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TRITTICO DEBORD di Viola Amarelli


 

intestazione

lontano

dove
poi

 

 

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16 Commenti

  1. Bella selezione.
    Vivere senza domande.

    La poesia è senza domande,
    slabbrata sul tetto del mondo,
    a questuare uno sguardo
    inedito.

    Pasquale Vitagliano

  2. Amo questo invito di vita

    Vivere senza domanda
    Il cielo slabbra un tetto
    Nudo aperto

    C’è un sentimento di natura aperta, fragile come un neonato

    Bello e grazioso.

  3. brava Viola…potrei definire questa una poesia in bianco e nero, nel senso fotografico della cosa, senza lo sviamento del colore, neanche quello descritto, con questi caratteri che mi ricordano la mia vecchia Lettera 22 che amavo tanto, in effetti istantanee, e credo che lo spirito fosse quello…
    un caro saluto

  4. grazie di cuore ad Orsola per le sue preziose cure (incluso l’effetto “Olivetti”) a questo post, ora “polittico” e un carissimo saluto a tutti/e, Viola

  5. “et non ajouter d’autres ruines au vieux monde du spectacle et des souvenirs”, queste sono le parole conclusive della riflessione di Debord, contenuta nella seconda parte – vedi il link sopra indicato – del filmato. Riflessione che trovo, come già altre volte in questo blog, estremamente sferzante e appropriata. Riflessione che renderebbe, se presa alla lettera, superfluo anche tutto questo parlare, e anche questi versi che non trovo poi così consonanti con il cuore delle pagine di Debord. In realtà la discussione vera dovrebbe vertere sull’idea debordiana di “vieux monde” che è in continua drammatica continuità col mondo che ci passa sotto il naso (“coule” dice Debord) ogni momento.

  6. Guy Debord.
    Alla luce di come sono andate a finire le cose, anche… mi risulta difficile dare torto alle avanguardie storiche, tutte. Alla loro critica dell’economia politica, della politica e della vita quotidiana. E dei militanti di professione… Autentica profezia.

  7. Concordo pienamente, e senza ombra di ironia, con Sparzani: questi versi non affrontano le “pagine” di Debord, ne affrontano la vita, e i giorni, per come l’autrice li ha filtrati, nella sua – di lei – situazione, un saluto, Viola

  8. belle, anche se a mio parere c’è ancora troppo montale in superficie – ilari, gorgoglia, bordi, limitare. A una prima lettura tutti questi richiami danno un po’ fastidio, sembra quasi che tu voglia fargli il verso, anche se così non è, immagino.

  9. “ferocemente ilari nel vino / che cola nel lavello”
    : quando una cosa è felice, é bella, perché – da dove? – richiamare un “giusto” per poter dire: “uhm!..”

    io penso – non lo conosco per niente: militante di professione per anni – che anche Debord ne sarebbe stato contento

    al massimo uno potrebbe chiedersi se c’entra montale [e blazen] in
    “nella foto la ragazza / la linea delle gambe ancora intatta”
    che comunque non era “di spalle”

    grazie, viola

  10. “personalmente prediligo il non”
    capisco una reazione del genere, dopo il commento di Psicamoro
    ma mi sono sentito coinvolto
    anche se il mio era un “controargomento ironico” destinato, però, almeno nelle intenzioni, ad esaltare il valore autonomo del trittico

    le parole e le cose debordano da dove le abbiamo messe, anche se noi non lo vogliamo:

    *

    Montale non conosceva, né conobbe mai, Dora Markus: aveva solo visto una fotografia delle sue gambe, inviatagli dall’amíco Bobi Bazlen col seguente biglietto datato 25 settembre 1928: «Gerti e Carlo: bene. A Trieste, loro ospite, un’amica di Gerti, con delle gambe meravigliose. Falle una poesia. Si chiama Dora Markus».

    http://www.comunitaitaliana.com.br/mosaico/mosaico11/markus.htm

  11. grazie della notizia, sì le parole le introietti, imprinting e poi riemergono , vanno pei fatti loro, come i figli, un caro saluto Viola

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,\\' Nasce [ in un giorno di rose e bandiere ] Scrive. [ con molta calma ] Nulla ha maggior fascino dei documenti antichi sepolti per centinaia d’anni negli archivi. Nella corrispondenza epistolare, negli scritti vergati tanto tempo addietro, forse, sono le sole voci che da evi lontani possono tornare a farsi vive, a parlare, più di ogni altra cosa, più di ogni racconto. Perché ciò ch’era in loro, la sostanza segreta e cristallina dell’umano è anche e ancora profondamente sepolta in noi nell’oggi. E nulla più della verità agogna alla finzione dell’immaginazione, all’intuizione, che ne estragga frammenti di visioni. Il pensiero cammina a ritroso lungo le parole scritte nel momento in cui i fatti avvenivano, accendendosi di supposizioni, di scene probabilmente accadute. Le immagini traboccano di suggestioni sempre diverse, di particolari inquieti che accendono percorsi non lineari, come se nel passato ci fossero scordati sprazzi di futuro anteriore ancora da decodificare, ansiosi di essere narrati. Cosa avrà provato… che cosa avrà detto… avrà sofferto… pensato. Si affollano fatti ancora in cerca di un palcoscenico, di dialoghi, luoghi e personaggi che tornano in rilievo dalla carta muta, miracolosamente, per piccoli indizi e molliche di Pollicino nel bosco.
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