a cura di Francesco Forlani
Lo scorso Giugno sono stato a Lillehammer insieme alla Nazionale Scrittori per incontrare, culturalmente e calcisticamente i nostri omologhi norvegesi. I giorni trascorsi insieme mi hanno offerto l’occasione di frequentare autori, traduttori, giocatori davvero eccezionali. Poco dopo essere ritornato in Italia ho mandato a tre di loro un piccolo questionario su come gli scrittori norvegesi avessero elaborato la terribile esperienza dei due attentati dell’anno scorso, a Oslo e sull’isola di Utoya, in cui 77 persone hanno perso la vita. Di ieri la sentenza che ha condannato il loro autore Anders Behring Breivik a 21 anni. Ma anche e soprattutto il loro punto di vista sullo stato generale delle lettere, nel loro paese e nel nostro.
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Effeffe: Prendendo spunto dai fatti di Utoya dello scorso anno c’è stata secondo voi un’elaborazione di quell’esperienza da parte degli scrittori? Qual è il vostro punto di vista sia sui fatti accaduti che sull’elaborazione in corso?
Simen Ekern (scrittore e giornalista corrispondente del quotidiano Dagbladet)
SE: I libri pubblicati fino ad oggi sulla tragedia Utøya sono resoconti di saggistica. I primi libri ad essere pubblicati sull’argomento sono state sostanzialmente indagini che descrivevano ogni mossa di Breivik nei mesi, giorni ed ore prima della bomba e della sparatoria. Poi vennero i libri -intervista sulla base di lunghe conversazioni con i sopravvissuti, come il libro di Erik Møller Solheims su Adrian Pracon.
Ora invece cominciano ad essere pubblicati saggi di tipo politico. «Motgift» (Antidoto), è un ambizioso progetto, un libro di 500 pagine che offre la possibilità a studiosi ben noti di rispondere al contenuto del «Manifesto» di Breivik. L’idea di fondo di questo progetto è di dimostrare, attraverso fatti e analisi equilibrate, che l’ideologia di Breivik si basa su presupposti falsi e incorretti. Ho scritto una recensione positiva di questo libro sul giornale per il quale lavoro, anche perché penso che sia impossibile ignorare la dimensione ideologica / politica dei crimini compiuti da Breivik. Breivik potrà anche essere un pazzo, ma le sue idee politiche sono condivise da molti, e devono essere prese sul serio, purtroppo.
Vari autori di narrativa, norvegesi hanno scritto articoli e pezzi d’opinione pubblicati su diversi giornali nazionali e internazionali. Più degni di nota, forse, sono gli scritti di Karl-Ove Knausgård, l’autore più di successo nel nostro paese nell’ultimo quinquennio. Ecco il suo saggio sul New York Times, scritto con un linguaggio riconoscibile ai lettori dei suoi romanzi.
Jon Rognlien (traduttore in norvegese di Saviano, Camilleri, Sciascia, critico letterario ed editorialista norvegese.)
JR: Sono usciti parecchi libri sul massacro: documentari, reportage, testimonianze. Gli autori sono comunque ancora troppo vicini agli avvenimenti per riuscire a rifletterci profondamente. Poi adesso, col processo, le informazioni si sono moltiplicate, e contemporaneamente si è completamente slittati nel discorso sull’eventuale sanità mentale del malfattore. Vera letteratura che mediti sopra ai fatti verificatisi nel luglio del 2011 non credo che ne uscirà prima di un paio di anni.
Astrid Nordang (scrittrice e traduttrice in norvegese delle Poesie in forma di Rosa di Pier Paolo Pasolini )
AN: La cosa che m’interessa di più su Breivik non è se lui fosse mentalmente sano o no, ma il linguaggio che usa nel suo cosiddetto “manifesto”. Ho solamente letto degli estratti, ma si vede subito che non ha una lingua sua. Il testo è pieno di frasi in inglese e clichés, una lingua da blog e commenti di tale sorta si trovano sui quotidiani. Il suo rapporto con la lingua sembra assomigliare a quella dei fascisti, dei nazisti; piange davanti alla Corte quando rivede un ritratto di se stesso in uniforme, mentre posa come un cavaliere/crociato. Solamente i simboli lo commuovono. Non gliene frega nulla delle testimonianze e delle vittime. Si può pensare a Freud, al super ego etc, ma questa è una domanda da girare agli psicologi. Proprio oggi si annuncia la conclusione del tribunale sulla condizione mentale di Breivik: è responsabile, sano mentalmente. Un foto mostra il malfattore con un sorriso vago. La sentenza: 21 anni. Come Rognlien già ti ha scritto, l’informazione è dappertutto, ma ci vuole un po’ di tempo per elaborare il misfatto. Personalmente sento la vicinanza – Utoya non è lontana da qui. Incontro ancora gente che era stata lì, che aveva partecipato alla ricerca, in barca, nel lago di Tyrifjorden dopo che tre giovani erano dati come dispersi.
Effeffe: In che modo secondo voi la letteratura norvegese contemporanea dialoga con quella europea e qual è il vostro punto di vista sui filtri editoriali (Grandi Gruppi Editoriali, distribuzione, diffusione, critica letteraria, agenzie letterarie) e sulle scelte di questi. Quali sono gli autori italiani che sentite vicini alle vostre poetiche.
Simen Ekern : credo che si possa sostenere la tesi secondo cui la letteratura norvegese contemporanea è più influenzata dalla narrativa americana che da quella europea, almeno tra le giovani generazioni di scrittori. In generale credo che sia corretto affermare che la cultura anglo-americana abbia un’influenza più forte in Norvegia della cultura dell’Europa continentale. Vi sono, tuttavia, molti esempi contrari. Houellebecq è (abbastanza) letto, un suo iincontro con Péter Nádas ha riempito la Casa della Letteratura di Oslo di recente, il nuovo libro di Umberto Eco ha innescato lunghe interviste in diversi giornali (ovviamente). Nonostante ciò, l’influenza americana e il dibattito letterario intra-scandinavo sono più seguiti e sentiti che non le discussioni europee. Purtroppo.
Jon Rognlien: purtroppo la letteratura è quasi sempre vista e analizzata paese per paese, raramente si riesce a tracciare un disegno complessivo e internazionale. Gli scrittori norvegesi sono sicuramente più influenzati dagli autori americani che dagli europei. Ho però notato un certo interesse ultimamente per Erri de Luca, ho sentito che sta per uscire un articolo su lui su una rivista importante (Vagant) fra non tanto. Del resto qui non si vede oltre il proprio naso. Saviano è stato letto moltissimo, ma non ho sentito nessuno scrittore citarlo come fonte d’ispirazione. La letteratura è molto più chauvinista che non, per esempio, la musica.
Astrid Nordang : Leggo libri italiani e tedeschi per alcune case editrici. Sono d’accordo con Rognlien e voglio aggiungere che le agenzie purtroppo decidono quale tipo dei libri debba essere pubblicato qui. Un esempio, Nicola Lecca – mi sembra che non sia molto letto in Italia, ma il suo libro Hotel Borg è stato tradotto in tutta Europa. La letteratura francese e tedesca hanno avuto un grande impatto da noi, ma non dimentichiamo gli svedesi, specialmente per quanto riguarda la poesia. Per esempio Katarina Frostenson e Ann Jäderlund. La poesia scandinava è un campo dove i legami sono stretti grazie anche ai tantissimi festival organizzati. Secondo me il livello è alto e tutti questi “happening” offrono un’ispirazione anche ai romanzieri norvegesi, con la coscienza e l’esplorazione della lingua. Per quanto riguarda la narrativa, la letteratura inglese e americana hanno la maggioranza dei lettori, dato che la posizione dello “story telling” è privilegiata in Norvegia. Umberto Eco è molto letto, chiaro, ma forse è più un saggista che un romanziere. Vagant menziona Silvia Avallone (ne abbiamo discusso a Lillehammer) e Erri di Luca. L’interesse per Giorgio Agamben però mi sembra cresciuto ultimamente, è da due-tre anni che i suoi essays sono tradotti su riviste e libri.
Effeffe : Se poteste descrivere il lettore tipo norvegese, lo si può definire un lettore “forte” ? Esiste una schizofrenia editoriale come in Italia tra letteratura di qualità e letteratura di mercato?
Simen Ekern : I norvegesi comprano molti libri, e le case editrici sono sempre state in grado di pubblicare letteratura di qualità, e sono state disposte a fare uno sforzo per far si che le persone leggessero questo tipo di libri. Gli autori considerati i più importanti negli anni ’80 e ’90, come Dag Solstad e Jan Kjaerstad, sono stati anche dei best-seller a volte. Karl Ove Knausgård, da tempo uno degli autori preferiti dai critici, ha venduto più libri di quanto qualsiasi scrittore di romanzi gialli possa sognare. Nonostante ciò, le librerie iniziano a dare maggiore spazio ai romanzi gialli e alla letteratura di intrattenimento, e le case editrici si lamentano che è difficile trovare spazio sugli scaffali per «la letteratura di nicchia». C’è chiaramente un conflitto qui, e non è sul punto di essere risolto.
Jon Rognlien : Certo che esiste questa dicotomia (non mi piace definirla “schizofrenia”, che sarebbe una malattia, no?). C’è la letteratura della borsa e c’è la letteratura della cattedrale (così si dice qui da noi). Così è sempre stato e così sarà. Si legge comunque molto in Norvegia, specialmente gli scrittori di successo norvegesi, come i giallisti tipo Jo Nesbø (che sta avendo successo anche da voi, no?), ma anche scrittori considerati seri (ma poi, si può discutere su questo) come per esempio Erlend Loe, che ha scritto una decina di libri molto originali, alcuni pubblicati pure in Italia dall’editore Iperborea. C’è ne anche un bel gruppo di scrittrici giovani molto in gamba – Agnes Ravatn, Olaug Nilsen e Linn Ullmann, per citarne solo alcune. Abbiamo un buon livello tra i critici, a mio modesto parere, – tra cui parecchi giovani laureati in letteratura che leggono con attenzione e riescono ad andare giù nei testi, non solo nuotare sulla cresta, in superficie. Certo abbiamo anche i classici critici “giornalistici” che spargono cinismo e noia, ma non contano più molto. La nuova generazione di critici (28-43 anni) sono molto più seri. E i giornali gli danno la possibilità di scrivere. Bene.
Astrid Nordang : C’è un gran numero di scrittori norvegesi e anche parecchi buoni. Tra i poeti abbiamo donne come Ingrid Storholmen, Monica Aasprong, Tone Hødnebø, tra gli uomini Gunnar Wærness, Terje Dragseth e Øyvind Rimbereid. La situazione oggi è che una manciata di autori domina il panorama, come Dag Solstad (nella tradizione di Thomas Bernhard), Kjartan Fløgstad e Jan Kjærstad,a cui si contrappongono romanzieri storyteller, come Per Petterson e Linn Ullmann o il più sperimentale Thure Erik Lund. Ci sono anche Merethe Lindstrøm, Vigdis Hjorth per menzionare un paio di donne con all’attivo una ventina di libri e che col tempo stanno migliorando. Knausgård è un fenomeno, per esempio.
Effeffe: Tutti voi avete un legame con l’Italia, sia come scrittori, traduttori, saggisti, oppure per vicende personali. Qual è l’idea che vi siete fatti del “bel paese”?
Simen Ekern: Ho scritto due libri sull’Italia. Il primo, pubblicato nel 2006, si initola «l’Italia di Berlusconi», ed è un’inchiesta giornalistica dagli anni di Mani Pulite fino alla vittoria elettorale di Prodi. Ho voluto soffermarmi sui dibattiti di quel periodo, seguirne i personaggi principali, per descrivere l’Italia nell’era Berlusconi come una società contraddittoria, che a volte porta ad un cortocircuito nel dibattito pubblico. Ho cercato di descrivere in maniera onesta le impressioni dei miei viaggi, interviste e reportage, da Milano a Lampedusa durante gli anni di Berlusconi. Il secondo libro, intitolato Roma, è stato pubblicato nel 2011, ed è descritto così dalla casa editrice:
«Roma non è soltanto ricca di storia antica, ma è anche una metropoli moderna con un presente ed un passato recente che è allo stesso tempo sanguinoso, caotico e seducente. L’autore Simen Ekern porta i suoi lettori in un lungo tour a rotta di collo per le strade di Roma, dal dopoguerra ad oggi. Ci ritroviamo nel vicolo dove è stato trovato il corpo del politico assassinato Aldo Moro nel bagagliaio di una Renault 4. Prendiamo un caffè con un uomo che si rammarica amaramente di aver aderito alle Brigate Rosse. Incontriamo una donna che porta orecchini con l’immagine di Mussolini. Il libro si interessa in particolare dei movimenti militanti di sinistra estrema e nel fascismo che non è mai davvero scomparso. Roma è un racconto originale su una città molto speciale». Credo che i due libri riassumano bene la mia visione dell’Italia.
Jon Rognlien : Ah, serva Italia! Ohimè lasso! Sospiri e lacrimosi laï … e via dicendo: l’Italia di Ratzinger, Licio Gelli e Berlusca o invece l’Italia di Totò, Fellini e Dario Fo? L’Italia di Raffaela Carrà o invece quella di Pino Daniele? Di Emilio Fede o di Alma Megretta? Il “bel” paese è troppo grande e contraddittorio per potersene fare un’idea soltanto. Ce ne vogliono almeno quattro.
Astrid Nordang : Per me l’ Italia è il suo cinema, la letteratura, è Roma, la Sicilia, Napoli, Trieste. Pasolini, Fellini, Fo, Morante e Svevo (ho fatto un mio saggio su Svevo applicando le idee di Benjamin). Ungaretti, Montale. Amo la canzone italiana, Mina, per esempio.