di Gianluca Veltri
Mariano Deidda, che canta poemi d’altri – Pessoa, Deledda, Pavese –, ama pensare che i grandi poeti abbiano scritto quei versi proprio perché lui li cantasse, né più né meno di come Mogol creava strofe per Battisti.
Senza dover ricorrere a Deidda, fautore di un’intrinseca necessità letteraria nella musica leggera (e che peraltro appartiene a un’altra leva), è forte l’impressione che i cantautori delle ultime generazioni si nutrano di suggestioni poetiche e cinematografiche in maniera più netta, o forse più evidente, rispetto ai fratelli maggiori. Sarà la ricerca di una patente, o un plus di credibilità. Certo, prima c’era De André che metteva su disco l’Antologia di Spoon River o i vangeli apocrifi. Ci sono De Gregori, Fossati, Conte e Guccini, le cui canzoni sono sempre grondanti di travasi letterari. Ma il crossover tra la musica e la letteratura, il cinema, il teatro, sembra essere una delle cifre del cantautorato – indie o meno – anni Zero.











