Azzurro a nessuno

cloud

di Federica Di Blasio

Cassiopea – Mia cara, niente squarci e niente sentimentalismi oggi.

Lira – Forse dovrei solo allontanare la mia mano dal viso e l’occhio dall’unghia di melograno. Distinguo l’elemento triste e tragico nel momento in cui spalle si stagliano all’orizzonte.

Cassiopea – Non vorrei essere amica – di nessuno – ma solo progettare giocattoli sociali. Non vorrei nemmeno una cassetta delle lettere ma lettere nuove e mie.

Lira – Del sangue non amo quel sapore ferroso.

Cassiopea – Nella mia lista di odi incresciosi, ne pescherò uno e griderò altisonante – finché un timpano non sarà perforato e l’allarme non alzerà un sopracciglio.

Lira – Le nuvole nel cielo come se io non esistessi. Perché ti affascina tanto il suicidio, Isidoro? Esso è scelta o coraggio di giovine? In quegli anni lessi Il lupo della steppa: il suicidio era la porta affianco, da aprire ad ogni età. Cosa avevo io, in quegli anni, se gli occhi non perdevano luce e le rughe intorno non erano che riso; cosa avevo se, torta intera, un coltello mi riduceva in mille fette deliziose e fragili

Cassiopea – No, io non voglio aver paura e voglio abbandonare l’adolescenza. Specialmente non voglio aver paura di loro che potrei elencare in crocette e ossigenare nel vuoto.

Lira – Forse anche nelle mie mani si stabilisce una scelta, forse non sempre mi dono a dare. Dev’esserci anche in quelle dita un disdegno di indice o un pollice abbassato, un polso rivoltoso o una fronte troppo alta.

Cassiopea – Vorrei ammalarmi di presunzione e mai scendere dal battello.

Lira -Vorrei un giorno ritrovare quelle anime affini, quei capelli di ragazze profumati di stima. Vorrei una vita da morte a nascita e solo incontri inaugurare.

Cassiopea – C’è vino su quel libro, ma non è più rosso e il grigio pare piuttosto muffa o drammaticità. Non vedo l’ora che questo giorno finisca in bocca agli squali.

Lira – Spero che l’oblio sia blu.

 

 

*

 

 

Moby Dick 

 

“Sono arenato su uno scoglio:
sabbia bassa, sale italiano.
Non ho voglia di sbattere la coda
ma la schiuma intorno si scaglia
e si arriccia – ciglio di un occhio
che non guarda.

Da lassù arrivano grida;
indici puntati e occhi fissi m’inchiodano.
Così la gente di mare sa riconoscere
un cavallone da un relitto spennato
una carcassa dal buon auspicio.

Il mio bianco folgorante
– bianco sporco, arpione cicatrizzato –
non riflette ombra di nuvola,
non dice azzurro a nessuno.

Verranno a prendermi con le reti
e sarò insalata e pietanza fumante.

Oppure un guizzo di pesce, un abbiocco
li distrarrà per un momento:

Mi ritrarrò di soppiatto
nell’incosistenza mitica
della foschia e del racconto”.

 

 

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3 Commenti

  1. Moby Dick mi piace: riva ultima prima di morire.
    La poesia viene di un luogo a parte: forse dello spazio blu dietro l’oblio.
    Allora si vedono le isole della realtà in metamorfosi.

  2. […] cassiopea – non vorrei essere amica – di nessuno – ma solo progettare giocattoli sociali. non vorrei nemmeno una cassetta delle lettere ma lettere nuove e mie. (federica di blasio) […]

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Renata Morresi scrive poesia e saggistica, e traduce. In poesia ha pubblicato le raccolte Terzo paesaggio (Aragno, 2019), Bagnanti (Perrone 2013), La signora W. (Camera verde 2013), Cuore comune (peQuod 2010); altri testi sono apparsi su antologie e riviste, anche in traduzione inglese, francese e spagnola. Nel 2014 ha vinto il premio Marazza per la prima traduzione italiana di Rachel Blau DuPlessis (Dieci bozze, Vydia 2012) e nel 2015 il premio del Ministero dei Beni Culturali per la traduzione di poeti americani moderni e post-moderni. Cura la collana di poesia “Lacustrine” per Arcipelago Itaca Edizioni. E' ricercatrice di letteratura anglo-americana all'università di Padova.
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