Strade perdute
di Elisabetta Costanzo
musiche di Martina Betti aka Shedir
1. Paesaggio
Eravamo in macchina; avanzavamo veloci mentre i ciottoli sull’asfalto crepitavano al nostro passaggio. Mi sembrava di volare; istantanee della campagna si susseguivano dietro il finestrino, albero dopo albero, chilometro dopo chilometro. Il sole si nascondeva tra le chiome per poi riapparire in una striscia di luce calda. Era un bel momento; non si capisce mai fino a che punto la bellezza ci accarezzi finché non si consuma.
Distese verdi si espandevano oltre la carreggiata; a volte si intravedeva un gregge di pecore oppure un gruppo di mucche, poi di nuovo il nulla. I casolari abbandonati erano il mio frammento preferito di quel paesaggio in movimento: un grosso buco al posto del tetto e delle finestre, e poi la polvere, i sassi traballanti.
Mio padre guidava silenzioso accanto a me. Ogni tanto emetteva dei lunghi sospiri, dopo aggrottava le sopracciglia in modo improvviso, come se in mezzo alla strada fosse apparso qualcosa di visibile soltanto a lui. La sua mente era sempre stata un mistero per me, un enigma che non ero nemmeno sicura di voler risolvere.
Poi ricevette una telefonata. Sentii il suo respiro farsi sempre più pesante, sembrava che dalla sua bocca uscissero mattoni al posto di manciate d’aria.
Quei versi si trasformarono in grida e insulti contro la voce in linea.
Alla fine interruppe la chiamata, ma il suo pensiero rimase agganciato al filo del telefono. Immaginai che si trattasse di una questione di lavoro; all’inizio pensai di fargli qualche domanda, poi scelsi il silenzio. Lui continuò a premere il piede sull’acceleratore con le mani strette sullo sterzo.
Passò circa un’ora prima di renderci conto che ci eravamo persi, nessuno dei due aveva idea di dove fossimo. A mio padre furono sufficienti pochi secondi per perdere del tutto il controllo. Il filo era stato spezzato e il suo cervello vagava in un campo di fuoco.
2. Lacrime come sassi
Iniziò a sbattere la testa sul volante per una, due, tre volte. Avanzava sempre più velocemente, generando dei forti scatti. Il motore gemeva mentre le ruote grattavano sul cemento. Dopo cominciò a sbandare, spingendo il volante a destra e a sinistra.
La macchina ondeggiava simile a una nave immersa nella tempesta.
Le mie dita afferrarono il sedile, presto sentii i muscoli contratti e i polpastrelli consumati. Guidò in quel modo per diverso tempo; il tono spaventato e supplichevole con cui gli chiesi di fermarsi fu l’unica cosa in grado di placarlo.
Mi disse di chiudere la bocca e, lentamente, rallentò finché non riprendemmo un ritmo normale.
Fuori il tempo era cambiato. Nonostante il sole splendesse ancora alto, la pioggia scese giù a fiumi sino a trasformarsi in grandine. Lacrime dure come sassi colpirono i vetri della macchina. Non avevo mai assistito a niente del genere, con la luce solare che illuminava quelle scariche d’acqua condensata.
In lontananza sentivamo gli animali emettere degli acuti latrati, poi alcune pecore si avvicinarono alla carreggiata tremando senza sosta. Sembrava che qualcuno stesse dando loro la caccia tanto i loro corpi si agitavano, eppure non c’era nessuno oltre mio padre e me.
3. Il cielo non è mai lo stesso
Eravamo circondati da una strana foschia simile a piccole nuvole bianche che si estendevano basse per quasi tutta l’ampiezza della carreggiata, tuttavia questo non fermò mio padre che continuò ad avanzare come un soldato su un campo di battaglia.
Il gregge si mosse impaurito, sparpagliandosi e invadendo la nostra corsia; ciascun animale cercava di proteggersi dietro agli altri e tutto avvenne in un attimo: dentro un nero frame che racchiudeva il fischio dei freni e il tonfo sordo di un corpo contro il parabrezza. Io urlai, mio padre rimase immobile: una statua di ghiaccio con gli occhi spalancati. Solo a quel punto spense il motore e scese dalla macchina.
Fuori il tempo era cambiato di nuovo: la nebbia si era diradata e aveva smesso di piovere. Soffiava un vento fortissimo. Non c’era nulla da fare, l’agnellino era morto e il suo cadavere giaceva in mezzo alla strada. Lo implorai di seppellirlo da qualche parte, ma lui si limitò a spostarlo oltre la carreggiata. Le altre pecore si riunirono il più rapidamente possibile oltre la strada.
4. Papà
Le ruote scorrevano sull’asfalto bagnato e in poco tempo riacquistammo velocità. Mio padre guidava con lo sguardo fermo in avanti, quasi per lasciarsi alle spalle ciò che era appena accaduto.
Mi voltai verso di lui e fu come se la macchina ci avesse portati indietro di molti anni. Vedevo mio padre con i capelli scuri e folti, gli occhiali dalla montatura spessa, l’andatura agile. Ricordai i suoi scatti d’ira, le sue lotte, ma anche i sorrisi, le ore trascorse a giocare sdraiata sulla sua pancia. Poi, allo stesso modo, apparve il futuro: vidi mio padre ingobbito, con la testa rada, le orecchie grandi e rugose.
Il presente, invece, era circondato dalla nebbia. Viaggiammo in silenzio per un tempo che mi sembrò un’eternità, immersi in una luce grigio piombo che avvolse la macchina e le cose attorno come una coperta. Abbassai il finestrino e mi lasciai sferzare il volto dal freddo; il paesaggio continuava a scorrere portandomi con sé.
5. Stazione di servizio
Per la prima volta da quando eravamo partiti ci imbattemmo in una stazione di servizio. Accostammo per fare benzina e sgranchirci le gambe. Il sole affiorò come un vaporoso disco giallo che si ingigantiva, quasi sciolto nel cielo e senza più contorno; un lieve tepore si diffuse nell’aria.
Notai una macchia di sangue sul parabrezza. Ciò che era rimasto della morte dell’agnellino era impresso nella vernice: piccole gocce rosse che insieme avevano la forma di una nuvola. Sentii un brivido invadermi dall’interno, spasmi che si estendevano dalla costole come rami, poi un nodo alla gola. Mio padre era concentrato a fare benzina. Gli dissi della macchia e parve molto irritato; dopo mi allontanai verso il bagno.
Accadde in un attimo: osservai mio padre di spalle, di fronte il serbatoio aperto. Provai delle sensazioni indecifrabili tanto erano diverse fra loro.
Mi incamminai verso la distesa verde che si espandeva in lontananza insieme agli animali selvatici, ai casolari abbandonati. Mio padre divenne una macchia piccolissima; poi scomparve.
6. Strade perdute
Musica e parole in stretta sincronia, bellissimo.
Finalmente qualcosa di innovativo, moderno, stimolante!
non riesco a sentire la musica.