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La lingua

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di Gianni Agostinelli

C’è un’immagine che mi tormenta. Un tizio ritto in piedi che si tocca la punta del naso con la punta della lingua. Lo stava facendo con totale naturalezza davanti a una ragazza, mentre quella parlava. L’ho visto coi miei occhi, nel 2005.
Stamani mentre faticavo a infilarmi i calzini stavo pensando proprio a lui. Vai a sapere perché. Questo tizio mi torna in mente a intervalli regolari, non tanto ravvicinati ma abbastanza frequenti da farmi dire ad alta voce “basta”.
“Basta cosa?”
“Niente” dico a mia moglie. Che la chiamo moglie anche se non siamo sposati, però mi vien meglio dire moglie che compagna di vita, o solo compagna, o coinquilina, o fidanzata, che ormai i tempi dei fidanzatini son passati, o qualcos’altro. Magari posso chiamarla col suo nome, ma è brutto e non glielo cambio qui, neanche per finta. Sono un tipo onesto.

CROCIFISSI E SCONCERTATI

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Un prato sterminato, un mare di fango, 5000 ragazzi. No, non è Woodstock, ma il santuario del Divino Amore, a Roma. Le note che accompagnano la giornata non sono quelle di Jimi Hendrix, ma del musical della Star Rose Academy, fondata dalle suore orsoline e guidata da Claudia Koll, ormai lontanissima dalla versione “Tinto Brass”. Il tutto sotto l’occhio vigile di monsignor Lorenzo Leuzzi, direttore della Pastorale universitaria e neo cappellano di Montecitorio. Anche lui infangato fino ai polpacci. E no, non è nemmeno la giornata mondiale della gioventù promossa dal Vaticano, ma un appuntamento organizzato dall’ufficio scolastico regionale col vicariato di Roma per orientare i maturandi di tutte le scuole del Lazio (pubbliche e private) alla scelta universitaria.

Il luogo, aveva comunicato il ministero a tutti i dirigenti scolastici, non è scelto a caso, ma “sottolinea l’intento” del convegno. Perché “il santuario del Divino Amore è meta tradizionale di pellegrinaggi che si svolgono soprattutto di notte (…). Il pellegrinaggio, lungo cammino attraverso la notte, è evocativo di un messaggio simbolico per i nostri giovani: la vita che viviamo e che costruiamo incontra momenti di buio e sforzo, soprattutto quando si affrontano scelte importanti”. La circolare si concludeva prevedendo addirittura che “le istituzioni scolastiche, nella loro autonomia”, valutassero “l’opportunità di riconoscere la partecipazione degli studenti come credito formativo”.

Andiam, andiam, andiam a guerreggiar

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di Antonio Sparzani

Ormai è così: le parti della nostra Costituzione più innocue si tengono senza problemi, quelle che servono per una qualche lotta politica interna si usano per l’appunto per questa lotta, quelle che sono scomode per tutti gli schieramenti “importanti”, sono cioè scomode bipartisan come orribilmente si dice ormai, semplicemente si trascurano di comune accordo, si trascurano bipartisan, e morta lì.

Mi riferisco al famoso ma ormai di comune accordo dimenticato articolo 11, di cui già parlavo qui, obiettando all’autorevole opinione di Giuliano Amato il quale appunto sosteneva che la guerra ‒ non le missioni “di pace” o “di polizia internazionale” ‒ è permessa dalla nostra Costituzione ed anzi, in alcuni casi, richiesta. Forse tale autorevole opinione ha fatto scuola, ha fornito un bell’alibi teorico a tutti quanti così che il piacentino segretario del partito democratico non ha avuto neppure mezzo dubbio a schierarsi con il buon senso internazionale, per farla vedere a quel bieco di Gheddafi (in verità Muʿammar al-Qaḏḏāfī ) e, in questo clima di festeggiamenti dell’unità nazionale, ad avallare senza discussioni la posizione del governo in carica. Il quale governo in carica ha come ministro della difesa tale Ignazio La Russa, sulla cui educazione sentimentale nessuno ha dubbi, naturalmente,

Il sacrificio di Fukushima

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di Marco Rovelli

Connesso di continuo in questi giorni, a seguire gli sviluppi del disastro giapponese. I sensi all’erta, il pericolo che ci minaccia. Una nube, ancora. Una nube che sfugge, inafferrabile, senza riguardo per frontiere e religioni. Incarnazione tangibile (nella sua intangibile numinosità) dell’essenza perversa del capitalismo globale. Poi, nel cuore del disastro, la vicenda dei cinquanta tecnici della Tepco che hanno scelto volontariamente di restare nella centrale di Fukushima a fronteggiare la catastrofe. Che hanno scelto la morte. A fondo perduto, prima di tutto, nonostante ogni ragionevole considerazione: se l’amore è qualcosa è questo, la responsabilità a una chiamata, la coscienza del senso di sé che non si esaurisce nel sé.

Per un nuovo spirito (del/la) Comune [nel 140° anniversario]

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Ci sono anniversari iper-celebrati, altri dimenticati. Oggi sono passati 140 anni dallo scoppio della rivolta comunarda parigina. Quando Lecomte voleva far sparare sulla folla per prendersi i cannoni di Montmartre e i soldati fraternizzarono con la folla e con la Guardia Nazionale. Pubblico il video della canzone (con i disegni di Otto Gabos a illustrarla): La Comunarda, il cui testo fu scritto da me e da Francesco Forlani, immaginandoci una storia d’amore sulle barricate – perché la rivolta ha sempre in sé una smisurata promessa d’avvenire. mr

per non restare stupida – un romanzo di formazione

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di Laura Barile

Si vede una bimba in un costumino a righe degli anni trenta, capelli al vento, colta nel balzo delle lunghe gambette che salta ambedue gli scafi del patino: spiaggia di Riccione. E’ la foto di Luciana Castellina in copertina del suo La scoperta del mondo (nottetempo 2011). Il libro, autobiografico, è giocato su un diario ritrovato su quaderni di scuola di se stessa fanciulla (vedi foto dell’autografo nelle illustrazioni). I vecchi quaderni, in corsivo, costituiscono il filo rosso, il racconto dal vivo, intorno al quale sorgono altri ricordi, riflessioni, battute, commenti, quasi un dialogo mai nostalgico ma sempre intelligente e spiritoso, della Castellina di oggi.

The Atomic Cafe

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The Atomic Cafe (1982) è un film di compilazione costruito su materiali d’archivio americani risalenti agli anni ’40, ’50, ’60 (Newsreels, esperimenti militari sull’atollo di Bikini, programmi televisivi, pubblicità progresso ecc.). Per i registi – Jayne Loader, e i fratelli Kevin e Pierce Rafferty – cinque anni di lavoro duro alla ricerca di materiali dedicati all’atomica e alla causa nucleare (vantaggi e – ebbene sì – qualche leggero effetto collaterale).
Avevo cercato on line Crossroads di Bruce Conner (1976), realizzato con materiali militari, sempre legato agli esperimenti di Bikini, un montaggio strabiliante e “critico” sull’effetto esplosivo e detonante dell’atomica. Senza successo. (Sul sito www.archive.org potete invece trovare vecchi filmati degli anni ’40 / ’50 sugli effetti della bomba.) The Atomic Cafe è forse più vicino a Kubrick e al finale di Doctor Strangelove (1964). Non ricordo se anche qui compaia la canzone We’ll Meet Again. Ma l’uso della colonna sonora (in particolare di You Are My Sunshine) concede l’azzardo di un paragone.
(rinaldo censi)

APPELLO PER UN NUOVO RISORGIMENTO

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di Giacomo Sartori

Lo stato nazionale italiano è il frutto di un vasto (a dispetto di quel che si insinua) movimento di idee e di passioni, il cui minimo comune denominatore, oltre che la liberazione dall’invasione straniera, era l’aspirazione alla libertà individuale e alla dignità della persona: il Risorgimento. La crisi attuale di questa nostra Nazione, della quale festeggiamo ora il 150° compleanno, è sotto gli occhi (e la penna) di tutti. Ed è ormai chiaro che una sua rinascita, in continuità con i valori risorgimentali, gli stessi che hanno ispirato la liberazione dal fascismo, e dalla quale è nata la Costituzione, non potrà realizzarsi nel quadro della politica attuale. Né questa sinistra catalettica né questa destra adulterata (non sto negando le differenze tra destra e sinistra, non mi si fraintenda), sapranno proporre una qualsivoglia soluzione, senza un risveglio e il pungolo di una larga banda di cittadini, senza l’intervento trainante di individui che si battano per quegli stessi ideali dai quali è nato il nostro stato unitario e indipendente. Mi permetto insomma, dall’alto della mia abissale ingenuità di narratore (non ignara tuttavia di quanto è stato scritto nel corso di due secoli sul carattere degli italiani, e quindi scientemente velleitaria, ma alla luce di qualche recente sintomo forse anche realista), di vagheggiare un nuovo Risorgimento.

Gli attori principali di tale nuovo Risorgimento, che per comodità chiamo “noi”, saranno i seguenti:

1) le donne a cui ripugna l’avvilimento mercificato del corpo femminile propugnato dal Presidente del Consiglio e dai suoi seguaci, e che non intendono avallarlo in alcun modo; il loro Risorgimento consisterà nel rifiutarsi di assistere all’offesa quotidiana e rituale della loro dignità più intima, spegnendo la televisione al primo scosciamento o decerebramento vaginale, e impedendo ai loro congiunti e familiari di sesso maschile di fruirla; e naturalmente facendolo sapere, dispiegando per esempio alla finestra un drappo rosa: chi passerà capirà; sappiano far capire che questa loro lotta, beninteso estesa alle strade e ai luoghi di lavoro, è in difesa della loro libertà, anche appunto sessuale, di cittadine e di donne per nulla inibite;

Dal paese guasto. Partitura per un inizio

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di Marco Rovelli

[Nel giorno dell’Unità d’Italia, viene presentato a Milano il nuovo numero dell’Ulisse, dedicato al paese guasto. Pubblico il poemetto che ho scritto per l’occasione, contando di pubblicare poi – quando l’avrò – la versione musicata]

Guasto:
s’inceppa, s’incanta,
torna su se stesso come un paradosso
un gorgo senza fondo, sterminato
termine infecondo:
guasto
senza riscatto, fino al midollo
molcito, fradicio, impestato:
guastato.
(Inutile agitarsi, signora, non funziona!
Vani ‘sti suoi sforzi d’aggiustarlo).
Il marcio sta nel cavo, nel vuoto
che sorregge l’armatura
ponteggio senza gambe né puntelli:
tutti ‘sti fratelli di un’Italia ch’è molesta
– s’è mai desta? – notizia fragorosa, questa

SIGISMUNDUS

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Anticipiamo un estratto dal romanzo 1977 di Gianni D’Elia, edito con una nota di Roberto Roversi dalla “Sigismundus Editrice” di Ascoli Piceno, che il 19 marzo inaugurerà le proprie attività editoriali. Il catalogo di Sigismundus (www.sigismundus.it) si apre anche con il nuovo libro di Davide Nota, La rimozione. (ndr).

di GIANNI D’ELIA

le mani è stato il viaggio delle mani viola piccine della nascita fino allo scheletro la musica distorta mi sono svegliato cominciando a filmare le mani che si aprivano poi il tempo è volato è stata l’alba in cinque minuti sono uscito la campagna intorno era dolcissima la prima luce aranciata mielosa visti di spalle Nanni e Vito abbracciati la maglia a strisce orizzontali bianche e rosse stupenda stagliata e sotto la collina tutta la città stesa e il mare ho baciato le scorze dei piccoli pini davanti alla tettoia della casa ero eccitato la corteccia odorava e sapeva di resina era sensuale polposa l’erba madida di guazza del praticello mi sono accoccolato l’ho carezzata strofinata con la testa con le mani da così vicino le gocce tramavano ostinate in cima ai fili le scrollavo poi a correre come un pazzo cercavo un dono da fare ai due amici le scarpe e i calzoni zuppi tra le erbe alte e i ciliegi la scorza marcia di un albero tagliato il legno rosa marcito di un ceppo tra tante cose belle che potevo donarvi proprio questa ho detto porgendo quel poco di sughero farinoso ai due

DISUMANIZZAZIONE

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di Antonio Sparzani

Quando nei lontani anni sessanta mi laureai in fisica, la famiglia e il parentado e anche alcuni amici erano tutti stupiti e ammirati e chiedevano, sbarrando gli occhioni, fisica nucleare? E io ad affannarmi a rispondere che no, che io mi ero laureato in fisica teorica, e anche specializzato così e che no, fisica nucleare no, e tutti vagamente delusi a dire ah ecco, già, io credevo, ma cos’è, insomma, ecc.

La fisica teorica ha un suono meno importante e meno mediaticamente interessante, mentre la fisica nucleare, quella sì che si sa cosa possa servire. Appunto. Non è mai stata la mia passione, non ho mai neppure dato l’esame di “fisica nucleare” o “istituzioni di fisica nucleare” fondamentali per un altro indirizzo. Ma anche se così fosse, se avessi seguito un indirizzo “più nucleare”, dovrei confessare qui che chi davvero è in grado di mettere le mani nella costruzione di una centrale è un ingegnere nucleare cioè uno di quelli che ha una formazione che gli permette di progettare un complesso di apparecchiature in grado di far funzionare davvero un impianto nucleare.

Perché, sapete, cosa sia una centrale nucleare è facile a dirsi a grandi linee: è un impianto che produce acqua calda,

Classifiche pordenonelegge-Dedalus Opere tradotte 2010

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Per la Classifica delle Opere tradotte si vota una sola volta l’anno (tra dicembre e gennaio). È stato possibile votare per opere di narrativa e poesia tradotte per la prima volta in italiano nel 2010 (escluse, quindi, ritraduzioni o nuove edizioni). Le opere tradotte, inoltre, non devono essere apparse in edizione originale prima del 1950.

Seguono le Classifiche tre “dichiarazioni di voto” di altrettanti lettori e lettrici (Azzurra D’Agostino, Riccardo De Gennaro, Roberta Salardi).

Narrativa

1) Roland Barthes, Dove lei non è, Einaudi, p. 48
(trad. Valerio Magrelli)

2) Michel Houellebecq, La carta e il territorio, Bompiani, p. 46
(trad. Fabrizio Ascari)

3) J. M. Coetzee, Tempo d’estate, Einaudi, p. 27
(trad. Maria Baiocchi)

I giornaletti

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un vacuo ragionamento attorno alla visione delle fotografie di Benjamin Béchet di Gianni Biondillo

Ognuno ha l’immaginario che si merita. O forse, più semplicemente, quello che si è trovato fra i piedi. Fossi cresciuto in un’altra epoca, chissà, avrei eroi differenti, mitologie più auliche, referenti più alti. Io sotto i banchi di scuola, alle elementari, non nascondevo dallo sguardo accigliato della mia maestra libelli rivoluzionari o romanzi magniloquenti ma i fumetti sgualciti dei supereroi americani. I giornaletti, li chiamava la maestra, spregiativa. Il mio mondo fantastico ha preso il volo lì, di nascosto dalle autorità scolastiche. In casa poi dato che non c’erano libri, figlio del sottoproletariato urbano, già il fatto che leggessi avidamente quei fumetti mi faceva sembrare strano, persino un po’ eccentrico, agli occhi di molti.

Seak sick sic

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di Jacopo Galimberti

Sono un poeta e uno scrittore collettivo. Per due anni ho lavorato a un romanzo storico insieme ad altri 99 scrittori. Sappia il lettore che nel 2007 Gregorio Magini e Vanni Santoni hanno inventato un metodo di scrittura collettiva, detto “metodo SIC”: il sito dedicato a questo lavoro plurale ha prodotto sinora una manciata di racconti a dieci/dodici mani, tutti scaricabili con licenza copyleft, ma il vero, decisivo stacco è avvenuto nel febbraio del 2009, quando il gruppo di scrittori coagulatosi attorno al progetto SIC ha lanciato in rete l’idea di un romanzo che abbracciasse un numero più ampio di partecipanti―ci si augurava almeno cinquanta. Contro ogni aspettativa, la proposta ha ricevuto un numero di adesioni esorbitante, arrivando a oltre duecento iscritti, tra cui io stesso. Duecento iscritti che si sono subito dimezzati quando è stato chiaro che non si trattava di un giochino, di uno di quei divertissement letterari che fioccano in rete, ma che ci sarebbe stato da scrivere davvero, intensamente, molte pagine, per molti mesi.

150 anni di memorie divise – Dialogo del Centro TraMe con John Foot

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a cura del Centro TraMe

John Foot ha dedicato e dedica tuttora le sue ricerche al nostro paese e alla sua storia recente nei suoi vari aspetti: dallo sport (Calcio 1898-2007. Storia dello sport che ha fatto l’Italia) alla storia delle città italiane (Milano dopo il miracolo. Biografia di una città) fino all’analisi delle vicende politiche. Nel 2009 ha pubblicato il libro Fratture d’Italia, in cui racconta le “memorie divise” sviluppatesi attorno agli eventi più importanti della storia del paese – dalla Prima Guerra mondiale fino agli anni di piombo – a partire dall’analisi di varie pratiche di memoria (targhe, monumenti, anniversari e commemorazioni).

[Nei mesi scorsi su AlfaBeta2 Slavoj Zizek e Alexander Stille hanno parlato dell’“anomalia Italia”. E su questa espressione è ritornato qualche settimana dopo Donald Sassoon sul Sole24Ore. Lei stesso apre il suo Modern Italy (2003) citando Peter Lange: “Che cosa rende l’Italia un caso di difficile classificazione?”. Tutto sommato gli inglesi a volte discutono ancora su quale nome usare per designare la loro nazione e per decenni hanno fatto i conti con l’IRA; gli spagnoli elaborano ancora il doloroso passato franchista, cercano di gestire forti spinte secessionistiche interne e qualche settimana fa hanno ricordato i trent’anni dall’ultimo tentato golpe militare; il Belgio sta attraversando una profondissima crisi politica che ne minaccia la stessa esistenza. E infine la riunificazione della Germania non sembra essere andata di pari passo con quella dei tedeschi.]

Allora, a 150 anni dall’unità, in che senso l’Italia rimane tra le nazioni europee l’anomalia di “difficile classificazione”?

L’intervista continua qui.

 NUVOLE 

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Attraverso una terra di chi

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di Azzurra D’Agostino

Attraverso una terra di chi

attraverso una terra di chi
passiamo noi, noi la schiera
del coro scrostato del dipinto,
i musi ottusi degli armenti
ammassati tra i marmi,
una trafittura nella scorza
della pietra – un graffio.

Recensione a un libro non letto

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di Marino Magliani

Sono, ero, un appassionato di calcio. Sono, ero, un grande appassionato di calcio, ma strano, uno di quelli che non andavano allo stadio. Ci sono entrato poche volte nella vita. Una per tutte: mi trovavo in Spagna, un amico argentino mi convinse a investire in una partita, comprammo una decina di biglietti per rivenderli il giorno della partita (giocava il Barcelona contro El Real) sarebbe stato un gioco. Una cosa facile, il mio amico ne era sicuro. Era l’autunno, avremmo saldato un debituccio che avevamo entrambi col padrone della pensione. Ci andò male, il giorno in cui giocarono pioveva e Maradona rimase in tribuna per infortunio. Col mio amico andammo allo stadio e ci sedemmo, distanti, le braccia larghe a occupare i posti che ci erano rimasti. Partite non ne vedevo, alla tele sì, o a parlarne, che è un po’ come vederle, forse, rigiocarle. Ore e ore a parlare di calcio. Se sapessi parlare di letteratura come lo so, lo sapevo, fare di calcio, sarei direttore di ttl.

Sulla spiaggia di Ez Zauia

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di Natalia Castaldi

La conta dei morti nella piazza
di Ez Zauia sfidava il rosso
dei pomodori allineati nel cortile
le mosche ronzavano il canto funebre
delle carogne
.
cercavo di dirti una parola
ma correvano forte troppo forte
e gridavano via anche la mia voce
che si spegneva corta sul tuo viso
.
avrei voluto trovare fiato da soffiare al sangue
pomparti il cuore dirti che ancora dovevi lottare
.
mi trascinarono via ancora in ginocchio
uno per braccio
vedevo solo polvere [polvere e rumore

“Il paese di Dio” di Percival Everett

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[Esce oggi in libreria il nuovo romanzo di Percival Everett, Il paese di Dio (Nutrimenti, 16 euro), di cui pubblico un estratto dal primo capitolo. Come nel precedente Ferito, Everett lavora sul rovesciamento dei cliché del western, stavolta con il suo feroce umorismo, concentrato sul peccato originale americano: l’identità dei neri e degli indiani d’America prevaricati dai coloni, la radice dell’odio e dell’intolleranza. m.r.]
***
Il saloon era una topaia con qualche finestrella e le porte a vento che cigolavano ogni schifosissima volta che le aprivi. Quando siamo entrati ormai s’era fatta sera e le poche lanterne accese proiettavano una luce giallastra ancora più sconfortante del buio. Blind Mitch, il pianista negro, pestava i tasti che ancora funzionavano al ritmo di una giga quasi impossibile da fischiettare. Mi sono appollaiato al bancone accanto a Wide Clyde McBride. Puzzava da fare schifo e mi è venuto il dubbio che pure io non dovessi essere fragrantissimo, cribbio. Poi Terk mi ha piazzato sotto il naso un whisky e mi sono detto che se un uomo non può puzzare di merda in una taverna piena di uomini che puzzano di merda come lui, per di più imbottiti di alcol, allora dove andremo a finire. Mi sono scolato il bicchiere e mi è venuto un accesso di tosse.

natural born gay

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di Silvia Bencivelli

Io non ho niente contro i gay: ho persino un amico che lo è. Persino. Certo che potrebbe manifestarlo un po’ meno, eh. Perché un gay lo riconosci a occhio: come nei cinepanettoni, sculetta, si agita e lancia gridolini entusiasti. Se è femmina probabilmente ha la moto, ascolta Gianna Nannini e gioca a calcetto il sabato pomeriggio. Sempre che esista davvero, la lesbica, e non sia solo un’invenzione da palcoscenico dell’Ariston.