Dopo le proteste e gli scontri che hanno segnato la fine del regime del dittatore Ben Alì è comparsa sui muri di Tunisi la scritta: “Merci le peuple! Merci Facebook”(1). Il graffito sembra avvalorare le numerose tesi giornalistiche che nel raccontare le rivolte di questi mesi in Medio Oriente hanno spesso usato espressioni come “rivoluzioni di Twitter” o “rivoluzioni di Wikileaks”.
Questo orientamento tuttavia appare più come una riduzione di complessità riferita a eventi tanto drammatici quanto complessi. Numerosi gli interventi di esperti dei media e professionisti del settore, accademici e non, che hanno provato ad approfondire l’analisi sulle “nuove rivoluzioni”.
Rivolte virtuali.
Tra quanti hanno definito il ruolo dei social media quantomeno rilevante nella genesi dei fatti del nord Africa troviamo l’autorevole blogger politico Andrew Sullivan (2). Egli ritiene che quando i ricordi e gli accadimenti dell’ultimo anno potranno essere analizzati con più calma si noterà il contributo fornito alla causa dei ribelli da piattaforme come Twitter e Facebook. Sullivan parla a questo proposito di un aiuto importante sia per quanto concerne la mobilitazione sia la circolazione di informazioni.











Miglior trucco. Dico apparentemente perché, a parer mio, l’arma vincente dell’opera è stata proprio il maquillage ovvero l’arte dello svelare e insieme rivelare (nascondere, velare due volte) verità altrimenti disturbanti nella presa diretta. Per spiegare come e perché questo film non mi sia affatto piaciuto e soprattutto perché lo considero come l’ennesimo esempio di esperienza mancata mi sono necessari alcuni passaggi che spero non tedieranno il lettore.