Tito Maniacco (poeti friulani # 4.2)
I
Coloro che hanno certi pensieri in un certo composto modo siedono
come se le ossa fossero intenzioni o segrete speranze
così osservi colui che seduto qui con la penna scrive a questo tavolo
e a lui ti rivolgi con amicizia e gli porgi attento lo sguardo
E allora lasciando cadere la penna sul foglio bianco quadrato
Ti sussurra piano perché il vento che agita gli oscuri fiori è caduto:
così come dicono gli antichi sapienti del Catai
COLUI CHE ASPETTA UN CAVALIERE DEVE FARE ATTENZIONE
A NON SCAMBIARE I BATTITI DEL SUO CUORE
CON IL RUMORE DEGLI ZOCCOLI CHE BATTONO
IL SENTIERO APPENA AL SUO GOMITO INCERTO
DOVE LA MAGNOLIA COSPARGE LA POLVERE
DEL SUO PROFUMO COLOR DELLA NOTTE
E tu tu che aspetti il cavaliere che farai della tua attesa?
II
Della mia attesa mi farò una torre nella brughiera
Farò venire gli operai celti dalle scure erbose chiome
dai paesi di fondo valle dove s’indovinano i voli dei falchi
su per i paesi che scorrono in alto fra i gigli rossi di montagna
con i carri e con gli arnesi del lavoro d’arte che li attende
e qualche botte di vino rastrellato fra le viti di collina
accanto agli altipiani che guardano gli altipiani solcati dal vento
e una botte piccola d’acquavite fatta nei boschi
stillanti ruscelli ed erbe e more e fragole avvampanti
con i piccoli mucchi di acide e dure pere
e sceglieremo il posto con la stessa cura con cui l’avrebbe scelto
l’accigliato cantore mio fratello Taliesin
o un bianco vestito e rigorosamente rigoroso druida
con le leggi delle maree di costellazioni e d’aria
e con le oscure vene di ossidiana che percorrono
il corpo della madre terra anche in questo altopiano
dove gli abeti crescono e stormiscono come i fiumi
o bardi notturni gli aceri bianchi e gli aceri rossi
e le a me infinitamente care care argentee betulle
III
Dunque farò fare una torre nella brughiera là dove sale come un’onda
contro l’azzurro venata d’onice alta crestata montagna
e lavoreremo cantando per tutti i giorni dell’estate
dagli occhi verdi
squadrando pietre e incastrandole le une alle altre
con malta e calcina e grigio polveroso autunnale cemento
su armature fatte di flessibile abete dal forte odore di pece
io e i miei compagni operai celti dall’erba scura in cima al capo
e la sera sdraiati sull’erba che stordisce la notte
intorno al fuoco canteremo qualche buona comprensibile a tutti poesia
bevendo vino o acquavite finché la torre sarà cresciuta
almeno trenta piedi fino al tetto di tegole ruvide e brune per la vecchiaia
che andammo togliendo dalle antiche case morte della brughiera
in tutti questi mesi un sacco qui un sacco là
con un camino di sassi e mattoni la cui gola salisse
fino al piano superiore di grosse tavole di abete profumato
e oltre il tetto per riscaldare i muri larghi un braccio
e in settembre avremo sentito il lamento della piccola stella del Nord
unirsi a quello delle anatre selvatiche in viaggio lento
come frecce uscite dall’arco nervoso cacciatore
e ci saluteremo sul sentiero già intriso di brina.
Ci saluteremo sul sentiero già intriso di brina
io che feci costruire la torre in attesa del cavaliere
e i miei compagni gli operai celti dalla chioma scura come l’erba notturna
bevendo nei grandi bicchieri di latta smaltata di rosso
come il giglio selvatico
l’acquavite dell’addio fra compagni e consanguinei
e saliranno sui carri e li sentirò cantare a lungo
giù nei tornanti che portano a valle
dalle finestre aperte sulle stelle della torre che mi feci costruire
in attesa del cavaliere temendo di confondere sempre
i battiti del mio cuore con il rumore degli zoccoli
che battono sul sentiero oltre il gomito incerto
dove la magnolia cosparge la secca polvere
del suo profumo color dell’umida notte
IV
Ora che gli uomini del Nord non scelgono i mari per scendere a Sud
come rondini o falchi pellegrini usi agli spruzzi dei fiordi
ora che i miei compagni celti giacciono nelle tombe scavate nella roccia
e sono polvere sottile giallastra e i loro denti rimbalzano
sui vetri appannati dei sonnolenti inerti musei
ora che le mucche non brucano più l’erba dell’alta brughiera
che farò io nella mia torre alta almeno trenta piedi
seduto accanto al fuoco del camino mentre nella gola urla il vento dell’inverno
e la neve s’accumula oscura sui vetri e oscura le stelle
e copre il sentiero fino ad altezza d’uomo
che farò quando udrò battere il mio cuore
e lo confonderò con il rumore degli zoccoli che battono la neve?
da
La farfalla notturna, 1976
Un paesaggio lontano friulano
Vidi una volta albine volare le oche selvatiche
contro un cielo turchino profondo
Era sera e calava il brivido bruciato dei colli
verso l’oscuro fiume che l’attendeva all’ansa
Allora seduto con la pipa accesa e il berretto di pelo sul capo
come un indiano guardingo sonnolento contro la quercia
dissi – AH – così restai con il paesaggio
quando le oche selvatiche – AH – dileguarono
Venne la sera e si videro le prime stelle accendersi gelide
Allora dissi – AH – mi alzai e scesi fumando le mani in tasca
da
La farfalla notturna, 1976
Terzo movimento
Portarono i sogni e li misero sul tavolo
come materiale sequestrato
ed un tale seduto ormai inclinato sulle ginocchia
dietro al tavolo alzò gli occhiali sugli occhi stanchi
Quale parte di me – se tale parte esiste se –
quale di me parte
venne posta su quel tavolo ed esaminata inventariata
scritte de-scritta
per l’eternità degli archivi – almeno tre copie? –
ciò che sogno nelle tenebre nell’azzurro che avvolge le cose
mortali radiazioni dei pensieri
ancora non lo possiedo e dunque sono solo un tetro ospite
nella scura terra
questi averi sul tavolo sono la mia azione e così
è l’eredità o la memoria o l’inventario
a seconda dello specchio in cui guardo
L’inchiostro delle spie venne usato per certo
al balenar del sole
è allora che la ragazza si sveglia e cancella i sogni
e mi cancella
– se c’eri se ti cancella se c’eri se –
e apre la finestra prima di contemplarsi
dentro una bianca tazza d’oscuro fumo
e riconosce il breve tratto del giardino
la guazza che scintilla in cima ai merli
e il cedro e l’oscuro disegno che traccia l’erba
e guarda oltre il muro oltre il prato ciechi
e ritorna all’erba che in aprile apprende
ad essere verde
allora io porto dietro alla maschera una maschera
perché la maschera
sarebbe scandalo alla sua natura
non essere ciò che pretende di essere
è ciò che nascondi che ti rivela
da
Le bianche scogliere di Rügen, 1983
Trascorrono le nubi nei cieli puliti
Trascorrono le nubi nei cieli puliti
la Grande Pasqua ha gonfiato le vele
e poche campane d’antico suono battono
fra i boschi neri della S.S. Trinità a Zagorsh
La Rus’ ha dimenticato Dio
ma saprà Egli dimenticare la celeste Rus’?
Come un infinito Venerdì Santo
oscure sono le chiese e scardinati i battenti
mentre acuto si spande il pentagramma dei lillà
e amento violette anemoni fior di spumamelo
e turbinio di piume rosate del sangue del Salvatore
sfarfallano sulle strade accanto all’ultima neve
dove bambini coperti d’ambita stagnola
-stagnodelizia stagnocorazza-
e industriose spade di legno
al lago di ghiaccio di Eisisenstein giocano
strillando dai al tedesco fratelli!
Mentre s’annodano le spirali dei telegrammi
Berlino Mosca Mosca Berlino
Addosso compagni!
E nell’alto profumo che incipria le case
Cetrioli conservati e panna acida
E kulič e tremolante alba e oscura notte caviale
E bliny roventi e aringhe e uova
Prendi e mangia e pensa a me
Altoleggera vola la primavera
oltre la griginzaccherata carta dei complotti
e il giorno scrocchia e svapora
nel perlaceo acquore della radura a Jàsnaja Poljàna
dove riposa la nostra corrucciata e screpolata coscienza
che lascia morire gli invitti capitani
nell’indifferente pallore della paura
Dove sono o h dove sono Rus’
Le milleseicento campane dell’antica capitale?
Vanno i fiumi dall’eterno nome materno ai mari
E i ghiacci crepitano
Christòs voskrèse!
Voìstinu voskrèse
Ma la družina del vecchio capitano
Nelle prigioni confessa l’incubo inconfessabile
Cos’è allora questa primavera
che aspidi risveglia dal leggero sonno
nel pauroso cavocuore dell’uomo?
Tornerò un giorno sull’ondulata strada di Tula
al ponte della lenta Okà
e farò fermare e al fuoco del bivacco
col cucchiaio di legno adagio
la zuppa di pesce mangerò
a sera noncurante degli orari
se il mio tempo sarà arrivato
Betulle betulle betulle
argento argento argento
oh Rus’ celeste Russia mammina
da
Da una lontananza irrevocabile, 1991
Ogni mattina
Ogni mattina
cammino nella guazza
scintillante
ogni mattina spicco una mela
da un ruvido melo
ogni mattina la mela
è più dolce
da
Oltris, 2009
A ponente
A ponente di dove si pone il tempo
un croceo colore
intona la musica di domani
che senso ha
essere lieti di un presagio?
da
Oltris, 2009
le immagini che accompagnano i testi sono collages di Maniacco, e le relative didascalie sono, nell’ordine di apparizione, queste:
1) Marlon Brando assiste alla lotta di Giacobbe con l’angelo ( genesi XXXIII 4)
collage fotocopia pais acrilico ecoline luglio 2007
2) En attendant Godot
collage fotocopia pais maggio 2006
3) Mosè consegna le tavole della legge al dottor Karl Mark mentre esce dal pub Red Lion
collage fotocopia china pais tempera maggio 2006
4) Vienna Berggasse 19 marzo 1938 Mentre si dibatte tra eros e thanatos il dott. Freud apprende dai giornali che l’ Anschluss è una realtà e che Thanatos si è insediato in Europa e che il suo fantasma percorre il mondo
collage pais tempera china giugno 2006
5) Malinconia della rivoluzione perduta. Jhon Wajne assiste ad un comizio d i Lenin ai lavoratori della torre di Babele
collage china fotocopia ecoline acrilico maggio 2007
Questa è la seconda parte della quarta tappa di un itinerario ideato da Danilo De Marco riguardante alcuni poeti friulani attuali non conosciuti dal grande pubblico, e cominciato con Federico Tavan e continuato con Ida Vallerugo (prima parte e seconda parte) e Novella Cantarutti. Con il suo consueto modo di operare/fotografare, e di concepire la fotografia, De Marco ha ritratto questi autori, non tutti facili da avvicinare, solo dopo averne una conoscenza intima, e con una grande empatia, seppure non priva forse di qualche venatura ironica. GS