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Canto sun torrados sos pastores

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a cura di Antonio Calledda

Pratobello
di
Peppino Marotto
Canto a binti de maju sun torrados
Sos pastores in su sesantanoe
Tristos, né untos e nen tepenados.

Su vinti’e santandria proe proe
Fini partidos cun sa roba anzande
Da sa montagna, passende in Locoe;

I folletti, il Natale e la poesia

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di Francesca Matteoni

Sulla natura dei folletti le teorie sono una matassa assai intricata e variopinta: di certo c’è solo che ovunque si potranno incontrare, che presso ogni popolo è attestata l’esistenza di simili esseri, nascosti nelle brughiere e sotto i biancospini, nelle grotte sotterranee e perfino nella giungla, in spazi abbandonati o nei meno esplorati della casa come la soffitta, la cantina, vecchie cassepanche e armadi in disuso. Sono proprio gli abitanti di questi ultimi luoghi, i cosiddetti folletti domestici, la categoria forse più famosa e indubbiamente quella che si muove a più stretto contatto con gli umani.

DUE PIEGHE E UN RITORNO

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di Davide Nota

«Il Barocco non connota un’essenza, ma una funzione operativa, un tratto. Il Barocco produce di continuo pieghe. […] Il suo tratto distintivo è dato dalla piega che si prolunga all’infinito.» (Gilles Deleuze, La piega).

L’alternarsi di un metro classico composto di settenari, endecasillabi ed alessandrini può consentirci lo svolgimento potenzialmente infinito della piega.
La riconquista metrica, o di ciascuna variante di linearità ritmica, è la funzione espressiva di uno sguardo obliquo, che attraversa con naturalezza le dimensioni e i piani sovrapposti di un’esperienza storica e personale di passaggio (la fine della fisica moderna, la crisi dell’economia capitalistica, lo smottamento produttivo verso oriente, le premesse ad una New economy o a una guerra mondiale) che da traumatica e rimossa, rigettata come corpo estraneo, deve tornarci limpida e sentimentale.

Il tratto classico è lo sguardo dell’esperienza umana, in cui i generi letterari e gli ambiti della conoscenza (le filosofie decostruzioniste, il neo-positivismo, la fisica quantistica, la semiotica della comunicazione, le scienze politiche, la storia, le esperienze umane e del vero personale, il sogno e l’archetipo, il senso religioso o del sacro) non sono più percepiti come aree separate e non comunicanti ma come regioni di una stessa avventura.

Conoscere e ri-conoscere: volti e culture

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di Antonio Sparzani

La relatività è un grande fiume che scorre in molti territori e bagna molte contrade. Una di queste mi è venuta incontro in questi giorni mentre leggevo, ignaro e senza sospetti, un breve saggio del grande viennese Ernst H. Gombrich, intitolato La maschera e la faccia: la percezione della fisionomia nella vita e nell’arte, pubblicato originariamente nel 1972, quando Gombrich era direttore del Warburg Institute e docente di storia dell’arte a Oxford. In questo breve saggio si parla della somiglianza delle fisionomie, e del riconoscimento dei volti delle persone che ci sono ― più o meno ― note.

TRISTI CONFRONTI

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di Franco Buffoni

Due notizie – naturalmente ignorate da Raiset – che contemporaneamente ci giungono da Australia ed Equador ci fanno ulteriormente toccare con mano il degrado civile e l’arretratezza politica in cui giace il nostro paese.
A Sydney il ministro australiano delle Finanze Penny Wong ha annunciato la nascita di una bambina dalla compagna Sophie Allouache, dopo una gravidanza ottenuta per fecondazione in vitro. La neonata, di nome Alexandra, è nata domenica scorsa ad Adelaide e pesa oltre tre chili. La coppia ha diffuso una foto e un comunicato esprimendo la propria gioia. Penny e Sophie conoscono il padre biologico e hanno annunciato che lo faranno conoscere alla figlia, ma anche che il suo nome non sarà reso noto ai media.
Grazie alle leggi introdotte dal governo laburista, Wong è legalmente riconosciuta come genitore della bambina con tutti i diritti di un genitore biologico: ”Non vi è nulla da temere dall’uguaglianza di diritti”, ha dichiarato il Ministro.

Senza utopia

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utopia

 utopiaAlessandro Broggi

a R.K.

Imprevedibili rimbalzi trarranno forza come processi di purificazione planetaria. Sfrenate manipolazioni delle loro attrattive si svolgeranno in assenza. Non esisteranno livelli di riferimento. Rappresentazioni astratte dell’abbondanza inghiottiranno immagini e confessioni. Come se nulla fosse convincente al di fuori di un’assoluta assenza di dettagli.

I sacrifici del capitalismo azteco

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di Daniele Ventre

Mi capita di avere tra le mani un vecchio libro di Marvin Harris, Cannibali e re (la prima edizione italiana risale al 1979,  l’opera in sé, Cannibals and Kings  – The Origin of Culture, è del 1977). La tesi di fondo, che collega l’evoluzione culturale umana alla disponibilità e alla tipologia di risorse alimentari sul territorio, per quanto abbia lasciati aperti alcuni problemi, contiene spunti di riflessione irrinunciabili. Nel variegato “umanario” socioantropologico indagato da Harris, due tipologie di figure legate alla distribuzione di risorse spiccano: i mumi, grandi uomini, capi guerrieri e dispensatori di banchetti presso gli indigeni melanesiani, e i dominatori dei dispotici imperi precolombiani in cui era pratica comune il sacrificio umano su larga scala. Harris osserva anzitutto come, dall’originario status di grande dispensatore, il capotribù evolva trasformandosi in un monarca che dell’antico donatore di beni conserva solo il nome, perché di fatto la maggior parte delle risorse sono sotto il suo controllo, avviate nel circuito di un sistema tributario e investite per lo più nell’apparato militare che consente di mantenere in piedi l’ordine statuale per come è venuto delineandosi. Ovviamente, nella sua forma ordinaria, l’evoluzione delle società primitive, che dal mumi porta al re, ha come contraltare effettivo la possibilità di una gestione mirata della produzione: il differimento dell’accesso diretto all’alimentazione implica (secondo lo scontatissimo apologo biblico di Giuseppe) la disponibilità di risorse già immagazzinate per eventuali anni di vacche magre, o quantomeno la possibilità di una ridistribuzione un po’ meno irrazionale di un surplus di prodotti destinati, altrimenti, al macero e alla marcescenza, se non alla rapina. Il caso degli Aztechi, con la loro industria del sacrificio come macellazione cannibalica organizzata, ha delle caratteristiche peculiari: per usare le parole di Harris “…l’America centrale si trovò… di fronte a un esaurimento delle risorse di carne animale più grave che in qualsiasi altra regione. La crescita demografica costante e l’intensificazione della produzione… eliminarono la carne animale dalla dieta della gente comune… La redistribuzione di carne delle vittime sacrificali può avere in effetti aumentato il contenuto di grassi e proteine della popolazione azteca? Se la popolazione della valle del Messico era di 2 milioni di abitanti e il numero di prigionieri disponibili… ammontava annualmente a soli 15000, la risposta è negativa. Ma il problema è mal posto. Il punto non è in quale misura queste redistribuzioni cannibalistiche contribuivano alla salute e al vigore del cittadino medio, ma in quale misura il rapporto costi-benefici del controllo politico migliorava sensibilimente in séguito all’uso di carne umana per ricompensare gruppi scelti in periodi cruciali. Se tutto ciò che ciascuno poteva aspettarsi era un dito o un alluce ogni tanto,  il sistema probabilmente non avrebbe funzionato. Ma se la carne veniva fornita in grande quantità alla nobiltà, ai soldati e al loro entourage, e se l’offerta veniva sincronizzata per compensare i deficit del ciclo agricolo, Moctezuma e la sua classe dirigente mantenevano abbastanza credito per evitare il crollo politico” .

Come sono finita dove sono finita

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di Stefano Zangrando

Bazzicando i siti letterari italiani negli ultimi anni era facile imbattersi in scrittori o scrittrici che andavano saggiando il cosiddetto blog come possibile nuova forma letteraria. Alcuni hanno poi dato consistenza materiale a una parte dei propri tentativi pubblicandola in volume, e rinunciando con ciò al nickname, non prima di averla adattata al medium differente. Si pensi ad esempio al Francesco Pecoraro di Questa e altre preistorie, apparso nel 2008 nella collana «fuoriformato» curata da Andrea Cortellessa per Le Lettere, o al Gherardo Bortolotti di Tecniche di basso livello (Lavieri 2009), quest’ultimo assai audace nel costringere entro limiti cartacei una ricerca sui linguaggi che nella struttura illimitata della pagina on line sortiva impressioni anche molto diverse.

Addio Daniel

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di Juan Villoro

Ho conosciuto Daniel Sada alla fine degli anni Settanta, quando stava scrivendo il suo romanzo Lampa vida.
Conservava ancora il suo fisico da calciatore, richiesto a suo tempo dal Cruz Azul e dall’Atletico Español e a cui, molti anni più tardi, ho visto compiere i lenti prodigi che onorano i campi degli ex campioni: faceva ruotare il pallone intorno alla vita.
La prima volta che ci siamo incontrati, lavorava in un magazzino per il trasporto delle verdure. Parlava delle merci con lo stesso gusto per il dettaglio e la classificazione che mostrava nello studio della retorica.

BATTAGLIE CULTURALI

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di Franco Buffoni

Scriveva Gaetano Salvemini: “Tutti in Italia sembrano aver dimenticato che la libertà non è la mia libertà ma è la libertà di chi non la pensa come me. Un clericale non capirà mai questo punto né in Italia né in nessun altro paese del mondo. Un clericale non arriverà mai a capire la distinzione fra peccato, quello che lui crede peccato, e delitto, quello che la legge secolare ha il compito di condannare come delitto. Il clericale punisce il peccato come fosse delitto e perdona il delitto come se fosse peccato. Perciò è necessario tener lontano i clericali dai governi dei paesi civili”.
Credo che mai come oggi, per comprendere il senso profondo dello scontro in atto tra chiesa cattolica e modernità, queste parole meritino di essere meditate. Che cosa significa perdonare il delitto come se fosse peccato? Significa che sul sacramento della confessione – oggi ribattezzato “della penitenza” – il cattolicesimo post tridentino ha costruito i fondamenti di quel potere che oggi il mondo moderno disconosce: il potere che concede l’assoluzione al delitto in presenza di “vero pentimento”.

I Corto Circuiti di Gigi Spina

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Paradeigma
di
Gigi Spina

Quando ho visto per la prima volta C’era una volta in America di Sergio Leone (1984), ho subito pensato che il famoso sorriso finale di Noodles/Robert De Niro ammiccasse a una chiave di lettura profonda e non evidente, alla storia del giovane gangster raccontata come un sogno, un sogno lungo tutto il film e capace di fargli intravedere un futuro amaro e drammatico. All’inizio del film, infatti, Noodles, che ha appena ‘tradito’ gli amici, si rifugia in una oppieria, dove lo ritroveremo, circolarmente, alla fine del film. Nel mezzo, nel ‘lungo’ mezzo, lo rivediamo invecchiato, 35 anni dopo, ritornare sul luogo delle sue gesta criminali, ma anche, appena ragazzo, muovere i primi passi nella difficile realtà americana a ridosso della crisi del ‘29. Una esauriente voce di Wikipedia, 13 pagine di pdf, dà conto, appunto, della Teoria del sogno (p. 7), cui sembra abbia anche accennato lo stesso Leone in una lezione al Centro Sperimentale di Cinematografia nel 1988, un anno prima della morte.

Maria De Filippi / Emanuele Kraushaar

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Emanuele Kraushaar, Maria De Filippi, Alet 2011Mi chiamo Damiano. Ho 28 anni e non me ne frega una cazzo di niente.
Da quando sono stato tronista a Uomini e Donne ancora di più non me ne frega un cazzo di niente.
Tutti mi cercano adesso, vogliono uscire con me, mi aggiungono come amico su Facebook.
Ho grandi possibilità lavorative in televisione, tutte le ragazze in discoteca mi si buttano addosso, mi lasciano il loro numero di cellulare.
Tutti mi offrono il caffè, molti mi offrono una birra, qualcuno mi offre la cena.
Una signora una mattina a Cola di Rienzo mi ha fermato e mi ha lasciato il numero della figlia.
Un pomeriggio come gli altri che non ho niente da fare la chiamo.
“Preferisci che ti mando la foto o vuoi uscire lo stesso? Dove ci vediamo?” chiede.
“Vieni da me tra due ore” dico.
Un paio di ore dopo decido di uscire per farmi una passeggiata.
Quella non troverà nessuno a casa, ma non me ne frega un cazzo di niente.

Salvataggio Splinder

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Dal 31 gennaio 2012 tutti i blog su Splinder verranno dismessi e se si usa quel servizio è quindi consigliabile salvare tutti i contenuti per spostarli da un’altra parte. Non vorrai mica perdere tutto quanto scritto in passato, no?

Fra i nostri lettori ci sono storici blog su quella piattaforma, alcuni di loro hanno fatto una migrazione completa (bravo Lucio), altri solo a metà (Georgia è un po’ di qua e un po’ di ), altri ancora perderanno tutto (alcor ad esempio, ma il suo è un blog privato). Considerando che alcuni blog sono su Splinder da oltre un lustro è triste pensare alla perdita di intere annate di lavoro.

Non è difficile fare una migrazione completa dei propri archivi Splinder, con un po’ di cura e inventiva:

  • fai login su Splinder e vai in Blog>Configura>Esporta blog e attiva redirect
  • Fai clic su Esporta i contenuti, nella sezione 1) della pagina
  • salva il file XML così generato facendo clic su “Clicca qui per scaricare il file con i contenuti del tuo blog”
  • attiva il redirect verso il tuo nuovo blog, se l’hai già, altrimenti fai questo passo alla fine.
  • Se hai caricato delle immagini su Splinder, salvale sul tuo pc.

Ora occorre avere una installazione wordpress su cui si possano aggiungere plugin. Può essere una installazione locale, un sito di prova (fai prima un backup dei dati se sono importanti):

  • fai login sul tuo sito wordpress come amministratore
  • installa ed attiva il plugin Splinder file importer di Aioros, via FTP in wp-content/plugins
  • importa il file XML da Strumenti>Importa>Splinder
  • esporta i dati appena importati da Strumenti>Esporta per ottenere un file in formato XML per wordpress: è il prodotto finale di tutta l’operazione.

Infine crea il tuo nuovo blog definitivo con wordpress, ad esempio su wordpress.com, e lì importa il file XML per wordpress che hai finalmente generato. Se il file è troppo grosso, spezzalo in più parti avendo cura di ricostruirne i tag xml.

Ecco, non è impossibile. Come fare però se non ci capisci una mazza? Meglio chiedere ad Aioros direttamente, o meglio ancora avrai pure un amico esperto di faccende telematiche: è il suo momento, chiamalo, subornalo, portalo dalla tua parte!

http://www.youtube.com/watch?v=AQB_jT9bGyU

[Le immagini ed il video non c’entrano nulla. Solo che Nina è una dea adorna di teschi e noi rematori dal viso di cuoio e cuffie di lana fradicia.]

Se il destino degli olandesi dipendesse da Scilipoti

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“Frau Nein” la chiamano ormai dalla Francia agli Stati Uniti, e i giornali più autorevoli si spremono le meningi sull’ostinazione con cui la Cancelliera continua a rifiutare gli eurobond o un intervento più forte della Bce, le sole risposte forse in grado di ripristinare la famosa “fiducia dei mercati”. Sarà a causa del trauma introiettato dell’inflazione della Repubblica di Weimar? Sarà per un retaggio protestante che presenta debito e colpa, “Schulden” e “Schuld”, come sinonimi? Gli analisti internazionali sembrano analisti di un altro tipo, mentre la stampa tedesca offre un appiglio con cui sottrarsi all’immersione negli sprofondi della finanza emotiva.

Soffiando via le nuvole

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di Gianni Biondillo

Stephen Kelman, Soffiando via le nuvole, 2011, Piemme, 292 pag., traduzione di Laura Prandino e Anna Rusconi

Guardare il mondo con gli occhi di Harri, un bambino di undici anni, giunto da pochi mesi in Inghilterra dal Ghana. Arrivato con la sorella e la madre, in una periferia urbana difficile, con il padre ancora in Africa, così lontano che al telefono sembra parli da un sottomarino.

Un modo per dirsi addio (2011): Jacopo Galimberti alla Librairie Voyelles di Torino

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da “Senso Comune” edizioni Le voci della luna.
di
Jacopo Galimberti

Perdo biro, accendini, sigarette,
ne reperisco, ne riperdo, le ritrovo
e di nascosto a me stesso
le rimetto nel loro corso materiale.

Salute! (6 prose brevi)

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di Domenico Lombardini

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Salute!

Salutava, denti bianchissimi: salute. Era venuto la mattina, dopo la flebo (i.v., metotrexato), giusto quand’ero più giù. Avrei preferito starmene solo e immobile a fissare la finestra dell’ospedale, a sentire gli uccellini, a stupirmi dello stucco vecchio cinquant’anni e cadente dagli infissi di legno… e invece no, ho dovuto conformarmi a quel lutto ante-mortem cui dovevo rispondere da vivo con la stessa faccia contrita e al contempo, in un certo qual modo faceta, le stesse intonazioni e interiezioni parafunebri della voce frammiste a certa dose di incoscienza birichina, sorrisini, riconoscenza – estrema: grazie per la visita, bacino, ciao. Sono ridicoli i morti; figurati i morenti. Badate: non c’è nessuno più cosciente di me, ora – so perfettamente cosa mi stanno facendo.

Sulle ossa di Pasolini

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di Alberto Sonego

Ho scelto il 4 dicembre, ho scelto un giorno qualunque.
Il forte vento della mattina, nel pomeriggio si placa, ed è possibile intravedere nell’aria gli odori dei piatti serviti caldi sulle tavole di quel lembo di terra dove vivo, tra Pordenone e Cordenons. Rincaso tardi al sabato, ma stavolta la tavola era già apparecchiata e le bistecche si stanno cuocendo sul fondo bollente della padella. Mia sorella è di fretta, non ha quasi nemmeno il tempo di salutare che è già di sopra a sistemarsi: alle due e mezza va ad Udine, con amici. Io lentamente appoggio lo zaino, mi levo le scarpe, ed infilato un paio di pantofole mi abbandono tra i braccioli di una poltrona troppo comoda per ritrovar la forza di alzarsi, quando mia madre mi avrebbe chiamato a tavola.
Chissà perchè si agitava tanto quella signora, che nell’auto dietro alla mia, al volante, sembrava impazzire.

Ooops, lavori in corso

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(questo articolo è stato modificato dopo la pubblicazione)

Oggi abbiamo cambiato la grafica e l’impaginazione di Nazione Indiana. Era un lavoro preparato accuratamente da tempo, ed oggi con l’aiuto di una scatola di cuneesi al rhum l’abbiamo messo in produzione. Potete aspettarvi cambiamenti e correzioni nei prossimi giorni, ma questo è il sito che vedrete d’ora in poi.

La scatola dei cuneesi è un regalo di colleghi piemontesi, ed è un semplice parallelepipedo di cartone, debitamente stampigliato, privo di qualsiasi riempitivo e zeppo di dolci incartati per circa un chilo.

Ci hanno spinto al rinnovamento diversi ordini di motivi:

sfruttare le moderne possibilità espressive di wordpress, per mezzo di un tema in grado di usare menu personalizzati, commenti nidificati, immagini di anteprima e molte altre cose interessanti;

approfittare dell’evoluzione informatica degli ultimi anni, con schermi più ampi, browser svelti e spazio per siti web più larghi e adatti a contenuti differenti.

Notate il packaging: il signor Arione suscita disapprovazione fra i pasticcieri più conservatori, per via del numero di telefono sulla confezione; di questo passo qualcuno metterà pure il suo account Twitter sui vassoi delle paste.

Un tema moderno ci permette, come dicevamo, di organizzare meglio il nostro lavoro su Nazione Indiana senza rinunciare alle comodità: quindi un flusso cronologico di articoli senza capo né coda (senza capouffici, senza obblighi, senza tetto né legge), passato attraverso una home page che diventa uno strumento di organizzazione in base ai criteri che scegliamo noi. Non abbiamo più infatti la consueta monocolonna di pezzi, ma più aree a più articoli, che in futuro possono specializzarsi in tipologie di contenuti differenti.

Il contenuto della scatola è interessante: baci di dama, cuneesi in carta verde, e cuneesi in carta rossa. Ciascuno pesa circa 30 grammi. I baci di dama hanno il sapore dei Brötle natalizi che nonna e zie mettevano a riposare in veranda per giorni prima delle feste, pastafrolla al burro riposata. I cuneesi contengono uovo, burro zucchero e rhum in quantità incompatibili con le nostre conoscenze chimico-fisiche, e sono la dimostrazione che piemontesi non si nasce, ma si sopravvive per selezione naturale.

Il tutto, tornando a noi, tollerando uno stile di pubblicazione abbastanza casuale e divertito, adatto alla nostra compagine di indiani appassionati, piuttosto ingenui e assolutamente non intruppati.

Alcune delle novità sono:

  • un sito più ampio
  • maggiore spazio per le immagini
  • commenti nidificati
  • menu di navigazione ad hoc
  • uso delle immagini in evidenza negli articoli
  • alta densità nella home

Molte altre cose non si vedono immediatamente o le stiamo capendo piano piano. Altre invece si vedono benissimo e sono tutte le sbavature, gli errori e le funzionalità mancanti, che correggiamo mano mano. Considerate il sito una beta in continuo aggiornamento.

Le cose fondamentali sono quelle che ancora non vedete, ma che potremo fare in un futuro forse vicino:

  • un sistema per pubblicare eventi senza appesantirci e con maggiore utilità per chi legge ed è nella zona;
  • un sistema di ecommerce migliore dell’attuale (ora dedito solo alle Murene), per distribuire (non necessariamente vendere) materiale digitale;
  • la possibilità di registrarsi sul sito ed avere delle piccole comodità;
  • un’area di discussione, forse;
  • e nient’altro, per ora.

La cosa che mi emoziona dei baci di dama è il loro sapore familiare ed infantile. Quello che mi sconcerta dei cuneesi è l’avvolgente intensità, il calore morbido ed alcoolico, la detonazione calorica del loro cacao. La nota divertente è il simbolo animale che il pasticciere ha scelto, freddura enigmistica  ed enigmatica.

IRPINIA TRENT’ANNI DOPO

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di DOMENICO CIPRIANO

NOVEMBRE

In luogo di discorsi, questa
è poesia su case distrutte, sulle quali altre case sorgono
ma ormai diverse dalle prime
Natan Zach

1.

trema la terra, le vene hanno sangue che geme e ti riempie.
è un fiotto la terra che lotta, sussulta, avviluppa. confonde
la terra che affonda, ti rende sua onda, presente a ogni lato
soffoca il fiato, ti afferra, collutta, si sbatte, si spacca, ti vuole
e combatti, chiede il contatto, ti attacca, ti abbatte. è fuoco
la terra del dopo risucchia di poco le crepe: la terra che trema
riempie memoria. ti stana, si affrange, ti strema, è padrona.