ un elenco breve e incompleto (e “mio”). Che elenco avrei dovuto fare? Un elenco di libri che non mi piacciono? di autori che mi interessano meno? Di autori che ritengo non abbiano dato contributi di rilievo alla scrittura in versi?

  70. Marco caro, perché mi fai dire cose che sarebbe assurdo sostenere?

    la frase, Trovo poi paraculo affermare che certo Raos, Rizzante, Marmo, Genti, ecc, siano buoni ma non i migliori.
    non l’attribuivo a te ma a vincenzo che lo ha affermato nella prefazione e ribadito nei commenti a seguire.
    Sulla questione antologie ecc mi sembra di averti risposto, e sulla questione coccarda è chiaro che non ti ci vedo con la bombetta, ma se per questo nemmeno con il Borsalino. Quello che non capisco e invoco una semplice risposta è come fai da una parte ad accettare la validità del canone proposto da Vincenzo secondo cui mezza Gam farebbe meglio a darsi all’ippica, e dall’altra a rivendicare per quei poeti esclusi il label di vera poesia come se Vincenzo si fosse sbagliato nelle attribuzioni inclusioni (come diceva peraltro Andrea) effeffe

  71. Marco la questione migliorista è fuorviante per il suo carattere comparativo (o relativo assoluto). Come se ogni volta che leggessi te o andrea i o rizzante e mesa, dovessi stabilire chi e cosa valesse di più. Io so e anche tu lo sai (pensa per esempio a tutti i poeti che ho, abbiamo pubblicato su Sud) che ogni percorso basta a sé per farci capire se quella cosa lì (per un Je-ne-sais-quoi , direbbe Jankélévitch) sia poesia o meno. Per tornare poi alla questione scaffali, a me dispiace non avere trovato nella vostra migliore biblioteca possibile max Rizzante, tanto per dirne uno. Lo posso dire? effeffe

  72. che non era possibile definire una volta e per tutte cosa fosse una poesia, ma ancor meno quale verità potesse racchiudere in sé. E questa io la considero personalmente una fortuna
    effeffe.
    questa è da antologia
    grazie francesco
    C.

  73. yes!
    [come mi diceva tempo fa fm “sto ancora aspettando che mi spediscano il manuale della vera poesia”, quando mi arriva ve lo giro, un se sa mmai.]
    buon divertimento, io mi riascolto la marcetta, intuizione da genio.
    besos

  74. Su Rizzante, ti dico che proprio un libro che ho portato qui da me (e che desideravo rileggere) l’ultima volta che sono stato dai miei, è stato Lettere d’amore e altre rovine. E a breve leggerò (e ho ascoltato ‘in diretta’, in occasione della presentaz.) il suo racconto uscito per la chambre.

    Vedi come funzionano gli elenchi? Ne fai uno e immediatamente invece della gioia della lettura si innesta il dispiacere per l’assenza. Ma ad entrambe, presenza e assenza, i lettori stranamente danno sempre e soltanto un’interpretazione: la presenza è segno di un’operazione sbagliata (o addirittura di un complotto) e l’assenza ne è la conseguenza. (Non dico che questa sia la tua interpretazione, però).

    Eppure – bon – è anche di elenchi, liste personali, controliste, ripensamenti, cassazioni & riemersioni, che si vive. Questa di Vincenzo, insisto, è una proposta che prima di essere demolita potrebbe essere letta, no? Ma in un altro commento dici di non volerla leggere. Questa non lettura mi pare verificata da quello che ora mi scrivi: che secondo te Vincenzo suggerirebbe a mezza gammm di darsi all’ippica.
    Non è quello che è scritto nel post, e non è quello che (se ho ben interpretato il post e l’antologia) ho annotato in quei 2 commenti che ti invitavo a rileggere.

  75. un’antologia è un’antologia è un’antologia , prima che divenga “canone” ce ne corre, e molto. Ostuni ha onestamente esplicitato i suoi tracciati, se non convincono, pace. Dante per secoli è stato negli scaffali in basso, e laterali-));

  76. All’opposto, le affinità autoattribuite – come per esempio all’interno del gruppo di lavoro e sito GAMMM, che comprende Bortolotti, Giovenale, Inglese e Zaffarano (e comprendeva Sannelli), oltre che i notevoli Alessandro Broggi e Andrea Raos, o della Camera Verde, gloriosa galleria, casa editrice e luogo d’incontro romana, il cui catalogo annovera, oltre ai cinque di GAMMM qui rappresentati, anche Marzaioli – non sono sempre, a un esame critico, le più convincenti.

    io questo passaggio l’ho letto così. allora diciamo un terzo ( Broggi e Raos). o no? effeffe

  77. Appunto. vedi che ci sono dei qui pro quo?

    Alla mia lettura, le cose stanno (se non sbaglio) così: V. scrive quel passo che tu citi nel contesto di un discorso su affinità e differenze. Non è un discorso di “valore”.

    V. in un primo tratto dedica delle osservazioni ad alcune “parentele” che (scrive) “non mancano”; e a qualche “carattere dominante”. Poi passa precisamente a mettere in dubbio l’insieme delle affinità (“autoattribuite” dai gammmi!). Sono somiglianze che, semplicemente, non gli sembrano sempre tali. Ecco la cosa come sta. (E’ una semplice osservazione sul fatto che nonostante 6 autori o più si ritrovino in un contesto, possono tra loro emergere differenze consistenti).

    C’è una lunga parentetica, ma il soggetto è “le affinità autoattribuite”. Nella frase di V., sono quelle affinità, France’, a essere “non…sempre, a un esame critico, le più convincenti”. Cioè si dice: gli autori sono differenti, ancorché riuniti da un sito o ensemble.

  78. comunque marktiè mentre uscivo per andare a comprare delle sigarette mi dicevo, oì frà ma chi cazze to ffa fà (come direbbero gli squallor)
    non solo ci conosciamo, Marco, io direi che ci sappiamo, abbastanza da poter dire che si può fare un buon lavoro di critica letteraria senza fare le nominations. per il resto concordo con Viola e vi dico è stato molto bello tutto ciò, in bocca al lupo ragazzi, siete i migliori e darete filo da torcere ai lirici come gli spinozisti agli hegeliani nel famoso romanzo di Jean Bernard Pouy
    effeffe

  79. > oì frà ma chi cazze to ffa fà

    condivido

    Di polemiche ce ne sono state tante, anche qui, quando ancora il web era pionieristico e la poesia rimaneva sostanzialmente eterodiretta, da POESIA di Crocetti alle cattedre universitarie e ai grandi centri a fare da antenna

    Ricordo la mia curiosita’ nei secondi ’90, quando conobbi dal vivo tante persone; ricordo dal vivo Cucchi lavorare alla Fondazione “Il Fiore” di Firenze chez Alberto Caramella e ricordo anche Buffoni, sempre a Firenze, con lo stesso piglio di oggi; anni intensi e di formazione

    Ma oggi ognuno puo’ fare da se’, abbiamo tutti i mezzi per educarci, esercitare lo stesso principio esercitato da Ostuni e, purtroppo per i superlativi, la medesima incidenza. Siamo pero’ ancora capaci di riconoscere un Di Ruscio e tanto basta.

  80. Confermo appieno l’interpretazione di Marco su GAMMM! Aggiungendo poi: non è detto che GAMMM si vedessero, si volessero – si vedano, si vogliano identici – io non lo credo, in effetti. Questo forse è proprio un mio errore di espressione: non si pretendono tali, non si autoattribuiscno affinità preconcette e irremovibili, ma operative, distributive, germinative.

  81. Franziscus, ti dico, di cuore: le nominations le facciamo sempre, tutti, le hai fatte anche tu qui, le ha fatte chiunque qui ha scritto. Se recensisci X non recensisci Y, se parli di Z s’inalbera W.

    Non lo so. O si scatta la fotografia del pianeta Terra in scala 1:1 spendendo un po’ per svilupparla su qualche milionata di km quadrati di carta fotografica, oppure si dice ok oggi fotografo ‘sto fiume col grandangolo e domani si vedrà.

    Gesù bambino ci ha creato con un campo visivo diverso dalle mosche, che con quelle dozzine di occhi che hanno riescono a inquadrare la Svizzera mentre vampirizzano un valdostano. Pax.

    Ok. Vado. Magari se ti va butta uno sguardo all’antologia e non la comprare se non ti piace. Ricordiamoci che anche Akusma [1998] fu antologia (dove io non sono: e lo trovo logico: al tempo avevo pubblicato pochissimo).

    (Reinsisto: prova a ridare uno sguardo ai miei primi commenti. Magari, come nel caso delle “affinità”, c’è anche lì un qui pro quo da qua lche pa rte).

  82. per me e forse per qualche altro lettore (marotta?) il problema non è il “romanocentrismo” o la cernita dei “Migliori”. se questi sono i migliori secondo ostuni, buon per loro, e se sono tutti orbitanti intorno a realtà romane, buon per roma!

    per me e forse per altri il “problema” ma direi anche “problemino” è l’estrema coesione e compattezza del gruppo presentato e che questa coesione e questa compattezza sembrino essere, più che il frutto intellettuale di un lavoro critico genericamente
    “equidistante”, l’espressione di una coesione e compattezza che hanno molto di generazionale, di esistenziale, di geografico, di individuale. insomma si ha l’impressione che il curatore abbia pescato in un suo cerchio estremamente ristretto di notissimi e forse amici o compagni d’avventura. il che è pienamente legittimo come è legittima la noia del lettore di veder riproposto (quasi) lo stesso insieme o gruppo, con qualche frangia extravagante – annovi? frene? biagini? – ma non troppo e certo non sufficiente a cancellare l’effetto. tutto legittimo, se non che questa claustrofobica estrema coesione e déjà vu di nomi déjà vus ripetuti insieme e variamente accoppiati centinaia di volte, che rimanda irresistibilmente a una dimensione “sociale” della poesia fatta di rapporti individuali che forse sarebbe bene restasse in ombra
    quando non siano messi esplicitamente a tema, stride con le giustificazioni teoriche proposte. queste disegnano e attingono a un cerchio assai più largo e ricco di quello in cui si collocano gli autori proposti. in una certa misura, questo scarto di generalità è inevitabile, ma qui sembra stridere particolarmente: qualche linea teorica molto inclusiva e piuttosto vaga, a fronte di un gruppo estremamente connotato e particolare. questo stridore dà un tono di ricucito a posteriori alle pure interessanti (per quanto assai superficiali) direttive teoriche indicate da ostuni nella prefazione. stride con l’etichetta “poeti degli anni zero”, stride con un’ansia di canone e generalità che trasuda da ogni momento della presentazione.

    mi piaceva qui sopra il fatto che forlani attaccasse criticamente il lavoro. certo dopo cento commenti mi sono chiesto ma non è che ostuni ha fatto davvero un lavoro titanico, nel senso che ha escluso gente di un cerchio appena più largo di quello proposto, e che ha fatto in tal modo torto a un bel po’ di amici e compagni d’armi? questo sì davvero un gesto eroico se non titanico. ma a noi cosa ce ne frega? non è che il cerchio dei “non inclusi ma che avrebbero dovuto essere inclusi” di cui si preoccupa forlani è appena poco meno claustrofobico di quello usato da ostuni? ahi ahi, se fosse così, andremmo dalla padella nella brace.

    sarei infine interessato a conoscere la bibliografia critica di autori compiutamente emersi e ascoltati nell’ultimo decennio quali giulio marzaioli, michele zaffarano e lidia riviello. spero che qualche studioso possa aiutarmi.

    ciò detto, trovo salutare l’invito di giusco e di viola: che ostuni faccia e pensi un po’ quel che gli pare!

    salut,

    une mère

  83. un po’ come certi partiti d’opposizione, i poeti degli anni zero puntano tutto sull’opposizione a un “-ismo”: lirismo, epigonismo.

    un po’ triste che uno che ha l’occasione di presentare al mondo i suoi poeti preferiti debba iniziare il discorso prendendosi a sparare sull’ambulanza (leggi: rondoni, alba donati).

  84. ai miei tempi certi figli erano ipnotizzati dal televisore, che li faceva disattenti e svogliati. il tempo passa. ora tocca alle madri

  85. mamma tu si na cosa grande pemmè!
    per quanto riguarda la tua osservazione posso dirti che è giusta soprattutto quando strada facendo ho insistito su un paio di nomi (dall’aria e dallo stile di famiglia) rispetto a una più ampia compagine proposta all’inizio, ma questo con il chiaro intento di dimostrare la falsificabilità delle griglie proposte; In verità il mio ottimismo è giunto a dire, pur non citandoli uno ad uno che su NI (sud ovvero la rivista di cui mi occupo) ma anche nei siti che citavo all’inizio è possibile prendere in seria considerazione un numero ben maggiore di percorsi oggettivamente interessanti. Come ignorare allora il prezioso lavoro svolto dallo stesso Giovenale in questi anni…Detto questo mi sembra che alla fine della fiera ciascuno di noi si sia fatto una propria idea sulla questione riconoscendo a vincenzo (Ostuni) di essersi fatto una bella antologia su misura, che forse, qui nessuno può dirlo con certezza, sarà considerata negli anni a venire come la migliore delle antologie possibili. E di questo gliene si renda merito, Bene. au suivant!
    effeffe

  86. Caro madre, ma perché non ti palesi? L’anonimato dei blog è una roba che aveva senso nei Novanta. In realtà, ti assicuro, ho fatto ogni sforzo di superare la rubrica telefonica. Senza che questo sia in sé un titolo di merito, non avevo mai conosciuto, neanche da lontano, Frene, conoscevo solo per iscritto e poco Bortolotti, Biagini, appena appena Annovi. Il mio migliore amico fra i poeti, Michele Fianco, è stato escluso non perché io lo giudichi inferiore, ma perché non è compiutamente emerso, non ha pubblicato abbastanza e soprattutto non è stato ascoltato abbastanza. Altri amici cari sono stati esclusi per lo stesso motivo. La tua accusa, empiricamente, non sta in piedi. Se i nomi sono déjà vu, ci sarà un motivo: il motivo potrebbe essere che sono, in effetti, già stati considerati bravi?

    Non ho cominciato, bensì terminato, il mio intervento con la “croce rossa” Donati-Rondoni, una croce rossa ben fornita, visto che tiene rubriche, festival, antologie Garzanti e non Ponte Sisto. Che croce rossa e croce rossa? Magari.

    Se l’attacco di Forlani è un attacco “critico”, io sono Lenin e tu Robespierre. Possibile che l’intero blog letterario più famoso d’Italia non sia in grado di esprimere una critica non strettamente pretestuosa e strettamente inarticolata, se non da parte di coloro che ho scelto per far parte dell’antologia? Questo evidentemente conferma la bontà della mia scelta.

    Su Riviello, Zaffarano e Marzaioli: l’antologia, che evidentemente non hai aperto, presenta una bibliografia critica di tutto rispetto per ciascuno di costoro, oltre che una bibliografia di opere. Ciascuno ha pubblicato vari libri nei Duemila, ed ottenuto recensioni e attenzioni importanti, articolate, diffuse. Ma perché pensi, e non sei il solo, certo, di poter aprir bocca senza minimamente attenerti alla realtà basilare dei fatti, senza un minimo di controllo empirico sulla verità di quel che dici? Che arroganza, che idiozia, che malcostume, che meschinità.

  87. Caro fm
    Ti ringrazio per le tue parole, davvero, me le sono copiate sul computer e cercherò di ricordarmene, in futuro.
    Ci tengo a dirti, però, che persone come Marco Giovenale, e molti altri presenti nell’antologia, sono estremamente limpide.
    Rispetto all’intervento di madre, che ho trovato acuto,
    mi sono chiesto se il mio modo di vedere le cose sarebbe cambiato, se fossi stato inserito in questa benedetta antologia papalina e ho fatto un po’ di outing nel primo intervento.
    Il problema di fondo, con simili operazioni (una sorta di ‘qualità dell’aria’ in poesia, come spirito), in cui è palese che chi ci guadagna, volontariamente o meno, in termini di ‘emersione’ nei piccoli mondi è chi le cura, è che si tratta per lo più di nichilistico potere per il potere. Credo che il senso di un’antologia debba essere in primo luogo quello di rappresentare le diversità, anche in chiave critica, senza che ciò comporti uno svilimento della capacità di selezionare autori, e tendenze. Da questo punto di vista, l’operazione illuministica di selezioen dei migliori e di autoselezione di se stessi come migliori fra i migliori, è piuttosto ambigua e mi delude profondamente. Ecco se avessi visto nell’antologia un Flavio Santi, una Francesca Genti, un Simone Consorti, un Federico Italiano (cito persone di cui sono amico e persone che invece conosco e basta, unite da forse dalla mancata corrispondenza ai papalini canoni), mi sarei tenuto per me il fiele da esclusione. Non amo queste operazioni. Non mi piacciono e il buon gusto del curatore di escludersi dalla sua selezione di amici non muta di una virgola ciò che penso, ma non come compagno d’armi escluso, come poeta.

  88. E soprattutto: se ci fosse stata una reale discussione a monte, preferibilmente pubblica, sul come curare un’antologia, minimizzando il più possibile il conflitto di interessi, spesso immanente al fenomeno antologia, fra il curarla ed essere parte in causa, avrei accettato anche le canonizzazioni, criticandole, ma le avrei accettate. Così no. Proprio no..
    A me pare di capire che qui ci sia stata un’investitura dall’alto. Mettiamola così: la rivista diretta dal padre di un mio amico mi propone di fare un’antologia. Adesso mi diranno che sono subdolo e meschino e che come posso pensare queste assurdità. Fa parte delle mie riflessioni sul ‘potere’ , a tutti i livelli, anche quando non ci sono interessi personali dietro, al di fuori di un tragico miscuglio fra altruismo, oggettivà, papi (pontefici, per carità altrimenti Vincenzo querela…) e ambizioni letterarie.
    Non ci posso fare nulla, scusatemi, forse dovevo nascere in un’altra città.

  89. @Ostuni:

    solo per curiosità:
    premesso che Bortolotti è forse l’unico della sua rosa che veramente mi piace, non solo oggettivamente come autore, ma anche soggettivamente e personalmente perché tra i tanti mi pare l’unico che in più occasioni ha dimostrato di sapersi anche mettere in gioco con autoironia e senza divismi, quando lei dice conoscevo solo per iscritto e poco Bortolotti … , mi spiega su che basi lo ha “selezionato”? Solo perché si dice sia bravissimo?
    Altra curiosità:
    Ma se si continuano a pubblicare gli “emersi”, in quanto emersi, che chances ci sono per i “non emersi”? Mi sembra quasi di leggere quelle offerte di lavoro che recitano “cercasi apprendista con espereienze quinquennali nel settore”. E che coraggio c’è in tutto questo? Dov’è la sfida? Quali novità si presentano? Non le sembra tutto un po’ riduttivo e deprimente? A me, in tutta onestà e senza alncun spirito polemico, sì.
    grazie per l’attenzione.

  90. Cara Natalia,

    ovviamente Bortolotti l’ho letto. Rispondevo ad accuse di aver selezionato sulla base di conoscenze personali, ed elencavo i casi in cui la conoscenza personale non c’era.

    Sono d’accordo che un’antologia di non emersi sarebbe utile; ma mancava anche un’antologia “di emersi”, che ritengo più urgente e più utile. Le antologie “di emersi” hanno un ruolo storico che non ho inventato io, e che è stato cruciale, da almeno due secoli, per determinare la ricezione e gli stessi sviluppi creativi di questa forma d’arte. Vista la scarsa diffusione non credo proprio che la mia abbia questi esiti, ma a mio parere valeva la pena farla. Il motivo più profondo sto provando ad accennarlo contemporaneamente in un altro post.

    La inviterei a non fare confusione fra la simpatia personale e l’apprezzamento artistico. Gherardo è simpaticissimo, ma se proprio non le piaccio io provi a conoscere anche gli altri.

  91. non faccio alcuna confusione, Ostuni, la mia premessa indicava solo la non volontà di un attacco personale al Bortolot, che mi piasce tanto tanto, dunque non volevo esser fraintesa. Per il resto, avendo già comprato anche caruccio e salatuccio, il recente “prosa in prosa”, ed avendo già una sostanziosa idea dei grandi, preferisco risparmiare qualche soldino in vista di novità di rilievo.
    c’est tout.
    (lei mi sta simpaticissimo, leggerla è stato più che divertente, le pare! ;)

  92. Il signor Ostuni, immagino per amor di polemica, si esprime così: ” Possibile che l’intero blog letterario più famoso d’Italia non sia in grado di esprimere una critica non strettamente pretestuosa e strettamente inarticolata, se non da parte di coloro che ho scelto per far parte dell’antologia? Questo evidentemente conferma la bontà della mia scelta “.

    Come dire che i soci del mio club sono i migliori perché solo i soci del mio club sanno essere soci del mio club. Non fa una grinza.

    – A proposito, avete letto il giornale?
    – No, e voi?.
    – Neppure io.
    – Allora, che ne pensate?.
    – Niente, e voi?.
    – La penso esattamente come voi.
    – Bene! Vedo che abbiamo le stesse idee politiche!

    (Pierre Cami)

  93. Vincenzo
    sarebbe cosa buona e giusta che la smettessi di offendermi, sei un pessimo poeta e questo basterebbe a dare il peso giusto alle tue parole di critico. Anche se come critico sono sicuro che la tentazione di metterti tra i migliori l’avrai pure avuta. La tua ipocrisia e aggiungerei pochezza intellettuale si rivela quando scrivi i:

    il mio intervento con la “croce rossa” Donati-Rondoni, una croce rossa ben fornita, visto che tiene rubriche, festival, antologie Garzanti e non Ponte Sisto. Che croce rossa e croce rossa? Magari.

    Forse sarebbe ora che la smettessi un po’ con tutti questi giochetti da simil radicale delle lettere, da militante delle cause perdute, e ti dedicassi un po’ di più alla tua poesia, non ancora “fiorita” così magari al secondo o terzo volume di questa felice opera un posticino lo potresti trovare anche tu.
    effeffe

  94. Però viciè ti confesso che se come comico volontario non vali una sega (vd i tuoi tentativi di risultare simpatico e scherzoso con i gargarismi di poco fa) come comico involontario sei una bomba (ti metterò nella mia antologia dei migliori umoristi malgré eux)
    Infatti scrivi:

    Possibile che l’intero blog letterario più famoso d’Italia non sia in grado di esprimere una critica non strettamente pretestuosa e strettamente inarticolata, se non da parte di coloro che ho scelto per far parte dell’antologia? Questo evidentemente conferma la bontà della mia scelta.

    Ora si da il caso che coloro che sono intervenuti agiusto titolo e in modo pertinente sono Andrea Inglese, Gherardo Bortolotti (redattori del sito letterario più famoso d’Italia) e Marco Giovenale da sempre uno dei maggiori collaboratori dello stesso blog. Ma è ovvio che per un commissario del popolo come te la qualifica di “autore compreso nell’antologia” per quanto cronologicamente successiva sovrasta quella precedente e aggiungo io più sostanziale di redattori del citato blog. Forse una ripassata ai fondamenti del linguaggio sarebbe opportuno che la facessi tu, a questo punto, anche se ti consiglio di restare alla poesia, dedicare più energia a quest’ultima altrimenti ricerca ricerca non troverai una beata mazza.
    effeffe

  95. L’idea delle primarie per l’antologia non è malaccio! Forse andrebbe praticata. In un certo senso, sì, diciamo che ad esempio le classifiche di qualità di Dedalus sono basate su un principio più condiviso e democratico. E’ vero, l’investitura può non essere stata adeguata, si tratta di un azzardo: lo riconosco anche nei ringraziamenti, in cui indico almeno cinque o sei persone che avrebbero fatto un lavoro sicuramente migliore. Date queste condizioni di partenza rischiose, tuttavia, rivendico la massima serietà e imparzialità e indipendenza di giudizio, che credo sia molto di ciò che occorre rivendicare in casi simili. Sarebbe ridicolo non rivendicare di aver scelto quelli che si giudicano migliori; è un’acrobazia epistemologica di cui non sono capace, nonostante mi sia stata attribuita, insistere di aver scelto i migliore _in re ipsa_.

    A parte le solite contumelie idiote, riflessioni sul potere degne di un bambino di sei anni e non di un filosofo del diritto, e varie altre allusioni più o meno opache alle quali non voglio rispondere qui ma cui semmai mi riservo di rispondere la prossima volta che ti vedo con un allusivo schiaffone, Mantello, in maniera cioè dialetticamente simmetrica, con argomenti cioè ugualmente raffinati – a parte questo, spicca tuttavia da questi due ultimi commenti un barbaglio di costruttività. Se non altro, mi dici che preferiresti un modello più orizzontale di “canonizzazione” – e, ti dico, potrei in effetti, in linea di principio, preferirlo anch’io! – e, nel precedente commento, citi alcuni autori che ti paiono ingiustamente esclusi. Ti pare cioè – questo per la verità, ben mimetizzato fra altre escrezioni scatologiche, l’avevi già accennato in precedenza – che l’antologia sia in effetti quello che dichiara di non essere, un’antologia di tendenza. Ti confermo quel che ho scritto nella premessa: che non la ritengo un’antologia di tendenza, ma che secondo me esiste una “catena di parentele” fra i poeti antologizzati; pochissimi tratti in comune fra tutti ma parecchi gruppi di tratti in comune ciascuno fra alcuni. Spero di esser stato chiaro. (Fra questi ultimi, nella prefazione cito persino certe forme di lirismo relativamente asoggettivo, non suicentrico, ecc., che caratterizzano a mio parere almeno alcuni fra i poeti: dunque certe forme di lirismo sono esplicitamente accolte, e non parlerei in effetti di un’antologia antilirica senza altre specificazioni). Tuttavia, allo stesso tempo, sono il primo ad ammettere di escludere alcune poetiche, che ho chiamato con eccessiva sintesi liriche-liriche, vicine alla grande tradizione ermetica o orfica o innamorata del Novecento, e che però non mi sembrano oggi manifestare quasi più, fra gli autori delle generazioni considerate, apprezzabile vitalità. I pochi che sanno far bene quella cosa lì presentano però un carattere a mio parere, e non solo mio, epigonico, di ripiego, espressivamente “accontentato”, ecco. E poi sono pochi, ripeto! Sono i più fra, diciamo, i poeti della prim’ora, ma sono pochissimi fra quelli che si mettono lì a fare sul serio. Per questo la mia antologia secondo me esclude la riproposizione contemporanea di grandi trascorsi (epigonismo), e potrebbe sembrare escluda molto, ma di fatto esclude – per ragioni di poetica e non di gusto, cioè – poco, pochi autori singoli, pochi bravi autori lirici che fanno sul serio, di fronte ai quali non mi cadono le braccia senza condizione. A me ne vengono in mente davvero, tipo, tre o quattro. Il dato di esiguità delle poetiche escluse può esser certo frutto di una mia illusione, ma mi si impone con una forza soggettiva intensissima. Insomma, mentre ancora nella generazione precedente abbiamo bravi lirici, e almeno un lirico-lirico di grande rispettabilità e di notevole originalità, quel cavallo pazzo di Milo De Angelis, mi sembra che oggi ad esser lirici-lirici ce la si passi male.
    Gli autori che citi, quale più quale meno, sono interessanti, li ho letti a più riprese negli anni (Genti, Consorti, Santi) o più di recente (Italiano) e li ho esclusi. Se quest’ultimo per motivi di poetica – trovo difficile da digerire la sua attitudine all’epos: non l’epos in generale, ma il suo epos, così sostanzialmente classico, ed espressivamente anche molto incerto – gli altri però no. Simone lo conosco da vent’anni e l’ho apprezzato moltissimo, alcune sue cose mi paiono geniali, ma mi pare molto discontinuo. Spero trovi maggiore continuità nel futuro. Su Genti, non sono affatto certo si tratti di una tendenza “diversa” da quelle (metto il plurale, N.B.) rappresentate nell’antologia: ci sarebbe potuta stare, ed è fra i miei maggiori dubbi. E così Santi. Ma insomma i poeti che indichi, con la certa eccezione di Italiano, sono autori che non faticherei – tanto più data la sua vastità – ad ascrivere all’area, che a me pare appunto amplissima e a te no, individuata dall’antologia. Quindi la loro inclusione non avrebbe poi comportato una “rappresentanza” tanto maggiore.

    Mi spiegherai poi dove starebbe ’sta scalata al potere: a un certo punto citi persino, se non vado errato, la locuzione “potere accademico” – ma forse era nella nostra corrispondenza privata, in tal caso scusa. Accademico? Sono fuori dall’accademia – per di più in altre discipline! – dal 2002. Semmai, è un fatto obiettivo che non ho da render ragione a consorteria alcuna e, per giunta, non faccio parte di alcun gruppo artistico organizzato. Inoltre, la mia professione di editor comporta già un continuo esercizio di potere in un mondo ancora piccolo e relativamente povero ma senz’altro più ampio e fornito di mezzi di quello della poesia, e per altro ad essa contiguo o che lo include persino. Dico questo non per vantarmi di nulla – chi lavora con me può testimoniare del modo in cui esercito il potere nel mio mestiere – ma si tratta di un fatto obiettivo: non ho bisogno di questo altro potere per fare alcunché di quello che mi interessa: ho già in teoria abbastanza potere – se vuoi chiamarlo così – su autori, critici, giornalisti… Non escludo di ottenere più potere in qualche ambito, in specie nella poesia, ma di certo non si tratta di una corsa al potere per il potere, di cui non ho bisogno e penso di averlo dimostrato con le mie scelte professionali, editoriali, poetiche. Mi ha però molto interessato lavorare a quest’antologia. La mia idea era di contribuire, secondo le mie capacità, a dare una rappresentazione articolata, piena, a una generazione di artisti di primo livello, che operano quotidianamente e con scarsissima eco (altro che divismi) facendo della scrittura in versi o della prosa poetica un mezzo aggiornato e vivissimo di rappresentazione ed espressione delle correnti profonde della nostra condizione storica, dei conflitti reali di questo mondo, senza – ecco il punto – accampare capacità di attingimento lustrale a valori eterni della parola pura, senza dispiegare presunte saggezze basilari e davvero pontificali, senza esibire mediocri piagnistei esistenziali o pseudofilosofici. Gli “epigoni lirici” sviliscono la reale capacità della poesia di essere una cosa di questo mondo, e non di un altro più bello o più triste o più buono o più stellare o più pazzo. La buona poesia che si fa oggi è una cosa di questo mondo, che lo vede bene e lo riguarda. Per parafrasare Stockhausen, i lirici-lirici, almeno oggi, fanno una poesia che si pensa eroicamente trascendente ed è invece digestiva.

    Queste cose strane che si chiamano antologie, si fanno da sempre: in contesti troppo diversi però per interessarci qui, da almeno due millenni e mezzo. Negli ultimi due secoli circa hanno avuto una funzione allo stesso tempo di resoconto e di superamento, di invito alla trasformazione e anche semmai di apertura al rifiuto. Le antologie – a ogni livello, anche antologie come questa che avrà magari scarsa fortuna, e magari meritatamente tale – in momenti specifici della storia letteraria hanno per così dire catalizzato e precipitato costellazioni estetico-poetiche, rendendole più visibili di quanto accada per singoli testi o autori (tant’è che questa antologia – e sarebbe stato certamente così anche se fosse stata compilata con gusti e scelte diverse – ha avuto già un discreto spazio sui giornali) e facilitando persino il cambiamento. Le antologie sono un dispositivo con cui la società moderna dice a sé stessa – diciamo: un dispositivo con cui quel suo sottoinsieme altamente specializzato ma ancora, nonostante l’evidente e profondo declino, moderatamente _speciale_ che è la società letteraria dice a sé stesso: ecco, guarda qui che cos’è oggi la poesia – per soppesarla, proseguirla, rifiutarla, problematizzarla, rovesciarne le sorti. Quindi ben venga la rabbia anche scomposta se porta altrove. Ma sottolineo se. E poi le antologie sono anche un rito, una celebrazione, un festeggiamento, un sostegno narcisistico (in senso, vi prego di N.B., tecnico) di cui forse una disciplina tanto seria e tanto sottovalutata può aver oggi bisogno. Ma di questo altrove.

    Ovvio che parlare di un’antologia seriamente – da parte di chi la critica – comporti valutarla nella sua concretezza testuale. In questo caso mi pare perdonabile non lo si sia fatto (meno perdonabile che non si sia neppure letta con attenzione la premessa che dà il via a questo thread) sia perché già la mera scelta (questo sì questo no) ne rappresenta una dimensione rilevante, sia perché credo che oggi l’antologia l’abbiano in mano davvero in pochi. D’ora in poi, forse sarebbe più serio procurarsela. [Ad es., @natalia: ma lei è proprio sicura che non le piaccia nessuno tranne Gherardo? ma li ha letti davvero tutti? allora complimenti vivissimi, non credo sia cosa comune aver letto tutti i testi che ho antologizzato neanche per chi si occupa professionalmente di poesia]. Con l’augurio di occasioni più serene per parlarne, vi saluto tutti caramente.

  96. @ Larry, Forlani, sono tre giorni che qui si producono per lo più sfoghi e contumelie con argomenti pochini, senza neanche aver aperto l’antologia: uno sfoghino a me – di cui mi scuso – a notte fonda?

    @ Forlani, mi dispiace tu ricorra all’argomento ad hominem: qui stiamo parlando dell’antologia, non della mia poesia. Sarebbe come se io adesso volessi parlare della tua scrittura. Che c’entra? Stai bene.

  97. Vincenzo
    a me dispiace, e molto, essere preso per il culo e comunque si può essere splendidi come persone, e lo penso di te, ed essere pessimi poeti. In ogni caso, come ti ho scritto nell’ultimo commento, molto confusi.
    effeffe

  98. Forlani, non mi sembra che le critiche che mi hai rivolto siano coerenti con una tua alta opinione di me come persona. Ma comunque, statti bene uguale.

  99. Comunque, per essere precisi, devo delle scuse sulla mia chiusa

    che arroganza, che idiozia, che malcostume, che meschinità

    davvero eccessiva.

    Tuttavia, per quanto riguarda il blog Nazione Indiana nel suo complesso, mi spiace essere stato ingeneroso, ma davvero a parte poche teste pensanti, e a parte frammenti di interventi (da quelli raramente espressi da Mantello ho preso generoso spunto con il post lungo qui sopra), solo farneticazioni, per di più farneticazioni a priori. So bene che Andrea e Gherardo sono della redazione, che Marco c’è spesso, e infatti ho detto che quanto di critico c’era nei loro interventi mi sembrava non solo sensato e accettabile ma _articolato_, nel senso in cui sono capaci di _articolazione_ gli esseri pensanti, ecco, a differenza di tante altre cose che ho letto. Questo – ma non solo questo, anche altri thread cui ho partecipato in passato, e sempre più a mano che passa il tempo, anni fa non mi sembrava così – mi lascia una profonda impressione di declino di NI, questo non posso nasconderlo.
    E per quanto riguarda il divertente paradosso di Larry – del resto avrebbe potuto mettere quasi qualsiasi paradosso, il Larry, al posto di quello non del tutto pertinente, non trovi? – esso si applica solo all’ultima frase del brano che cita (questo mi conferma ecc.), che è ovviamente una boutade. Peccato che trovi da ridire solo su quello, o anzi meno male! Può darsi voglia a differenza di altri giudicare il lavoro dopo averlo letto.

  100. Errata corrige, per non far da esca ad altri franintendimenti:

    Non escludo di ottenere più potere in qualche ambito, in specie nella poesia,

    Non escludo A CAUSA DI QUESTA ANTOLOGIA di ottenere più potere in qualche ambito, in specie nella poesia,

  101. PERCHE’ IL PRINCIPIO DEL PIACERE CRITICO DI OSTUNI VI RODE TANTO? PERCHE’ VI IRRITA CHE “UNO” POSSA FARE DELLE SCELTE SENZA FARSI CONDIZIONARE DAI “GRUPPI” ALL’ITALIANA??? IL MITICO BLOG NAZIONE INDIANA MICA SI DIFFERENZIA DALLE ALTRE CRICCHE , VI DIFENDETE TRA VOI COME MATTI E SE PENSATE DI ESSERE ESENTI DAL VIZIO DI APPARTENENZA MATTA E VI SENTITE UN PO’… FRANCESI O BERLINESI…. E NON ITALIANI VI SBAGLIATE….

  102. Leggendo questo thread, mi verrebbe da pensare che la possibilità di un dibattito decente, in rete, su di un’operazione culturale qualsiasi, è oggi al di fuori delle nostre possibilità.

    Spero che nessuno ne esca contento da uno scambio del genere.
    Perché quello che è stato fatto qui nei confronti di un lavoro come quello di Ostuni, potrebbe essere fatto nei confronti di qualsiasi lavoro realizzato da quelli che lo hanno attaccato. E’ l’immagine perfetta di un gioco al massacro. Qualsiasi cosa fai, dal momento che la fai, è sbagliata.
    X pubblica un libro per la collana y diretta da z. Immediatamente X, Y, Z hanno torto, secondo gli autori: A,B,C, D, ecc. A dice: perché X ha pubblicato per Y e non io? E poi: X è amico di Z, X e Z si fanno favori, ecc. Invece di pubblicare X si doveva pubblicare H, ecc.

    E’ uno straordinario sistema dove chi attacca oggi domani potrà essere attaccato, chi delegittima oggi domani potrà essere delegittimato, secondo la stessa logica del sospetto e del discredito.

    Tutto ciò senza che nessuno si sia preso la briga di leggere il libro di X e di fare, mettiamo, una recensione critica sul libro di X.

    Io spero che quelli che qui hanno attaccato il lavoro di ostuni, basandosi sulla sua introduzione all’antologia, si prenderanno anche la briga di leggersi l’antologia e di farne poi una stroncatura articolata da qualche parte. Sarebbe almeno un atto di rispetto non per i gusti di Ostuni, ma almeno per la serietà del suo lavoro. Ma per fare questo bisogna fare almeno il lavoro (serio) di leggersi davvero l’antologia, e non solo una sua parte.

    ps a Natalia

    ma Natalia cos’è il “divismo” dei poeti? Far parte di un’antologia è un segno di divismo? E sopratutto ti sembra che l’essere poeta, oggi, possa dare spazio a qualcosa di analogo al divismo? Sfighismo, lo capirei ancora… ma divismo…

  103. A parte la questione dei metaforici ceffoni, molto triste da parte di un quarantenne che come prima forma di difesa dalle critiche altrui fa pirilllo pirello, o il fatto delle consorterie accademiche che mi rovesci addosso, beh non c’è peggior sordo di chi non vuole sentire. Lo confermo: non c’è niente di peggio delle consorterie accademiche applicate alla poesia e alla sua fisiologica, necessaria, indispensabile, gratuità, per cui invece di difenderti, ragionaci, poniti il problema del ‘potere’.
    Vedi la differenza fra me e te sta in questo, che io quando parlo con qualcuno, in pubblico o in privato, mi espongo e cerco di guardarmi dentro. Tu metti muri, assolvi e condanni, promuovi e bocci come un professore di metrica (anzi di non-metrica, a-metrico). Lo confermo, e questo non è un attacco alla tua persona nella sua globalità, è un attacco all’operazione specifica a cui ti sei prestato con questa antologia, se non ti è ancora chiaro.
    Nel merito, visto che alla fine qualche cosa da dire ti è uscito (sempre peraltro con questa logica un po’ snob del ‘reputo degno o indegno rispondere a…’) credo sia fin troppo facile includere a posteriori nei tuoi generalissimi e astratti parametri decisionali, tutti gli autori che scarti (ma ti rendi conto che si continua a parlare di cosa ‘scartai’ e di cosa ‘non scarta’ Vincenzo Ostuni? Ti rendi conto dove sei, adesso, su un piedistallo…”ho scartato quello perchè mi pareva così e così…”
    Beh se questa non è paraaccademia, scusa, ci manca poco).
    Sono felice, comunque, che in tutto questo casino di incazzature riconosci l’esistenza del problema, è un passo avanti, almeno.
    Ovviamente non la finirò qui, nel merito della ‘poetica’.
    Poichè mi accusi di non aver letto con attenzione la tua prefazione, mi costringi a scriverci un saggio, su questo fatto ridicolo del ‘lirismo’ e soprattutto su questo fatto dell’io in poesia. Lo chiamerò: Dalla parte degli Usignoli (riferendomi a una vecchia favola di Oscar Wilde) ed esprimerò compiutamente le mie personali vedute sul ‘gelo’ e la ‘noia’ che talora genera nel lettore, l’azzeramento del correlativo oggettivo e nondimeno sulla necessità che un’antologia di poesia ne contenga esempi.
    Intendo postarlo su questo sito, magari in un mese, dopo aver letto compiutamente il mare di ideologia da cui scaturiscono le tue riflessioni.
    Cerca di di non perderti nel letale fognaio (peraltro assolutamente trasversale e fondante il paese dove viviamo, non solo accademico ), dell’autoaffermazione.

    p.s. Quanto all’ambito accademico di cui mi occupo -che non è, peraltro, la filosofia del diritto- informati e vedrai quanto mi sia giovato, nella mia ‘carriera’, di quello che Gaetano Mosca chiamava il ‘vantaggio delle posizioni acquisite’.

  104. @Andrea: sfighismo, sicuramente, almeno per tanti. Ma mi riferivo al modo di porsi di Gherardo che, a mio parere, è molto diverso (terreno, verace, umano?) da quello di altri. Ma è un parere soggettivo, probabilmente anche sbagliato. ciao!

  105. POETI DEGLI ANNI ZERO, vol. 2:

    Fabiano Alborghetti, Vincenzo Bagnoli, Alessandro Broggi, Simone Cattaneo, Matteo Fantuzzi, Vincenzo Frungillo, Florinda Fusco, Francesca Genti, Massimo Gezzi, Paolo Maccari, Guido Mazzoni, Vincenzo Ostuni, Adriano Padua, Gilda Policastro, Andrea Ponso, Andrea Raos, Flavio Santi, Luigi Socci, Andrea Temporelli, Italo Testa.

  106. POETI ITALIANI ANNI ZERO vol. 2:

    Fabiano Alborghetti, Vincenzo Bagnoli, Alessandro Broggi, Simone Cattaneo, Matteo Fantuzzi, Vincenzo Frungillo, Florinda Fusco, Francesca Genti, Massimo Gezzi, Paolo Maccari, Guido Mazzoni, Vincenzo Ostuni, Adriano Padua, Gilda Policastro, Andrea Ponso, Andrea Raos, Flavio Santi, Luigi Socci, Andrea Temporelli, Italo Testa.

    Saluti,
    f.

  107. @andrea, la prefazione non è così attaccabile mentre il resto no. a me sembra ci siano spunti, ragionamenti e auctoritates condivise. solo perché tu non venga frainteso (“va be’, l’intro è una cagata, però il resto è fatto bene, garantisco” – firmato andrea inglese)

    @mantello

    “A parte la questione dei metaforici ceffoni, molto triste da parte di un quarantenne che come prima forma di difesa dalle critiche altrui fa pirilllo pirello”
    >
    un totale non sequitur. rileggi: “questione dei metaforici ceffoni, molto triste da parte di un quarantenne che come prima forma di difesa dalle critiche altrui fai pirillo pirello”. rileggi: “questione dei metaforici ceffoni, molto triste da parte di un quarantenne che come prima forma di difesa dalle critiche altrui fai pirillo pirello”. rileggi: “questione dei metaforici ceffoni, molto triste da parte di un quarantenne che come prima forma di difesa dalle critiche altrui fai pirillo pirello”. hai capito? no, vero? non sequitur, non. sequitur. NON. sequitur. parole in libertà. se a insulti e contumelie non ho reagito venendoti a cercare o querelandoti mi sono limitato a un “pirillo pirello”, ho esibito una classe che tu neanche dopo cent’anni a Oxford.

    Lo confermo: non c’è niente di peggio delle consorterie accademiche applicate alla poesia e alla sua fisiologica, necessaria, indispensabile, gratuità, per cui invece di difenderti, ragionaci, poniti il problema del ‘potere’.
    >
    Non sequitur: io con le consorterie accademiche che c’entro? non ci sarà niente di peggio, ma che c**** c’entro io?

    Vedi la differenza fra me e te sta in questo, che io quando parlo con qualcuno, in pubblico o in privato, mi espongo e cerco di guardarmi dentro.
    >
    Non la chiami un’esposizione questo? E come la chiami, una mousse al cioccolato, parole in libertà, mio nonno? Ma ti pare possibile essere così scopertamente insufficienti?

    Tu metti muri,
    >
    Ma quali muri? Tu e altri sembrereste volermi murare vivo o mettermi al muro, semmai.

    assolvi e condanni, promuovi e bocci come un professore
    >
    ho solo fatto un’antologia – e rifiutato in passato il tuo romanzo e quello di forlani, se proprio finalmente vogliamo metterla su questo piano. Perché se non la metto su questo piano io tutto questo accanimento non lo capisco.

    di metrica (anzi di non-metrica, a-metrico).
    >
    finissimo poeta.

    Lo confermo, e questo non è un attacco alla tua persona nella sua globalità, è un attacco all’operazione specifica a cui ti sei prestato con questa antologia, se non ti è ancora chiaro.
    >
    mi sono prestato un cavolo, questa antologia l’ho fatta io e non “il sistema” e ci ho messo, pour cause, poeti che non sono certo l’unico a giudicare, se non tutti i maggiori e se non tutti tra i maggiori, per lo più tra i maggiori. mica ci ho messo mantello, per dirne uno!

    Nel merito, visto che alla fine qualche cosa da dire ti è uscito (sempre peraltro con questa logica un po’ snob del ‘reputo degno o indegno rispondere a…’) credo sia fin troppo facile includere a posteriori nei tuoi generalissimi e astratti parametri decisionali, tutti gli autori che scarti (ma ti rendi conto che si continua a parlare di cosa ‘scartai’ e di cosa ‘non scarta’ Vincenzo Ostuni? Ti rendi conto dove sei, adesso, su un piedistallo…”ho scartato quello perchè mi pareva così e così…”
    Beh se questa non è paraaccademia, scusa, ci manca poco).
    >
    Se ho usato la parola scartare (l’ho usata?) l’ho fatto in maniera puramente referenziale. non mi sembra di aver tentato di demolire nessuno.

    Sono felice, comunque, che in tutto questo casino di incazzature riconosci l’esistenza del problema, è un passo avanti, almeno.
    >
    Grazie!

    Lo chiamerò: Dalla parte degli Usignoli (riferendomi a una vecchia favola di Oscar Wilde) ed esprimerò compiutamente le mie personali vedute sul ‘gelo’ e la ‘noia’ che talora genera nel lettore, l’azzeramento del correlativo oggettivo
    >
    “azzeramento del correlativo oggettivo”? ma che dici? chi lo ha mai azzerato?

    e nondimeno
    > “e nondimeno”? AHAHAHAH.

    sulla necessità che un’antologia di poesia ne contenga esempi.
    >
    questa ne contiene a centinaia. Sai che capolavoro di critica. Lo aspetto con ansia.

    Cerca di di non perderti nel letale fognaio (peraltro assolutamente trasversale e fondante il paese dove viviamo, non solo accademico ), dell’autoaffermazione.
    >
    Tu cerca di non perderti nel nulla del nulla del nulla dove sei comunque destinato a permanere.

    p.s. Quanto all’ambito accademico di cui mi occupo -che non è, peraltro, la filosofia del diritto- informati e vedrai quanto mi sia giovato, nella mia ‘carriera’, di quello che Gaetano Mosca chiamava il ‘vantaggio delle posizioni acquisite’.
    >
    Il povero Mosca ronza nella tomba.

  108. Ho un vago ricordo: alla fine degli anni ottanta e nei primissimi anni novanta (non 1994 ma 1990) mentre molti di coloro che ora scrivono forsennatamente contro Ostuni, “studiavano” (all’Università?) forse singoli poeti ma sopratutto “gruppi” e movimenti del ‘900, Vincenzo Ostuni giovanissimo non solo studiava ma scriveva, organizzava laboratori e dirigeva riviste, una per tutte Darsèna insieme a Laura Pugno, leggeva e incontrava i poeti non solo romani ( ostuni non è cordelli!) e chi vuole saperne di piu’ s’informi… si’ ho questo vago ricordo,,,

  109. @Federico 2

    Però senza polemica alcuna e con grande stima e rispetto, vorrei fare una riflessione: immaginiamo per un momento che la tua sia una proposta reale: dopo aver fatto l’antologia che ho fatto, io non potrei accettare di entrare in questa. Almeno non se vuole mantenere una parentela di nome con la prima – non rivendicherei certo nessuna primazia, chiunque potrebbe chiamarla anche con lo stesso titolo, ecc. Il punto è che se nella lista che tu fai ci sono quasi tutti i poeti che con più dubbi ho mancato di inserire, ci sono anche alcuni dei poeti che più decisamente ho deciso di non inserire, proprio perché a mio parere rappresentano quella roba lì: epigonismo lirico, sopravvalutazione della performance. Mentre, se non fossi stato curatore di alcuna antologia, o se fossi stato curatore di un’antologia che intendesse limitarsi a fare una ricognizione di tutte le poetiche attive, non avrei avuto problema alcuno a prendervi parte, e anzi con eccezioni mi sarei sentito in ottimissima compagnia, avendo io curato l’antologia che ho curato difficilmente potrei accettare. Rispetto il lavoro di tutti, ma oramai – dopo questa roba qui – non potrei permettermi di aderire a un’antologia che, “completando” la prima, farebbe perdere di fatto alla prima il carattere di scelta poetica – per quanto molto plurale, pure una scelta poetica – che ha. Spero di esser stato chiaro. Devo aggiungere che per me, l’assenza di polemologia che caratterizza da quindici anni il confronto fra poetiche liriche-liriche e poetiche antiliriche o diversamente liriche, come l’ho chiamate scherzosamente più sopra, è un problema. Sarà il mio antico retaggio Gruppo93-ista, ma io davvero vedo la poesia lirica-lirica come nemica. Poeticamente nemica, certo, nemica come si è nemici nella modernità fra artisti, fatta da persone assolutamente rispettabili degne e splendide, ma in un certo senso, sì, sono novecentesco in questo, sbagliata.

    (Diverso, per chiarire ancora, sarebbe il caso di un’antologia generalista a sé, tipo fai conto una Parola plurale del futuro, su un arco di tempo ampio e con intenti ricognitivi: lì la mia astensione “poetica” perderebbe di senso e diverrebbe pura idiozia).

    Era solo uno spunto di ulteriore riflessione. Grazie ancora,
    V.

  110. Aggiungo altri nomi alla lista di eventuale poeti degli anni zero 2 che propone federico f: alessandro de francesco, elisa davoglio, luigi nacci dome bulfaro e me ne vengono altri in mente ma ….a mio avviso vincenzo ostuni dovrebbe fare un seconda antologia spinto non dai commenti infuocati e quasi minacciosi di alcuni e non dal rispetto per le par condicio e poetically correct che propongono altri ancora e nemmeno per “ripagare” amici esclusi come pensa qualcuno!

  111. Il signor Ostuni, che poco fa chiedeva comprensione per via che quando lavora tardi di notte qualche sciocchezza la può pure scrivere, rispondendo a un intervento del signor Marco Mantello, si esprime di nuovo così, immagino senza amor di polemica, perché educatamente assai lascia fuori le eventuali professioni poco nobili delle madri:

    ” ho solo fatto un’antologia – e rifiutato in passato il tuo romanzo e quello di forlani, se proprio finalmente vogliamo metterla su questo piano. Perché se non la metto su questo piano io tutto questo accanimento non lo capisco “.

    A questo punto ci vuole il duello. Anzi, il triello, o troiello, o troiaiello, ora non ricordo il termine esatto per definire la sfida a tre.

  112. e marilena renda allora? Per me è validissima ma ha pubblicato due tre volumi almeno?

  113. Carramba che sopresa!

    leggo solo ora grazie a larry, Vincenzo, qui, del tuo rifiuto del mio romanzo!, ma diamine una mail potevi anche mandarmela, no? a un anno di distanza dall’invio del manoscritto. vedi la differenza fra me e te è che io ti ho attaccato assolutamente all’oscuro del tuo rifiuto editoriale, e tu mi attacchi ora, assai meschinamente detto fra noi, rivelando pubblicamente una cosa che non mi hai mai comunicato. certo è che se siete voi gli intellettuali a cui affidare le sorti del pensiero e delle rivoluzioni, siamo messi molto bene. Ostuni con questa hai superato te stesso, pessimo poeta, e, devo dire con una certa delusione, pessimo uomo.
    effeffe

  114. Sai Ostuni, mi sono perfino chiesto ma vuoi vedere che ti aveva scritto e tu te l’eri proprio scordato. E invece no, Vincenzo, io questa mail non l’ho mai ricevuta. Però ricercando ricercando ho trovato questo nostro scambio. mi permetto di renderlo pubblico perché soprattutto nella tua richiesa non appare nulla di osceno (magari sì con il senno di poi)

    Allora, mr Ostuni questo sei tu

    Caro Frank,

    magari hai già saputo, ma ti (ri?)trasmetto l’invito a partecipare come lettore a una serata sanguinetiana, che omissis, io e altri stiamo organizzando un po’ in ultimis. L’adesione pare tuttavia qualificata e numerosa e credo possa essere un’occasione piacevole. Si tratterebbe per ciascuno di leggere cinque minuti un testo a scelta – ma su questo vedi meglio sotto. L’idea è di coinvolgere non solo e non tanto quelli che gli si sentivano più vicini sotto il profilo intellettuale e letterario, ma in generale autori stimabili che sentano di volerlo, direi quasi, festeggiare assieme, nonostante le differenze. Se per caso fossi da queste parti e ti andasse di esserci ne sarei felice e grato.
    Tuo,
    V.

    e questo sono io

    caro vincenzo ti ringrazio assai
    ma mi sentirei un ipocrita a partecipare
    avendo di quella esperienza del gruppo 63
    amato più spatola, niccolai, porta, o l’outsider Villa
    che non sanguineti.
    non avevo di lui grande stima di uomo
    (al di là del lutto che rispetto per ogni morto)
    dopo alcuni incontri che ho avuto con lui
    sarebbe da ipocriti vincenz e poco etico esserci
    però resto con il vostro amore per le lettere
    in risonanza

    effeffe degli autori stimabil

  115. questo era semplicemente per dire che le persone sporche non capiranno mai quelle pulite. Prima di prendere congedo da questo post che ha mostrato come e quanto il re sia nudo delle sedicenti avanguardie rivoluzionare italiote, addolorato certo dal corpo a corpo a cui mi sono prestato e andato ben oltre il senso di misura che ognuno dovrebbe avere, ritengo che questi atteggiamenti debbano rimane a futura memoria, scritti nero su bianco, non come panni sporchi privati da non esibire in pubblico ma come smascheramento di prassi che per la loro caratteristica, politica, etica, inficiano ogni tipo di discorso sulle lettere che si faccia a monte.
    effeffe

  116. Visto che ormai volano gli stracci peggio che al lavatoio, vorrei riportare la questione dal misero scannamento sui nomi dei presunti “migliori” al criterio critico di scelta dell’antilirismo e anti epigonismo lirico: non le pare Ostuni che la maggior parte della sua rosa di poeti e soprattutto di poetesse ne siano invece permeati in modo sotterraneo peggio dei sottoboschivi? In un ventaglio che va dalla farragine barocca, al decadentismo funebre, al misticismo pseudo francescano, al dolorismo pascoliano… per fare antilirismo non basta condire i versi di neon, cocacola e phon. La modernità della poesia nasce dalla mescolanza delle lingue poetiche. Il canone dell’antilirismo non ha senso ed è inapplicabile anche fra i poeti dell’antologia stessa. E meno male!

  117. Caro Le luci della città,

    ha ragione per certi versi: ovviamente io volgo la cosa al bene, ma se avesse almeno lei la pazienza di leggere per intero il mio testo, noterà che parlo esplicitamente di forme relativamente asoggettive, o qualche espressione simile, di lirismo. Nelle singole introduzioni, avrà persino forse la bontà di riscontrare come io parli di lirismo sui generis persino quanto a Marco Giovenale. La mia premessa, e le premesse che faccio precedere ai testi, tentano di dare una prima delimitazione proprio di questo fenomeno.

    Cordialità vivissime, e grazie per la critica composta, che mi pare eccezionale in questo contesto,
    Vincenzo Ostuni

  118. @Forlani, ahahahahaheheheheheheh sei veramente un grande! Il massimo dello spiscio! E come lo chiami tu un silenzio di un anno? Ihihihihihahahahehehehahah! Sei davvero immenso, questo ti vale tutta la mia ammirazione! L’invettiva ad personam che mi hai annunciato per mail, un'”invettiva ad personam che spero possa una volta e per tutte dimostrare di che pasta siete fatti voi altri” – con un singolare mostro grammaticale: ad personam / voi altri, ma dimentico, mi stai dando del voi, troppa bontà – fa’ in modo, ti prego, che sia altrettanto divertente! Potrei persino pensare di pubblicarla! Magari finalmente trovi un genere in cui eccellere. A questo punto il thread avrà avuto una doppia impagabile utilità: far svoltare a Mantello il saggio definitivo di storia della critica, e a te la fondazione dell’invettiva ad personam pluralem involontariamente umoristica. Le patrie lettere mi attribuiranno negli eoni l’immeritato ma innegabile ruolo di scintilla per cotante fiamme. Ad majora!

  119. @Le luci della città: vale anche per lei l’invito a palesarsi! Apprezzo il suo commento, meno il suo carattere anonimo. Per minima cortesia, la prego.

  120. Ok Vincenzo, mi rendo che ti ho fatto saltare i non sequitur, nonchè i nervi.
    Tra un mese, come promesso, posterò un saggio su questo blog, dedicato all’io e ai cosiddetti ‘lirici’, dove risponderò, nel merito, al discorso del ‘Se’ e del ‘fuori di sé’. Inoltre (meglio di ‘nondimeno’, forse, meno risibile) cercherò di prendere posizione sul risalente problema delle antologie
    Esporrò, inoltre, il mio punto di vista critico sull’area culturale a cui appartieni, volente o nolente
    Raccolgo inoltre l’invito contenuto nell’intervento di Andrea Inglese, che ringrazio perché mi ha fatto capire quale sia la riposta migliore a un’operazione che non condivido minimamente. Speriamo che ne esca qualcosa di meglio dei muri.

  121. Virginia Woolf dava del “vomitevole” a Joyce…. Ci risentiamo tutti fra alcuni decenni!

  122. il silenzio di un anno (manoscritto mandato, credo, prima dell’estate, prova quello che tu rappresenti per tutto il peggio della editoria italiana, Perché al di là dei rapporti tra le persone, (com’è questo cambio di stile, non ero autore stimabile fino a poco tempo fa?) come accade nella civile Francia, per esempio, si risponde, negativamente o positivamente. Insomma pure cafunciello, bene.
    ad personam sta per il mentecatto che sei tu e il voi per tutti i mentecatti che rappresenti, Più chiaro di così, bah. comunque mi sembra che per oggi tu abbia fatto sufficientemente e pubblicamente abbastanza figure di merda. Viciè, dedicati alla poesia, su, in fretta, dai, che bisogna pur sempre, almeno per un giorno, fiorire.

    effeffe

  123. Grande Francesco, come bozza dell’invettiva non è male! Prosegui così, ahahahahehehehahahahahahah! Grandissimo!!!! Magari dai un’aggiustatina alla grammatica e alle parentesi, qui nella frase di seguito, e ci siamo

    il silenzio di un anno (manoscritto mandato, credo, prima dell’estate, prova quello che tu rappresenti per tutto il peggio della editoria italiana,

    e forse anche qui

    ad personam sta per il mentecatto che sei tu e il voi per tutti i mentecatti che rappresenti,

    ma magari sono io che non colgo la finezza degli anacoluti. Complimenti! Bravo!!! Ma la più bella è questa:

    mi sembra che per oggi tu abbia fatto sufficientemente e pubblicamente abbastanza figure di merda

    Hai proprio il senso del climax, così vitale nell’invettiva ad personam pluralem con umorismo involontario! Grande! Questa te la pubblico subito, senza dubbio! Sei fantastico!!! Io svelo che ti ho rifiutato un manoscritto e la figura di merda l’ho fatta io!!! Ahahahahah! Un colpo di teatro degno di Goldoni, ma che dico! Del Bardo! Sei splendido! Sei splendido!!! Ahahahahahah! Non smetto di ridere! Ahahahahahahahahahah! Mi sentirò male!!!!!

    Ti prego manda presto il resto, non sto nella pelle! E così tutta la comunità!!!

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