E la morte non avrà più dominio

di Dylan Thomas

E la morte non avrà più dominio.
I morti nudi saranno una cosa
Con l’uomo nel vento e la luna d’occidente;
Quando le loro ossa saranno spolpate e le ossa pulite scomparse,
Ai gomiti e ai piedi avranno stelle;
Benché impazziscano saranno sani di mente,
Benché sprofondino in mare risaliranno a galla,
Benché gli amanti si perdano l’amore sarà salvo;
E la morte non avrà più dominio.

E la morte non avrà più dominio.
Sotto i meandri del mare
Giacendo a lungo non moriranno nel vento;
Sui cavalletti contorcendosi mentre i tendini cedono,
Cinghiati ad una ruota, non si spezzeranno;
Si spaccherà la fede in quelle mani
E l’unicorno del peccato li passerà da parte a parte;
Scheggiati da ogni lato non si schianteranno;
E la morte non avrà più dominio.

E la morte non avrà più dominio.
Più non potranno i gabbiani gridare ai loro orecchi,
Le onde rompersi urlanti sulle rive del mare;
Dove un fiore spuntò non potrà un fiore
Mai più sfidare i colpi della pioggia;
Ma benché pazzi e morti stecchiti,
Le teste di quei tali martelleranno dalle margherite;
Irromperanno al sole fino a che il sole precipiterà;
E la morte non avrà più dominio.

And death shall have no dominion.
Dead men naked they shall be one
With the man in the wind and the west moon;
When their bones are picked clean and the clean bones gone,
They shall have stars at elbow and foot;
Though they go mad they shall be sane,
Though they sink through the sea they shall rise again;
Though lovers be lost love shall not;
And death shall have no dominion.

And death shall have no dominion.
Under the windings of the sea
They lying long shall not die windily;
Twisting on racks when sinews give way,
Strapped to a wheel, yet they shall not break;
Faith in their hands shall snap in two,
And the unicorn evils run them through;
Split all ends up they shan’t crack;
And death shall have no dominion.

And death shall have no dominion.
No more may gulls cry at their ears
Or waves break loud on the seashores;
Where blew a flower may a flower no more
Lift its head to the blows of the rain;
Though they be mad and dead as nails,
Heads of the characters hammer through daisies;
Break in the sun till the sun breaks down,
And death shall have no dominion.

traduzione di Ariodante Marianni

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16 Commenti

  1. Video emozionante, da brivido; versi magnifici, ho sempre pensato – io, profano della poesia – che Dylan Thomas evochi le onde che si infrangono sulle scogliere, ha quella forza.

  2. Tranne: “benché impazziscano”, è l’identica, precisa traduzione di Ariodante Mariani (Dylan Thomas, Poesie, Einaudi 1970). Nello stesso volume dei Supercoralli la poesia è tradotta “in poetese” anche da Piero Bigongiari (a pag. 206)

  3. Dunque: a dire il vero non sono certissima che questa traduzione sia di Sanesi. Perché in rete circola ormai la bella abitudine di postare poesie, ma insieme la pessima abitudine di NON segnalare MAI il nome di chi l’ha tradotta. Ho cercato, cercato, nove volte su dieci ho trovato esattamente la stessa versione- ossia questa- ma mai una che fosse riportato anche il nome del traduttore. Il riferimento a Sanesi l’ho poi trovato su un blog dedicato a Sanesi che riportava anche la poesie di Thomas e quindi ho dedotto che quella traduzione fosse la sua.

    Quindi Giorgio, forse questa è una traduzione di Marianni, magari una versione leggermente diversa. Al che farei così: ti chiederei di scrivere i versi che si differenziano. Dopodicché correggo sia quelli che il nome del traduttore. Perché, soprattutto, mi pare una buona traduzione: appunto niente “poetese”. Che ne dici?

  4. La traduzione è di Ariodante Marianni, anche se Sanesi ne ha fatte di molto belle da Thomas. Ho il volume Einaudi di Poesie e Racconti, ristampato nel 1996 – è quella pari, pari. Concordo con Helena e Giorgio di Costanzo sull’assenza di “poetese” nella traduzione, che fa solo bene a questo testo e a Thomas in genere che deborda di immagini. Il video è impressionante per la voce da pulpito, ma soprattutto il volto bolso dell’alcolizzato. Mi viene sempre da pensare quanto la visionarietà di Thomas sia legata agli abusi che ne stravolsero l’esistenza, portandolo a morte prematura.

    La poesia prende il tema cristiano della resurrezione che in San Paolo ha per protagonista il peccato (ovvio!) più che la morte, riattuandolo nel contesto delle forze naturali, in un panismo violento e inarrestabile, ma radicato in un paesaggio concreto, la costa del Galles, aspra e dominata dal mare. Anche l’unicorno simbolo alchemico di rinascita e purezza assomiglia ad un animale marino (forse perché esiste l’unicorno del mare, il narvalo delle acque artiche!). Scusate lo sproloquio, Dylan Thomas è stato un grande amore dell’adolescenza, ora letto sempre meno, e quando lo ritrovo mi fa un certo effetto.

    @ Baldrus, una bella coincidenza vuole che le onde il poeta se le porti pure nel nome, Dylan era una divinità celtica del mare.

    @ giorgio fontana – ora però dicci gli altri 4…

  5. Pure a me faceva impressione quest’uomo distrutto che più che predicare, sembra recitare un incantesimo disperato. Questa scansione “magica” fatta di allitterazioni, assonanze e di parole nella stragrande maggioranza monosillabiche…tracce che nella lingua di Petrarca e persino in quella di Dante si perdono. E’ come se si partisse sin da subito da uno stadio di civiltà più lontano a certi sostrati. Per via della lingua stessa, molto, sicuramente, ma non solo. Spesso Thomas a me oggi suona fin troppo bardo-profeta-predicatore, ma qui (ossia anche nel mero testo) sembra davvero una sorta di “medium” e mi piaceva ricordare che la poesia possa contenere anche quella dimensione..
    @ Francesca- Grazie delle informazioni (mi piace sapere che Dylan è una divinità del mare. Maschile?) e intuivo che avrebbe potuto farti piacere trovare il poeta gallese….

  6. Ecco la traduzione di Ariodante Marianni (pag. 43, in Dylan Thomas, Poesie, Traduzione e note di Ariodante Mariani, con un’appendice di versioni di Eugenio Montale, Piero Bigongiari, Alfredo Giuliani; Einaudi Supercoralli, 1970, pp. 266, lire 3.000):

    E la morte non avrà più dominio

    E la morte non avrà più dominio.
    I morti nudi saranno una cosa
    Con l’uomo nel vento e la luna d’occidente;
    Quando le loro ossa saranno spolpate e le ossa pulite scomparse,
    Ai gomiti e ai piedi avranno stelle;
    Benché ammattiscano saranno sani di mente,
    Benché sprofondino in mare risaliranno a galla,
    Benché gli amanti si perdano l’amore sarà salvo;
    E la morte non avrà più dominio.

    E la morte non avrà più dominio.
    Sotto i meandri del mare
    Giacendo a lungo non moriranno nel vento;
    Sui cavalletti contorcendosi mentre i tendini cedono,
    Cinghiati ad una ruota, non si spezzeranno;
    Si spaccherà la fede in quelle mani
    E l’unicorno del peccato li passerà da parte a parte;
    Scheggiati da ogni lato non si schianteranno;
    E la morte non avrà più dominio.

    E la morte non avrà più dominio.
    Più non potranno i gabbiani gridare ai loro orecchi,
    Le onde rompersi urlanti sulle rive del mare;
    Dove un fiore spuntò non potrà un fiore
    Mai più sfidare i colpi della pioggia;
    Ma benché matti e morti stecchiti,
    Le teste di quei tali martelleranno dalle margherite;
    Irromperanno al sole fino a che il sole precipiterà,
    E la morte non avrà più dominio.

    VERSIONE DI PIERO BIGONGIARI
    (pag. 206)

    E morte non regnerà

    E morte non regnerà.
    I morti nudi saranno una cosa sola
    Con l’uomo nel vento e la luna occidentale;
    Quando l’ossa scarnite fino alle ossa se ne saranno andate,
    Al gomito e al piede avranno stelle;
    Impazziti, saranno ragionevoli,
    Risorgeranno, sprofondati in mare;
    Si perderanno gli amanti, non l’amore;
    E morte non regnerà.

    E morte non regnerà.
    Sotto i meandri del mare
    Giacendo a lungo, non moriranno in tempesta;
    Torcendosi alla tortura quando i tendini cedono,
    Legati a una ruota, non si spezzeranno;
    La fede nelle loro mani si romperà in due,
    E il liocorno del male li trapasserà;
    Spaccati da ogni parte, ma non si fenderanno;
    E morte non regnerà.

    E morte non regnerà.
    Potranno i gabbiani non gridare più nelle loro orecchie
    O le onde non spezzarsi strepitose sulle rive;
    Dove un fiore fiorì mai più un fiore
    Alzerà il capo ai colpi della pioggia;
    Benché pazzi e morti come ceppi,
    Con la testa ostinati si faranno strada tra le margherite;
    Nel sole irromperanno finché non avrà abbassato bandiera,
    E morte non regnerà.

    Dalle note di Ariodante Marianni (pag. 235-236)

    I, V. I. ‘And death shall have no dominion’: Cfr. san Paolo, ‘Epistola ai Romani’, 6-9. Il tema della poesia sembra essere la resurrezione, più che altro ad opera della natura: nulla si crea e nulla si distrugge.

    I, V. 3. ‘With the man in the wind, ecc’.: E’ una delle consuete inversioni di attributi. L’ordine naturale della frase sarebbe: ‘l’uomo nella luna’ (cioè la figura che appare sulla faccia lunare) ‘e il vento d’occidente’. Qui, come altrove, questo scambio di epiteti ha una funzione altamente espressiva, accrescendo l’idea di confusione in cui tutte le cose saranno alla fine dei tempi.

    2, V. 3. ‘windily’: Può anche significare “invano”.

    3, V. 3. ‘dead as nails: Dead as a door nail’ (letteralmente “morto come un chiodo”: ‘doornails’ sono quei lunghi chiodi che si mettono per ornamento sui portoni) è frase idiomatica per “morto stecchito, morto completamente”. La parola ‘nail’ (chiodo) acquista tuttavia rilievo per sé dallo ‘hammer’ (martellare) del verso seguente.

  7. Olga Celuch (Polonia)

    [1] Il nostro palazzo
    Nel palazzo del nostro mondo
    si sono tarlati gli ideali
    Gli scolitidi hanno mangiato la coscienza
    Le cornici della buona condotta
    Si sono rivestite di ragnatela
    nell’armadio si sono impolverati
    i nostri scheletri morali…
    Ovunque sporco…
    Scricchiola… cigola…
    A momenti rischia di spaccarsi la trave
    che regge il solaio della tolleranza.

    [2] Liberare l’anima

    Un beato sorriso
    fermare-catturare-imprigionare il tempo
    un attimo di oblio
    una nota della giusta musica
    un aromatico soffio di terra scaldata dal sole
    il riposo in cima alla montagna conquistata
    la raccolta delle mandorle all’alba
    uno sguardo alla riva dalla boa raggiunta
    il tramonto dal finestrino del treno in corsa…
    Più del presente
    commuovono i ricordi.
    Liberano l’anima.

    [3] Sognando un fiore

    Mi addormento
    accogliendo sulle mie
    le tue labbra
    che non mi hanno baciata mai!
    Chiudo gli occhi
    disegnando ogni tuo sguardo
    che si posa su di me leggero.
    Sogno un fiore che mi sboccia dentro
    E sarai tu a coglierlo…

    [4] L’ ECO

    La parola
    suonata sulle corde
    di una donna in grido
    Liberata dalla gola, che
    tiene un’estremita`
    della sciarpa di seta
    L’altra balla col vento…
    che la porta…
    Porta la sciarpa…
    Sciarpa…
    Sciarpa…
    e porta la parola…
    Parola…
    Parola…
    Parola…

    [5] Non imparerò mai

    Mi affaccio alla finestra
    dell’incomprensione
    Piove l’inconseguenza
    Raggi d’ingenuità
    mi bruciano il viso
    Continuo a credere
    in quell’arcobaleno
    che comunque ogni volta
    scompare, prima che riesca
    a contarne tutti i colori.

    [6] Solo

    Solo
    Niente ombre, ne` fantasmi
    Il cielo senza stelle
    Quando tramonta il sole.

    Padrone del tempo e dello spazio
    L’autosufficenza e` la virtu` piu` grande
    – forse hai ragione…

    passeggi solo nel tuo giardino
    dove tante sono state invitate
    Tutte costrette a seguire vialetti
    Nessuna lasciata correre nel prato
    a piedi nudi…

    L’anima tua in cima alla collina
    La chiave non la darai mai a nessuna
    – Questo lo sai da sempre…

    Le donne sono come il vento
    A volte troppo pericoloso
    Che balla coi tuoi sentimenti fragili
    Strappati agli alberi impreparati…

    Continui a raccogliere foglie secche
    Ripensando a quell’uragano
    Che ti avrebbe potuto far volare…

    Adesso tremi, non appena soffia…
    Gridi – se senti l’erba cantare…
    Scappi – se vedi la sabbia serpeggiare…

    [7] Il vecchio

    L’uomo e` come
    Una cantina di attimi
    Piu` vecchi sono – meglio e`!
    Mi piace…
    Goccia per goccia
    Assaporarne
    Ogni parola…
    Gustarne
    Ogni sorso
    di ricordo…

    [8] La delusione

    Tempesta di primavera
    Temporale, uragano
    Scuote e riscuote
    Butta e ributta
    Si scatena furioso nella mente

    Dolcemente sorvolo
    E ricado ferocemente.
    Mi avvolge il vuoto.
    Mi acceca il buio.
    Mi stordisce il silenzio.
    Spinge, tira, colpisce!
    E perdo l’equilibrio…
    Non son ferite aperte.
    Solo lividi di pesieri
    Scure macule dolorose

    [9] Un nodo

    Sulla linea del tempo,
    Sull’ormeggio della vita
    – Un nodo!
    Perche`?
    Non importa
    Perche`!
    L’importante e` che
    ce ne` sia abbastanza per formarlo!
    Ci pensera` il sole a scioglierlo…

    [10] Torna…

    Scusa se Ti scrivo,
    Ma adesso cosa mi rimane?
    Un pugno di ricordi…
    Una foto col tuo nome…
    Mi torni in mente
    Con ogni sfumatura italiana…
    Con la canzone, che sento dentro
    Con l’azzurro… anche del cielo
    Con l’espresso la mattina
    Con la pasta pomodoro e basilico a pranzo
    Col digestivo dopo cena
    Con ogni respiro,
    In mente mi torni …
    E da me?
    Quando torni…
    Se mai torni…
    ???

  8. Non è, non può essere (purtroppo o per fortuna?) soltanto la forza delle parole questo graffio interiore che si sente ad ogni “vivavoce”, sia Eliot, Plath, Luca o adesso Dylan Thomas. C’è forse una “sovrastruttura” cognitiva che ci fa tremare, o tremare di più, sapendo che quei tratti devastati sono suoi, dell’autore, e che quella voce ha la stessa cadenza dei suoi incubi, e che il nulla da cui proviene oggi a noi era lo stesso entro cui si dibatteva allora…

  9. La voce dei poeti è sempre emozionante, ma personalmente trovo che unire in questo pessimo virtual movie il file sonoro vero alla riesumazione/ rianimazione digitale di questa fotografia del povero Dylan Thomas sia solo un’operazione macabra, ridicola, irrispettosa e di un assoluto inutile cattivo gusto, con quel labbro pendulo finto che si muove come in un cartoon e gli occhi che sbattono le ciglia ogni 19 secondi circa.
    Una bufala insieme alle altre di poeti di varie epoche ugualmente massacrati qui reperibili

    http://dailymotion.alice.it/Poetrylad

    I tratti sono sì devastati ma da un banale software.

    ,\\’

  10. Non l’avevo capito neanch’io, e mai l’avrei capito senza l’illuminante precisazione di Orsola. Deve essere proprio qualche “sovrastruttura cognitiva” la mia…

  11. io rivendico (!!!!) la sovrastruttura cognitiva.
    nessuno dovrebbe mai uscire senza la sovrastruttura cognitica e una goccia di chanel. ci mancherebbe altro :-)

    ogni volta che sento su NI questi poeti leggere mi rammarico tantissimo che Tennyson non possa leggere il suo Ulysses. auff. e questo.
    chi

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Helena Janeczek è nata na Monaco di Baviera in una famiglia ebreo-polacca, vive in Italia da trentacinque anni. Dopo aver esordito con un libro di poesie edito da Suhrkamp, ha scelto l’italiano come lingua letteraria per opere di narrativa che spesso indagano il rapporto con la memoria storica del secolo passato. È autrice di Lezioni di tenebra (Mondadori, 1997, Guanda, 2011), Cibo (Mondadori, 2002), Le rondini di Montecassino (Guanda, 2010), che hanno vinto numerosi premi come il Premio Bagutta Opera Prima e il Premio Napoli. Co-organizza il festival letterario “SI-Scrittrici Insieme” a Somma Lombardo (VA). Il suo ultimo romanzo, La ragazza con la Leica (2017, Guanda) è stato finalista al Premio Campiello e ha vinto il Premio Bagutta e il Premio Strega 2018. Sin dalla nascita del blog, fa parte di Nazione Indiana.
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