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Icnologia iconologia o tautologia. Su “Spin Off” di Giulio Marzaioli

di Lorenzo Mari

Leggo Spin Off di Giulio Marzaioli a dieci anni di distanza da un’installazione che non ho potuto vedere, Icnologia, di Giulio Marzaioli e Pietro d’Agostino, ma della quale si può leggere qui la preziosa nota critica di Gian Maria Nerli.

Ora, per darne una definizione piuttosto semplice, l’icnologia è quella branca della paleontologia e della biologia che si occupa dello studio delle interazioni tra organismi e substrato, andando a caccia di quelle interconnessioni attraverso le tracce (gr. ichnos) che si sono depositate, nello spazio e nel tempo. E quando, in occasione di quella mostra del 2013, Marzaioli e D’Agostino definiscono l’icnologia come «ambito di indagine e sintesi tra scrittura e fotografia», sanno bene – come appunta anche Nerli – che la mancanza di una O segna uno scarto minimo, eppure rilevante, tra icnologia e iconologia. Dov’è, allora, l’immagine? Non si tratta soltanto di localizzarla, identificarla e archiviarla in quello scarto – un ritorno all’ordine, anche piuttosto consolante – ma di provare ad agire intorno alla circolarità della O di quello scarto, una circolarità che appare liscia, ma, di fatto, può essere potenzialmente produttiva.

Ricorre molto, in effetti, l’idea di una «icnologia del futuro» nelle parole di Gian Maria Nerli, specie dove il lavoro di Marzaioli e D’Agostino «mette di fronte alla possibilità dell’inaspettato, dell’impensato, alla reale estraneità di pensare il futuro».

Inaspettato e impensato, si potrebbe dire, come uno spin off.

Certo, oggi nel suo ambito mainstream di riferimento, associato alle serie tv, lo spin off sembra alludere a un progetto architetturale (con lo sviluppo, cioè, di un elemento testuale precedentemente secondario), ma nell’icnotesto/iconotesto che pure è Spin Off questa ambizione viene subito meno; l’interazione tra testo e immagine, al contrario, segue primariamente i principi dell’accumulazione e della deviazione. In questo senso, i testi che compongono il libro non sono soltanto la ripresa, tramite combinazione e montaggio, di testi precedenti di Marzaioli, ma associandosi ad altre immagini (che, dalle note finali, si presumono almeno parzialmente prodotte ex novo da Giulio ed Eugenio Marzaioli) hanno la funzione di accumulare e al tempo stesso deviare da quelle tracce già esistenti. Ovvero, trascrivendo qui parte delle note finali, per chiarire meglio la procedura con cui si ottiene Spin Off: «Indizi de La neve fanno la loro prima comparsa all’interno de I sassi (Tic Edizioni, 2021); indizi de La cicala all’interno di Arco rovescio (Benway Series, 2000); indizi de La macchina volante all’interno de Il volo degli uccelli (Benway Series, 2014). I sassi sono stati pubblicati presso Tic Edizioni, collana ChapBooks, nel 2021» (p. 91).

I testi precedenti sono dunque entità organiche, ma senza alcuna pretesa di un organicismo assoluto e olistico: sono, a loro volta, pieni di tracce, che Spin Off si occupa di accumulare, appunto, e deviare. Così, non siamo di fronte a una cosiddetta “auto-antologia”: forse si parte dal fantasma di questa forma-libro (ormai invalsa nell’uso e che denuncia una chiara debolezza della critica, non risolvendola e anzi, se possibile, aggravandola) ma si arriva a un esito estremamente paradossale, nella sua futuribilità produttiva e, al tempo stesso, nella sua clausura ideologica.

La deviazione, voglio dire, porta lontano dalla clausura formale, ma non distrae mai, anzi, intende sempre portare all’attenzione; come si legge sempre nelle note conclusive: «La parola attenzione ricorre tre volte all’interno del libro (una per ciascun testo)» (p. 91) – dove per “testo” si intende l’intera sequenza testuale che compone una sezione (ricordando che la quarta parte, I sassi (reprise), è una sezione esclusivamente fotografica).

Un’attenzione, questa sì, assoluta: la neve, la cicala, le macchine volanti e i sassi – per riprendere i titoli delle quattro sezioni di Spin Off – sono scenari della meditazione, dove l’attenzione supera spesso la dimensione umana per farsi post-umana, o comunque non-umana. Succede da subito, con un frammento che imita le modalità della meditazione zen – «Pensare la neve d’estate» (p. 7) – per poi rivelarsi gradualmente qualcosa d’altro, ad esempio uno «stato mentale» (p. 11) o un «anacronismo» (p. 14). L’esito di questo processo non è circolare, come potrebbe forse suggerire la chiusura simil-zen dell’ultimo testo della prima sezione – «A differenza della neve, che quando cade non è mai così bianca come siamo soliti pensarla» (p. 26) – dove, in realtà, c’è una sorta di parafrasi aggiunta che sottrae un po’ di icasticità alla massima zen; lo scopo sembra piuttosto quello di garantire «[u]na permanenza ovattata sempre ridefinibile e un attraversamento del proprio status gravitazionale» come coordinate temporali di un pensiero che «si schiarisce dalle ombre e si libera dal peso dell’acqua, manifestandosi chiaro e leggero quando trova accoglienza nel luogo della neve» (p. 12).

Parallelamente, si va chiarendo come il movimento sia quello dell’astrazione – sottesa alla ripetizione ossessiva di un piano asciuttamente referenziale, ma costantemente attraversato da minuscoli sommovimenti o glitch – e della sottrazione del punto di vista dal paesaggio così delineato (peraltro delineato attraverso la neve, e cioè con la sua bianchezza pre-logoica): «[q]uando pensiamo la neve entriamo a far parte di un paesaggio che ci sottrae» (p. 26), infatti, è l’esordio dell’ultimo testo di questa parte, dove la particella pronominale, nonché l’impianto testuale che la include, non possono che ricordare un libro apparso nella stessa collana di Tic dove appare Spin Off, ovvero Noi (2021) di Alessandro Broggi.

A questo proposito… piccola deviazione: pare che ci sia un altro legame piuttosto solido, per Spin Off, all’interno della collana degli UltraChapBooks – a indicare, così, l’alto grado di omogeneità del catalogo editoriale non tanto a livello stilistico, o di poetica, ma rispetto a quella costellazione teorico-pratica che continua a fungere da riferimento per molta scrittura di ricerca italiana – ovvero il nesso che intercorre tra la sezione La macchina volante e Quando arrivarono gli alieni (2016) di Gherardo Bortolotti, ora incluso nella prima pubblicazione degli UltraChapBooks, Low (Una trilogia) (2020). Se la prima tentazione può essere quella di rinviare a un medesimo campo semantico (gli alieni, le macchine volanti, etc.) e giocare non tanto con la costellazione appena delineata, ma con una scrittura critica che sia anch’essa referenziale e glitchata, bisognerà pure deviare, poiché è in definitiva più interessante vedere come in entrambi gli autori abbiano agio quegli spazi e tempi interstiziali – propiziati dagli scarti e dal glitch – dei quali ha brevemente parlato, fra gli altri, Julian Zhara in un intervento su Satisfiction.

Di più: pare che vi sia, in Spin Off, una rincorsa tra referenzialità e glitch che sfiora, ma non entra mai appieno, nel territorio della tautologia – peraltro ampiamente frequentata e usata, se non anche abusata, in altre scritture contemporanee. In altre parole, vi sussiste il margine – così com’è sancito dallo scarto tra icnologia e iconologia –, per introdurre, ad esempio, alcune considerazioni, sospese tra la zoologia e l’auto-etnologia, sui costumi sessuali delle cicale, nella seconda sezione («La verità è che dei sette vizi capitali, l’invidia è il più segreto e dissimulato dall’essere umano. L’assidua attività sessuale testimoniata dall’incessante frinire, e la libertà corale in cui quest’attività si esplica, sollecitano sottopelle la fantasia e il conformismo di donne e uomini…», p. 43) o anche per considerare “la macchina volante” della terza sezione nella sua pura oggettualità, senza ricorrere ad altre costruzioni narrative o finzionali («In alternativa, potrebbe essere cresciuta lentamente e inesorabilmente sulla propria ombra (ipotesi fantascientifica e pertanto altamente improbabile)», p. 57).

Ancora più specificamente, però, in rapporto a icnologia, iconologia e tautologia, allusa ma non compiuta, è la qualità dello sguardo a interessare, nella sua evoluzione che attraversa vari testi e sezioni dal libro: dalla mano antropomorfica che muove la macchina fotografica nella seconda sezione («Dopo averla fotografata da diverse angolazioni, l’uomo avvicinò lentamente l’indice alla farfalla…», p. 34) si passa alla relazione tra la macchina volante e altre singolarità inanimate nella terza sezione, fino a un distacco, nel pre-finale, che elabora e approfondisce l’idea di “distacco zen” che affiorava all’inizio del libro («Non essendo in funzione, la macchina volante reagisce sospendendo la percezione del proprio deterioramento e confortando quanto resta del motore, che, non rilevando combustibile nei serbatoi, tende a chiudersi su sé stesso. È in tali frangenti che la macchina volante avverte una forma di distacco alquanto differente dal decollo», p. 72).

Sorprendentemente, o forse no, il libro si chiude poi con un ritorno alla fotografia nella sequenza di immagini I sassi (reprise): si torna così a postulare una presenza antropomorfa e “fotografante” – ma non più una… “soggettività desiderante”, per accumulazione e deviazione di quanto finora esposto – e le immagini, per di più non si limitano nemmeno alla “coseità” dei sassi, ma introducono un simil-cairn – comunque assai distanti da altri Cairn, più evidentemente lirici o “post-lirici”, di questi ultimi anni – che però, al di là dell’evocazione propria della traccia, non allude a nessuna retorica riguardante una cultura perduta (quella della poesia, in tempi di post-poesia?…forse).

Come a dire, l’icnologia lascia di nuovo spazio all’iconologia, in una circolarità di scarti che supera la tautologia e ridefinisce il campo. Che sia lo Spin Off, per la scrittura di Marzaioli, di qualcos’altro ancora?

 

 

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Renata Morresi scrive poesia e saggistica, e traduce. In poesia ha pubblicato le raccolte Terzo paesaggio (Aragno, 2019), Bagnanti (Perrone 2013), La signora W. (Camera verde 2013), Cuore comune (peQuod 2010); altri testi sono apparsi su antologie e riviste, anche in traduzione inglese, francese e spagnola. Nel 2014 ha vinto il premio Marazza per la prima traduzione italiana di Rachel Blau DuPlessis (Dieci bozze, Vydia 2012) e nel 2015 il premio del Ministero dei Beni Culturali per la traduzione di poeti americani moderni e post-moderni. Cura la collana di poesia “Lacustrine” per Arcipelago Itaca Edizioni. E' ricercatrice di letteratura anglo-americana all'università di Padova.
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