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L’amico chimico di Primo Levi

di Pasquale Vitagliano

Chiamatelo Ferro. All’anagrafe è Alessandro Delmastro, nato a Torino il 7 settembre 1917. Chimico come Primo Levi, che a lui dedica il racconto Ferro de Il sistema periodico e La carne dell’orso, nel quale, però, porta il nome di Carlo. Amante della montagna e capo partigiano nelle formazioni di Giustizia e Libertà.  Svegliarsi adulti. Vita di Sandro Delmastro, capo partigiano e amico di Primo Levi (Einaudi, 2025) è la biografia che Roberta Mori gli ha dedicato. Ricercatrice del Centro Studi Primo Levi, la Mori è riuscita a vascolarizzare la sua solida ricerca, tra documenti, corrispondenza e scritti inediti, con quella passione personale che può impegnare un’intera esistenza. Pertanto, questa biografia, in bilico tra personaggio letterario e drammatica testimonianza storica, irradia un luce aurorale generativa di nuovi sentieri di lettura e di studio. Non è solo la storia di Sandro, è la storia di un’intera generazione che ha arato e seminato il terreno della libertà.
Primo e Sandro si erano conosciuti all’università. Presto l’amicizia era nata tra loro. Eppure, non erano affini, non lo erano per origini, né per carattere. In comune, però, avevano l’amore per la montagna. Il padre di Sandro faceva il muratore, ma i suoi antenati erano stati fabbri e calderai nelle valli canavesane, dove d’estate da ragazzo aveva fatto anche il pastore. “Nella descrizione del carattere di Sandro”, scrive la Mori, “il confine fra realtà e letteratura si fa sottile”. La figura di Sandro risente dei personaggi avventurosi di Jack London, ma “è anche lontano parente del capitano MacWhirr, il protagonista di Tifone di Joseph Conrad”. Insomma, ci troviamo di fronte a un personaggio reale che proietta una sua luce speciale, quasi addirittura sapienziale e magica. Levi conserva una foto con Sandro che a tremila metri, a febbraio, mangia tranquillamente a torso nudo sotto il nevischio. Esprime una forza attrattiva che cancella tutto quello che sta intorno, anche i drammi della storia. Ad un certo punto Sandro scompare. Non abbiamo più sue notizie del periodo in cui egli è un ufficiale della Regia Marina. Lo ritroviamo, dopo l’otto settembre, in montagna, a 1480 metri in Val d’Angrogna, sopra Pra del Torno. In ottobre è stato nominato comandante del gruppo del Sap del partito d’azione. Anche Primo era in montagna, in Val d’Aosta, dove si era rifugiato con la madre e la sorella. Primo fuggiva, Sandro si nascondeva. Primo avrebbe voluto combattere, “ma non sapeva da dove cominciare”. Sandro, nella volontà di “dir no fino in fondo”, era diventato una “protesta vivente”. Arrestato dalla famigerata formazione fascista Ettore Muti, Alessandro Delmastro venne prima torturato, poi ucciso, nel tentativo estremo di mettersi in fuga, da un soldato bambino. Il cadavere venne lasciato sul selciato come monito orrendo. Quando considerarono terminata l’esposizione pubblica, gettarono il corpo inerte sopra un furgoncino dei rifiuti “con ostinato disprezzo”.
L’apparato fotografico confluisce dentro il percorso di ricerca, non ne è semplice corredo. Per quell’effetto che Sciascia seppe fissare con la parola entelechia, le foto proiettano il carattere di Delmastro, contestualmente ne prefigurano il tragico epilogo. Esemplare è la foto di copertina, con Sandro seduto su un sperone di roccia sulla Rocca Sella in Val di Susa; sembra rivolto verso “un altrove spazio-temporale”, come se guardasse la linea d’ombra della sua giovinezza che la guerra non gli consentirà di oltrepassare,
“Cara Ester, questo è il racconto dedicato a Sandro”. Tutto era cominciato il 24 maggio del 1974, quando Primo Levi spedì un breve messaggio alla sua vecchia compagna di Università Ester Valabrega, che di Delmastro era stata la fidanzata. Quel giorno Alessandro Delmastro era diventato Sandro. In un certo modo quella lettera segnava un dies natalis. La realtà, invece, vuole che egli sia sepolto a Zubiena, nella campagna piemontese. Ma il suo seme, davvero, grazie all’amicizia e all’amore per la memoria storica, è germogliato. “E’ stato raccolto e salvato”.

 

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giacomo sartori
giacomo sartori
Sono agronomo, specializzato in scienza del suolo, e vivo a Parigi. Ho lavorato in vari paesi nell’ambito della cooperazione internazionale, e mi occupo da molti anni di suoli e paesaggi alpini, a cavallo tra ricerca e cartografie/inventari. Ho pubblicato alcune raccolte di racconti, tra le quali Autismi (Miraggi, 2018) e Altri animali (Exorma, 2019), la raccolta di poesie Mater amena (Arcipelago Itaca, 2019), e i romanzi Tritolo (il Saggiatore, 1999), Anatomia della battaglia (Sironi, 2005), Sacrificio (Pequod, 2008; Italic, 2013), Cielo nero (Gaffi, 2011), Rogo (CartaCanta, 2015), Sono Dio (NN, 2016), Baco (Exorma, 2019) e Fisica delle separazioni (Exorma, 2022). Alcuni miei romanzi e testi brevi sono tradotti in francese, inglese, tedesco e olandese. Di recente è uscito Coltivare la natura (Kellermann, 2023), una raccolta di scritti sui rapporti tra agricoltura e ambiente, con prefazione di Carlo Petrini.
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