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MACCHINE D’OBLIO

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di Calpestare l’Oblio

Azione poetica corale contro l’oblio delle morti migranti

Il collettivo “Calpestare l’oblio” ha ricevuto l’invito a partecipare nella notte tra Sabato 30 aprile e Domenica 1 maggio a Firenze, nel contesto della “Notte Bianca”, a Poesia in Azione. Il nostro intervento “performativo” è previsto per le 02:00 (circa) a Piazza Santissima Annunziata.
Per questa occasione abbiamo deciso di proporre agli autori di “Calpestare l’oblio” di prendere parte ad una vera e propria performance corale intitolata “Macchine d’oblio”.
Lo spunto critico è scaturito da una riflessione sul degradante scenario internazionale degli ultimi mesi, dominato dalle solite logiche di guerra e dominio imperialista mascherato avidamente da “intervento di pacificazione e sostegno alle lotte di liberazione del mondo arabo”. Da potere a potere, sulle deboli e sfiancate spalle dei civili, alle spalle della “rivoluzione”.

Per Yusuf

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di Stefano Liberti e Andrea Segre

Pochi minuti fa ci ha chiamato Yusuf Aminu Baba.
E’ un ragazzo nigeriano di 30 anni. Migrante.
E’ il protagonista di A sud di Lampedusa, il documentario che abbiamo girato insieme 5 anni fa nel deserto del Niger.
Da allora ogni tanto ci chiama, per salutarci.
Questa volta la telefonata non era uguale alle altre.
Ci ha detto: “Sono a Zuwarah, sulla costa libica, tra poche ore partirò per Lampedusa. Pregate per me. Ho bisogno delle vostre preghiere e dell’aiuto di Dio”.
Gli abbiamo detto: “Non partire, è pericoloso”. Lui ci ha detto: “Stare qui è più pericoloso”.
Yusuf partirà. Forse è già partito mentre leggete queste righe. Chissà se mai arriverà o se finirà come molti altri inghiottito dal Mediterraneo.

Architesti- uno. Davide Vargas

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La Sala della Scherma
di
Davide Vargas

il salvaschermo- effeffe

Roma è una città che non mi concede confidenze. È reticente come una donna che si morde l’angolo del labbro e decide di non parlarti. Così ogni volta ho la sensazione di un appuntamento mancato. Sarà una reazione. La sento ostile. Un flusso di gente si incanala nei percorsi sotterranei della metropolitana alla stazione Termini. Una specie di labirinto infinito tra intonachi spugnosi e anneriti, nastri che delimitano aree sventrate dai lavori, scale mobili ferme.
Ho un po’ di tempo prima della conferenza e voglio andare al Maxxi come tappa obbligata e da lì alla Sala della Scherma di Luigi Moretti. Che è la vera tappa.

La meravigliosa utilità del filo a piombo

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di Francesca Matteoni

Scrivere, oppure far dritti i muri delle case, del luogo che si abita, perché sia uno spazio il più possibile a nostra misura, dare una direzione alle idee sghembe, come un impasto che si solidifica, talvolta si fa pure sasso che si scaglia contro i vetri, apre brecce per respirare. La meravigliosa utilità del filo a piombo di Paolo Nori (Marcos y Marcos, 2011) è un libro di discorsi, scritti e “parlati”, nei luoghi più vari, dal sedile di un treno alla propria casa sommersa nel brusio delle seghe elettriche degli operai al lavoro all’esterno, ad un appartamento romano a cui suonano visitatori imprevisti (un po’ come l’uomo di Porlock per il Coleridge del Kubla Khan, con la differenza che qui il disturbatore diventa parte integrante del processo di scrittura e non causa di smarrimento, perdita dell’ispirazione), alla voce interna dove affiorano le parole, sfogliando e acquistando libri da una bancarella, o cercando il giusto paio di calzoni, “braghe” in cui stare a proprio agio, con tutto il tempo per le molteplici distrazioni/rivelazioni che nutrono il lavoro letterario.

l’Agnus Dei di Nanni Moretti

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di Chiara Valerio

Habemus papam di Nanni Moretti racconta la storia di un uomo che, più di ogni altro, deve fare i conti con le proprie debolezze, le proprie incapacità, le proprie passioni. Quelle che gli sono state negate, quelle che lo hanno indebolito, quelle che, pure, gli hanno donato, se non fascino, dolcezza. Quest’uomo, più di ogni altro, è il ruolo che ricopre. È un Amleto anziano la cui Danimarca è il mondo intero e al quale i ricordi, per il mero fatto di essere il ruolo che gli è stato assegnato, sono stati cancellati. Quest’uomo, senza più ricordi, diventa nessun uomo, quando, per il compito al quale è stato chiamato, per l’esempio che è, dovrebbe essere tutti gli uomini.

L’indomito, verso

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Che cos’è il PREMIO FALERNO primo romanzo 

Il “Premio Falerno Primo Romanzo” nasce nel 2010 dall’idea di suggellare il “gemellaggio” storico tra vino e letteratura, e in particolare per sottolineare da un lato l’importanza storica della città di Capua e dall’altra il vino Falerno, vino famoso dell’antica Roma, che ancora oggi si produce in diverse zone della provincia di Terra di Lavoro.
Il “Premio Falerno Primo Romanzo” è dedicato agli autori esordienti, la cui opera prima sia stata pubblicata in Italia dal gennaio dell’anno precedente al gennaio dell’anno in corso.
I nove romanzi d’esordio dei nuovi narratori italiani, segnalati da altrettanti testimonial provenienti dal mondo della cultura, vengono letti e valutati dalla giuria popolare, formata dai comitati di lettura collegati alle numerose librerie della provincia di Caserta aderenti al Premio, il voto di questi (entro il 31 maggio 2011) decreterà i quattro autori finalisti.
Ad ogni scrittore esordiente candidato dai componenti della giuria di qualità viene abbinata un’azienda produttrice di Falerno che accompagna il percorso del libro candidato.
La proclamazione del vincitore avverrà l’ultima sera del Capua il Luogo della Lingua festival a Palazzo Lanza in Capua il 19 giugno 2011.
Qui è possibile consultare il programma completo.
Post Scriptum
Secondo me la migliore opera prima è Ho rubato la pioggia, ed. Nottetempo, di Elisa Ruotolo, e per chi volesse saperne di più Giovedì mo che viene sarò qui a “raccontare” il perché. effeffe

[2] LE VIE DEI GRANDI CONVOGLI di Vaclav Janovič Dvoržeckij

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[ ⇨ parte prima ]


Dmitrij Dmitrievič Šostakovič [1906-1975]
Opus 40 Cello Sonata No. 2 in D min [1934] I Allegro non troppo

Introduzione, traduzione e cura
di ⇨ Anna Tellini

 
     Capitolo XII: Libertà-Schiavitù
 
     E’ difficile descrivere le agitazioni e le ansie degli ultimi giorni. Anno 1937! Arrivano “fittamente” nuovi convogli sotto scorta. Inizia una nuova “ondata” di avvenimenti. C’è ansia… impossibilità di capire, le voci sono diverse: “fanno tornare quelli che sono liberati”, “non libereranno l’articolo 58”, “aggiungono nuovi termini, tolgono gli sconti di pena…”.

Arrigoni, vilipendio alla memoria

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Come a ‘Libero’ scrivono senza verificare le fonti. Lettera al direttore Maurizio Belpietro
di Luca Galassi (da Peacereporter)
Maurizio Belpietro,
scusandomi per non aver anteposto al suo nome, che è necessario – purtroppo – citare, la parola ‘signor’, o ‘direttore’, o addirittura ‘giornalista’; vedendomi – mio malgrado – costretto a rivolgermi in terza persona al mero dato onomastico che la identifica; trovandomi obbligato a rinunciare all’esercizio della nobile arte del vilipendio (arte nella quale le lascio volentieri la primazia), e non perché lei non la meriti, quanto perché non è mio costume praticarla – sono un non violento, ahimé -, sarebbe davvero meraviglioso se, una volta tanto nella sua vita, lei potesse verificare le fonti alle quali si abbevera il suo giornale per produrre le sue requisitorie.
Le fonti si verificano, Maurizio Belpietro, perché altrimenti si rischiano figuracce. Come può il suo ‘giornalista’ Angelo Pezzana, ‘esperto’ della questione palestinese, nell’articolo scritto ieri su ‘Libero’, parlare di una persona che non ha mai conosciuto (Vittorio Arrigoni), di un territorio che non ha mai visitato (la Striscia di Gaza) e di un’attività che non ha mai visto (le azioni dell’International Solidarity Movement)? E come può farlo senza prima aver controllato le fonti che gli hanno raccontato ciò che ha scritto?

Poeti degli Anni Zero a Milano

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giovedì 21 aprile 2011 ore 21
alla Casa della Poesia di Milano
Palazzina Liberty
Largo Marinai d’Italia 1

Poeti degli Anni Zero (un’antologia)

serata a cura di Giancarlo Majorino

Saranno presenti Vincenzo Ostuni, Gherardo Bortolotti, Andrea Inglese, Massimo Sannelli e Paolo Zublena in veste di critico.

L’Illuminista, rivista di cultura contemporanea diretta da Walter Pedullà e pubblicata da Edizioni Ponte Sisto, dedica un numero monografico (anno X, n. 30, febbraio 2011, pp. 352) alla poesia degli autori italiani apparsi nel primo decennio del 2000.

L’antologia, curata da Vincenzo Ostuni, contiene testi di Gian Maria Annovi, Elisa Biagini, Gherardo Bortolotti, Maria Grazia Calandrone, Giovanna Frene, Marco Giovenale, Andrea Inglese, Giulio Marzaioli, Laura Pugno, Lidia Riviello, Massimo Sannelli, Sara Ventroni e Michele Zaffarano.

L’antologia di Ostuni ha suscitato vive polemiche, ma costituisce un lavoro di documentazione e vaglio critico dei poeti emersi dopo il 2000 assai articolato e ricco, tale da costituire uno strumento importante per chiunque voglia ragionare su forme non epigonali di scrittura poetica.

Verifica dei poteri 2.0: Enrico De Vivo

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[Enrico De Vivo risponde alle Cinque domande su critica e militanza letteraria in Internet a proposito di Verifica dei poteri 2.0; qui le risposte precedenti]

1. Le linee fondamentali di questa ricostruzione ti sembrano plausibili?

Probabilmente è presto per storicizzare in maniera credibile i rapporti tra letteratura e web – ammesso che si tratti di un tema degno di essere storicizzato. Ci vuole ancora del tempo, affinché si sgombri il campo da passioni rivendicative e aspirazioni alla legittimazione, che non aiutano il giudizio critico né il racconto. Ad esempio, la rivista “Zibaldoni e altre meraviglie” (www.zibaldoni.it), liquidata in poche battute, in realtà ha contribuito in questi dieci anni a mettere in contatto virtuoso generazioni di letterati molto lontane tra loro anche anagraficamente, andando oltre la stucchevole dicotomia tra “dentro” (di solito i “giovani”) e “fuori” (di solito i “vecchi”) dal web.

Il portavoce

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Il portavoce  / Ugo Coppari

Già da ragazzi tutti e tre avevano le idee ben chiare. Matteo voleva fare il calciatore, Giovanni l’astronauta e invece Luca voleva fare il portavoce. Ma non si era mai chiesto di chi o di che cosa.

Continuava a raccontare di un politico che una volta si era messo nei guai, e che per risolvere questi guai aveva mandato in televisione un portavoce che parlasse al posto suo. Questo portavoce aveva dei modi di parlare e di gesticolare affabili, riusciva a convincere chiunque che le sue affermazioni non fossero punti di vista sul mondo ma veri e propri sillogismi logici. Ad esempio Luca diceva che è normale supporre che se uno va veloce con la macchina lungo una strada di campagna, e che se tutti quelli che vanno veloci possono mettere a rischio la vita altrui, tutti quelli che vanno in campagna possono mettere in pericolo la vita altrui. Ma i suoi amici continuavano a credere che in realtà Luca fosse proprio scemo, perché continuava a parlare coi sillogismi logici che gli avevano messo in testa i portavoce dei politici che si erano messi nei guai.

Discorsi da bar

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di Antonio Sparzani

la prima volta che andai ad Amsterdam, con un’amica, insistetti per cominciare la visita andandoci a sedere in un bar, con i tavolini all’aperto, dai quali si vedesse un qualche scorcio di città. Ma tu, dice l’amica, le città devi assaporarle? Sì, rispondo, così è il mio modo, stare seduti in un bar a guardare la gente come si muove cosa dice, i gesti, le occhiate, gli intercalari, i sorrisi, sentire i discorsi, scambiare banalità, o non solo banalità, così, con fare distratto, che sembra da nulla e invece.
O anche, com’è successo ad Amsterdam, quello di stare appoggiati al parapetto di uno dei tanti canali che attraversano tutto il tessuto urbano e guardare e chiacchierare con leggerezza, tanto che quella volta appunto mentre eravamo così appoggiati, vicini alla nostra Volkswagen rossa, un tipo comincia a farci segno da una finestra, ma come, proprio a noi, sì, fa quello con la testa ed il braccio, a voi, venite su un momento

Tutto in un calcio (minuto per minuto)

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di
Milena Prisco

Le squadre si stanno studiando. Abbiamo un possesso palla lento, ho la sensazione che si stiano muovendo in orizzontale, Maggio sulla destra mi sembra fermo, è troppo marcato e non riesce a muoversi senza palla. Riprendo a leggere il testo del contratto preliminare ad alta voce conducendo il gioco per l’ultima lettura delle settantasette pagine oltre allegati. Mi sembrano tutti assenti, ne ho sette di fronte mentre sulla mia panchina ce ne stiamo io e la mia praticante, gli altri in campagna o al mare o in montagna o allo Stadio ma di certo non qui: bastardi. Cercano di glissare, di tornare alla versione di ieri, della Clausola 1 quella delle definizioni, della partita a scacchi, quella che se fai cilecca anche fra dieci anni l’effetto si materializzerà davanti a un Tribunale anche se fosse dall’altra parte del mondo, anche se solo per una “s” finale di un sostantivo plurale in inglese persa nella fretta di una battuta in meno sulla tastiera ormai consumata. Attaccano in quattro come la Juve in questo momento: due sulle fasce e due al centro.

9 POESIE DI JÜRGEN RENNERT

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Jürgen Rennert è nato nel 1943 a Berlino-Neukölln e dal ’53 ha vissuto nella DDR. Poeta, saggista e traduttore, si occupa di cultura ebraica e di letteratura yiddish moderna (di cui traduce, tra gli altri, Mark Rasumny, Scholem Alejchem e Isaac Bashevis Singer). È presente, in traduzione italiana, nell’antologia 100 POESIE DALLA DDR, curata da Christoph Buchwald e Klaus Wagenbach (Isbn, 2010), con il primo testo di questa selezione: Mein Land ist mir zerfallen.
I tre testi iniziali, tratti dalla raccolta Verlorene Züge (2001), indagano la complessa vicenda tra il singolo e il sistema politico in cui egli si muove, lì dove l’ingranaggio del potere agisce sul comportamento dell’individuo, alienandolo – di volta in volta – alla sua “ragion di stato”, “verità” collettiva, e follia omicida.
Seguono poesie da Märkische Depeschen (1976), dove domina un sentimento mitico-religioso dell’esistenza, che, dall’estraniazione individuale alla memoria collettiva, reca tracce di una “resistenza” umana e naturale al perenne incombere del “male”.
Infine, l’ultimo testo, tratto da poesie per bambini dal titolo Emma – die Kuh, esprime la necessità del “respiro”, nonostante tutto. (Davide Racca)

traduzioni di Davide Racca[1]

da Verlorene Züge (2001)

Si è dissolto il mio Paese

Si è dissolto il mio Paese.
Liquidato il suo potere.
Contro ogni ragione
levo un lamento.

DIFFERENZE ALLO SPECCHIO

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di FRANCO BUFFONI
Nel Maghreb “zamel” è il termine più volgare per definire l’omosessuale, naturalmente passivo (non esistendo il concetto di omosessuale attivo, ritenuto un maschio e basta). In arabo classico, invece, zamel (con accento sulla prima sillaba) significa “colui che sente freddo”. Il termine ricorre in alcuni versetti del Corano, in particolare quelli in cui Dio si rivolge a Maometto ordinandogli di destarsi e di procedere alla predicazione del suo messaggio. Nei primi giorni giorni della rivelazione – trasmessa dall’arcangelo Gabriele al Profeta – infatti, questi – sorpreso e impaurito – tornava a casa e ordinava alla moglie di avvolgerlo nelle coperte, perché si sentiva “freddo” a causa della copiosa sudorazione causatagli dal terrore. Pertanto, nel Maghreb, maestri coranici e insegnanti evitano accuratamente di leggere i versetti contenenti tale termine per non suscitare ilarità e sconcerto tra i giovani allievi.
La mia non-fiction novel intitolata Zamel, apparsa presso Marcos y Marcos nel 2009, rispecchia il proposito non di inventare storie verosimili, ma di raccontare la realtà come se fosse una storia verosimile. Si incontrano sulla terrazza del Zephyr a La Marsa sulla costa tunisina, Aldo cinquantenne romano – ritiratosi a vita privata “in quest’angolo di paradiso” – e Edo, trentenne milanese, in vacanza per una settimana. Edo, impegnato nel movimento lgbt per i diritti civili, sta scrivendo un libro sulla cultura omosessuale, e – conversazione dopo conversazione – ne racconta all’amico il contenuto. Aldo pensa, sente, preferisce in modo tradizionale: si deve agire; non se ne deve parlare, se non svagatamente per ingelosire le “amiche”.

La CanGura

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di Lello Voce

La CanGura nasce dal suo balzo.
Partorita dal movimento, è la mossa che mette rizoma, le sue zampe sono ali al suo volo, la sua coda è ciò che la fa avanzare.
La CanGura è lo spericolato, acrobatico salto in avanti, il coraggio che mancava, la ricerca dei luoghi che hanno fame di sogni, il desiderio di sfuggire all’orbita, guizzo dopo guizzo, oltre l’ottusa gravità fatta di sordità accademica, di mutismo che sa solo andare a capo, di cecità editoriale che striscia, serpentina e biforcuta, tra un mainstream e l’altro, grigia come un sorcio.
La CanGura è la sua coda terragna, che bilancia il volo, l’ala invisibile che la fa decollare: tra terra e cielo, in terra e in cielo, qui e là, con la presunzione imperdonabile di colpire infine il centro, il cuore, il nòcciolo della questione.

Grano blu, un fumetto di Anke Feuchtenberger. Segno, senso e significato.

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di Mariagiorgia Ulbar

Non so quale sia il nume che controlla le deformazioni della mente che ci rendono un tipo di lettore oppure un altro, quale sia il nume che regola il nostro personale Parnaso di ricezione di un’opera. Ma se non volessimo andare a scomodare gli dei arrischiandoci in domande –possibili peccati di Hybris, possiamo metterci a scavare nel territorio terroso della teoria della ricezione, interrogare e trovare reperti che ci rispondano: un’esperienza personale, un fatto di storia, un rito, il mito, l’appartenenza ad una tradizione letteraria, l’individuale capacità di sogno o visione, altrimenti detto: la pesca paradigmatica nel pozzo del sé e la spontanea reazione del nostro cervello che crea immagini rispondendo ad uno stimolo.

Gli invisibili: Vittorio Giacopini

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Vittorio Giacopini, a cui ho dedicato qualche tempo fa una puntata della mia rubrica dedicata ai libri (e ai loro autori) ha appena pubblicato un nuovo romanzo, L’arte dell’inganno, per le edizioni Fandango. Così gli ho chiesto di poter pubblicare su NI un’anticipazione, che spero spinga i nostri lettori a procurarsi il libro quanto prima. Di Vittorio Giacopini mi piacciono tre cose: le storie che racconta, lo stile con cui le narra e la faccia, la faccia di uno scrittore su cui non ci leggi, la carriera, d’abord! effeffe

Gli anni di apprendistato
di
Vittorio Giacopini

Ma il bambino senza nome non lascia alcuna traccia di sé, svanisce presto. Stolp (oppure Chicago, Frisco, Schwiebus, cosa importa?) resta come l’impronta – il negativo – di un’infanzia postulata e inevitabile. Nei suoi libri “americani” – La rosa bianca e quell’ultimo, bizzarro grande romanzo forse apocrifo, Aslan Norval (Il canale) – Traven si farà sempre beffe di strizzacervelli e terapie psicanalitiche (lussi per ricchi, intrattenimenti per la borghesia affluente, cretinate) ma ancora una volta sarà un modo per parlare di sé, senza fiatare. Provate a scrutarci, provate a rovistarci dentro l’inconscio di uno che non è stato bambino, sapientoni! Barricato nel suo eterno refrain – “la biografia di un autore non ha nessuna importanza. Se non si capisce chi è l’uomo dalle sue opere, delle due l’una: o l’uomo non vale niente o ha scritto soltanto roba da niente” – tuonava contro lo stupido mondo petulante, ribadiva le distanze, si astraeva.

Restiamo Umani

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Hanno giustiziato Vittorio Arrigoni.

(Era stato rapito  nella Striscia di Gaza da un commando estremista salafita non meglio identificato. Il suo corpo senza vita è stato trovato in un appartamento di Gaza City dai miliziani di Hamas diverse ore prima della scadenza dell’ultimatum che i sequestratori avevano fissato alle 16 di oggi).

Sconcerta e fa riflettere quanto si legge su Invisible arabs in merito alla morte di Vittorio Arrigoni e di Juliano Mer Khamis. Tanto più che: «Fonti ufficiali del governo di Gaza hanno dichiarato alla nostra redazione (infoPal) che non esiste alcuna organizzazione legata ad al-Qa’ida a Gaza»

Perché è stato ucciso questo giovane intellettuale italiano, attivista per i diritti umani dell’International Solidarity Movement?
Che il lutto per questo assassinio non sia anche il lutto della verità.

Vittorio Arrigoni: Restiamo Umani

[1] LE VIE DEI GRANDI CONVOGLI di Vaclav Janovič Dvoržeckij

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Dmitrij Dmitrievič Šostakovič [1906-1975]
Opus 107 Cello Concerto No. 1 in E flat major [1959] Moderato

Introduzione, traduzione e cura
di ⇨ Anna Tellini

Noi non eravamo terroristi, anarchici: noi leggevamo

     Cinque ragazzi di 18-19 anni si riunivano la sera per leggere ad alta voce Hegel, Schopenhauer, Spencer, I demoni. Per parlare di libertà di pensiero; di libertà di coscienza, di parola e di stampa. Nessun programma, nessun piano.

Gregorio

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di Rinaldo Censi

Gregorio (Grigorios Kapsomenos, ma per tutti era Gregorio) prendeva il caffè, non prima di averlo fatto raffreddare per qualche ora. Teneva le tazzine sotto il bancone della libreria, che gestiva con Marta, la sua compagna di una vita (vedo ancora – è una scena che mi ha fatto spesso sorridere, a pensarci bene – Marta che gli intima di abbassare la radio… vedo la fermezza e, in risposta, quella specie di borbottio che è segno di un’intimità e di un’intesa che immagino totale: piccole screziature che lasciano trasparire grande affetto).