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Sale
di Giulia Scuro

Rino Gaetano, I tuoi occhi sono pieni di sale -> play

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Mimmo Paladino, “Montagna di sale”, Napoli, 1995

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Da Italo Calvino, Fiabe italiane, Milano, Mondadori, 2017

54. Bene come il sale (Bologna)
C’era una volta un Re che aveva tre figlie: una bruna, una castana e una bionda: la prima era bruttina, la seconda così e così e la più piccina era la più buona e bella. E le due maggiori erano invidiose di lei. Quel Re aveva tre troni: uno bianco, uno rosso e uno nero. Quando era contento andava sul bianco, quando era così così sul rosso, quand’era in collera sul nero.
Un giorno andò a sedersi sul trono nero, perché era arrabbiato con le due figlie più grandi. Esse presero a girargli intorno e a fargli moine. Gli disse la più grande: – Signor padre, ha riposato bene? È arrabbiato con me che la vedo sul trono nero?
– Sì, con te.
– Ma perché, signor padre?
– Perché non mi volete mica bene.
– Io? Io, signor padre, sì che le voglio bene.
– Bene come?
– Come il pane.
Il Re sbuffò un po’, ma non disse più nulla perché era tutto compiaciuto di quella risposta.
Venne la seconda. – Signor padre, ha riposato bene? Perché è sul trono nero? Non è mica in collera
con me?
– Sì, con te.
– Ma perché con me, signor padre? – Perché non mi volete mica bene. – Ma se io le voglio così bene…
– Bene come?
– Come il vino.
Il Re borbottò qualcosa tra i denti, ma si vedeva che era soddisfatto.
Venne la più piccola, tutta ridente. – O signor padre, ha riposato bene? Sul trono nero? Perché? L’ha con me, forse?
– Sì, con te, perché neanche tu mi vuoi bene. – Ma io sì che le voglio bene.
– Bene come?
– Come il sale.
A sentire quella risposta, il Re andò su tutte le furie. – Come il sale! Come il sale! Ah sciagurata! Via dai miei occhi che non ti voglio più vedere! – e diede ordine che la accompagnassero in un bosco e l’ammazzassero.
Sua madre la Regina, che le voleva davvero bene, quando seppe di quest’ordine del Re, si scervellò per trovare il modo di salvarla. Nella Reggia c’era un candeliere d’argento così grande, che Zizola – così si chiamava la figlia più piccina – ci poteva star dentro, e la Regina ce la nascose. – Va’ a vendere questo candeliere, – disse al suo servitore più fidato, – e quando ti domandano cosa costa, se è povera gente di’ molto, se è un gran signore di’ poco e daglielo -. Abbracciò la figlia, le fece mille raccomandazioni, e mise dentro al candeliere fichi secchi, cioccolata e biscottini.
Il servitore portò il candeliere in piazza e a quelli che gli domandavano quanto costava, se non gli andavano a genio domandava uno sproposito. Finalmente passò il figlio del Re di Torralta, esaminò il candeliere da tutte le parti, poi domandò quanto costava. Il servitore gli disse una sciocchezza e il Principe fece portare il candeliere al palazzo. Lo fece mettere in sala da pranzo e tutti quelli che vennero a pranzo fecero gran meraviglie.
Alla sera il Principe andava fuori a conversazione; siccome non voleva che nessuno stesse ad aspettarlo a casa, i servitori gli lasciavano la cena preparata e andavano a letto. Quando Zizola sentì che in sala non c’era più nessuno, saltò fuori dal candeliere, mangiò tutta la cena e tornò dentro. Arriva il Principe, non trova niente da mangiare, suona tutti i campanelli e comincia a strapazzare i servitori. Loro, a giurare che avevano lasciato la cena pronta, che doveva essersela mangiata il cane o il gatto.
– Se succede un’altra volta, vi licenzio tutti, – disse il Principe; si fece portare un’altra cena, mangiò e andò a dormire.
Alla sera dopo, benché fosse tutto chiuso a chiave, capitò lo stesso. Il Principe pareva facesse venir giù la casa dagli strilli; ma poi disse: – Vediamo un po’ domani sera.
Quando fu domani sera, cosa fece? Si nascose sotto la tavola che era coperta fino a terra da un tappeto. Vengono i servitori, mettono i piatti con tutte le pietanze, mandano fuori il cane e il gatto e chiudono la porta a chiave. Sono appena usciti, che s’apre il candeliere e ne esce fuori la bella Zizola. Va a tavola e giù a quattro palmenti. Salta fuori il Principe, la prende per un braccio, lei cerca di scappare ma lui la trattiene. Allora la Zizola gli si butta in ginocchio davanti e gli racconta da cima a fondo la sua storia. Il Principe ne era già innamorato cotto. La calmò, le disse: – Bene, già d’adesso vi dico che sarete la mia sposa. Ora tornate dentro il candeliere.
A letto, il Principe non poté chiudere occhio tutta la notte, tant’era innamorato; e al mattino ordinò che portassero il candeliere nella sua camera, perché era tanto bello che lo voleva vicino la notte. E poi diede ordine che gli portassero da mangiare in camera porzioni doppie, perché aveva fame. Così gli portarono il caffè, e poi la colazione alla forchetta, e il pranzo, tutto doppio. Appena gli avevano portato i vassoi, chiudeva l’uscio a chiave, faceva uscire la sua Zizola e mangiavano insieme con gran gioia.
La Regina, che restava sola a tavola, si mise a sospirare: – Ma cos’avrà mio figlio contro di me che non scende più a mangiare? Cosa gli avrò fatto?
Lui continuava a dire che avesse pazienza, che voleva star per conto suo; finché un bel giorno disse: – Voglio prendere moglie.
– E chi è la sposa? – fece la Regina tutta contenta.
E il Principe: – Voglio sposare il candeliere!
– Ohi, che mio figlio è diventato matto! – fece la Regina coprendosi gli occhi con le mani. Ma lui
diceva sul serio. La madre cercava di fargli intendere ragione, di fargli pensare a cosa avrebbe detto la gente, ma lui duro: diede ordine di preparare il matrimonio di lì a otto giorni.
Il giorno stabilito partì dal palazzo un gran corteo di carrozze e nella prima ci stava il Principe, con a fianco il candeliere. Arrivarono alla chiesa e il Principe fece trasportare il candeliere fin davanti all’altare.
Quando fu il momento giusto, aperse il candeliere e saltò fuori Zizola, vestita di broccato, con tante pietre preziose al collo e agli orecchi che risplendevano da tutte le parti. Celebrate le nozze e tornati al palazzo, raccontarono alla Regina tutta la storia. La Regina, che era una furbona, disse: – Lasciate fare a me che a questo padre gli voglio dare io una lezione.
Difatti, fecero il banchetto di nozze, e mandarono l’invito a tutti i Re dei dintorni, anche al padre di Zizola. E al padre di Zizola la Regina fece preparare un pranzo apposta, con tutti i piatti senza sale. La Regina disse agli invitati che la sposa non stava bene e non poteva venire al pranzo. Si misero a mangiare; ma quel Re aveva la minestra scipita e cominciò a brontolare tra sé: “Questo cuoco, questo cuoco, s’è dimenticato di salare la minestra”, e fu obbligato a lasciarla nel piatto.
Venne la pietanza, senza sale anche quella. Il Re posò la forchetta. – Perché non mangia, Maestà? Non le piace?
– Ma no, è buonissima, è buonissima.
– E perché non mangia?
– Mah, non mi sento tanto bene.
Provò a portarsi alla bocca una forchettata di carne, ma ruminava, ruminava senza poterla mandar giù. E allora gli venne in mente la risposta della sua figliola, che gli voleva bene come il sale, e gli prese un rimorso, un dolore, che a poco a poco ruppe in lagrime, dicendo: – O me sciagurato, cos’ho fatto!
La Regina gli domandò cos’aveva, e lui cominciò a raccontare tutta la storia di Zizola. Allora la Regina s’alzò e mandò a chiamare la sposina. Il padre ad abbracciarla, a piangere, a domandarle come mai era là, e gli pareva di risuscitare. Mandarono a chiamare anche la madre, rinnovarono le nozze, con una festa ogni giorno, che credo siano lì ancora che ballano.

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[Mots-clés è una rubrica mensile a cura di Ornella Tajani. Ogni prima domenica del mese, Nazione Indiana pubblicherà un collage di un brano musicale + una fotografia o video (estratto di film, ecc.) + un breve testo in versi o in prosa, accomunati da una parola o da un’espressione chiave.
La rubrica è aperta ai contributi dei lettori di NI; coloro che volessero inviare proposte possono farlo scrivendo a: tajani@nazioneindiana.com. Tutti i materiali devono essere editi; non si accettano materiali inediti né opera dell’autore o dell’autrice proponenti.]

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ornella tajani
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Ornella Tajani insegna Lingua e traduzione francese all'Università per Stranieri di Siena. Si occupa prevalentemente di studi di traduzione e di letteratura francese del XX secolo. È autrice dei libri Tradurre il pastiche (Mucchi, 2018) e Après Berman. Des études de cas pour une critique des traductions littéraires (ETS, 2021). Ha tradotto, fra vari autori, le Opere di Rimbaud per Marsilio (2019), e curato i volumi: Il battello ebbro (Mucchi, 2019); L'aquila a due teste di Jean Cocteau (Marchese 2011 - premio di traduzione Monselice "Leone Traverso" 2012); Tiresia di Marcel Jouhandeau (Marchese 2013). Oltre alle pubblicazioni abituali, per Nazione Indiana cura la rubrica Mots-clés, aperta ai contributi di lettori e lettrici.
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