Inserto teorico, partendo dall’interno.
Per testo poetico di solito ne intendo uno che ha avuto una lunga gestazione e un lungo periodo di rimaneggiamento, necessari, ovviamente, per dire qualcosa di significativo, almeno nel contesto storico-sociale in qui viviamo. Allo stesso tempo sono convinto che l’atto poetico sia sostanzialmente una funzione del segno o di un insieme di segni: nello specifico quello che fa ragionare sul suo stesso significato – e questo è qualcosa che avviene all’interno dell’interpretante, sia esso il poeta stesso o un lettore qualsiasi. Diciamo però che chi scrive ha una responsabilità differente da chi semplicemente riceve un messaggio: ovvero di formularlo, e possibilmente di formularlo efficacemente. Per fare ciò egli ha a disposizione una serie di strumenti: una vera e propria scatoletta degli attrezzi: ora ci sono due strade che sarebbe a mio avviso possibile percorrere per ottenere in un lettore un ragionare sul senso, appagare o generare il pensiero critico, e credo che una delle due influisca più positivamente sul nostro immaginario perché può raggiungere un numero di riceventi maggiore, perché questa strada è quella tipica del piacere della narrazione, quella adatta a tramandare un contenuto, e ora la illustrerò.
















