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L’uomo assorbente

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di Andrea Inglese

Per un attimo, leggendo in questi giorni i quotidiani, ho provato, tra tanta indignazione, anche un moto di sollievo: mi sembrava che finalmente tutti i mali dell’Italia potessero coagularsi in una figura ben delimitata, che funzionasse anche come spugna assorbente dei peccati generali. Se l’Italia è un paese di merda, o comunque parecchio incivile e scarsamente democratico, lo dobbiamo fortunatamente a lui, che riesce a concentrare in sé le peggiori, impensabili, nefandezze: tipo andare a puttane, possibilmente con minorenni, o comunque non troppo “professioniste”.

Leggendo questi fatidici “tabulati”, da cui emergono storie faticosamente sorprendenti, pare quasi di dimenticare che un numero assai alto di nostri concittadini fa quotidianamente ricorso alle puttane, con la stessa ampiezza di vedute etniche del signor Berlusconi, con la stessa noncuranza per le date sul passaporto, ma a differenza di Berlusconi è assai meno generoso nei loro confronti. Qualcuno più informato di me potrà aggiornarci sulle tariffe di una nigeriana nella strade provinciali della Sicilia o di una moldava nei vialoni di Milano. Quanto di bocca? E la scopata completa?

Rubafiori

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di Helena Janeczek

“Sembra la sceneggiatura di un film di Natale, con Christian de Sica che implora di rilasciare Belen spacciandola per la nipote di Chavez”, disse qualche mese fa Carlo Freccero, invitato da Gad Lerner a commentare la telefonata in questura, pietra di inciampo di Berlusconi. Parlava di una trama da neorealismo che, grazie alla trovata del primo attore, vira sulla commedia all’italiana – “questo genere così mortuario in fondo al suo vitalismo”. La grande fiction diventata storia italiana che si infrange contro la realtà da cui viene superata e fagocitata. E Berlusconi che prima l’ha prodotta, poi ne è stato il protagonista sceso in campo, ora rischierebbe di esserne distrutto come il Dr Frankenstein dalla sua creatura.

LA SPIAGGIA DEI CANI ROMANTICI

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di Marino Magliani

Alla fine di febbraio a Lincoln finiva anche l’estate. Con la negra i posti dove farci a pezzi si riducevano a due o tre. Negra solo perché era ordinaria, a Lincoln se uno è ordinario è negro anche se è biondo, ma scura di pelle la negra lo era davvero. Per me era semplicemente negrita e la cominciai a chiamare così prima ancora di impalmarla. Questa parola che sentirete parecchio da qui in avanti non significa mica sposarla, da noi si impalma quando a una donna le si conosce il cuoio, e si scende al presepe.

Non credo che la negra se la prendesse per come la chiamavano, forse perché a Lincoln, come dappertutto, non c’è niente di peggio che incazzarsi se ti danno un nome. E quando lo capisci è tardi.

Laszlo Biro offre muro libero

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Da oggi [20 gennaio], per venti giorni, lasciamo un muro libero
del MACE. Tutti i pomeriggi sono benvenuti poster,
disegni, stencil, scarabocchi. Ci siamo dal martedì al sabato.

Laszlo Biro – c/o MACE – via Macerata 77/79 – (Pigneto) ROMA
laszlobiropresenta[at]gmail[dot]com

DELLA SERIE: RECIDIVI

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di PIER LUIGI FERRO

Un articolo di Vania Lucia Gaito apparso su «Micromega» dell’aprile scorso si apriva constatando come l’Italia sia stata apparentemente solo sfiorata dal fenomeno dell’abuso su minorenni in ambito clericale che così grande spazio ha ricevuto sui mass-media internazionali.
È generalmente riconosciuto che lo scandalo all’interno della Chiesa tragga origine nel 1983 dalla vicenda di Gilbert Gauthe; ma solo dal 1987 la gerarchia cattolica statunitense cominciò ad affrontare il problema in maniera più diretta. Alcuni vescovi riconobbero la gravità della situazione, altri preferirono mantenersi sulla difensiva, cercando in tutti i modi di arginare la portata e gravità della stessa, deflagrata sui mass media americani solo nel 2002, quando vennero alla luce gli abusi seriali su circa 130 minori commessi dal prete John Geoghan, che di lì a un anno verrà strangolato in carcere da un suo compagno di cella. Tali misfatti furono occultati coi noti metodi, ossia mantenendo la massima riservatezza e limitandosi a trasferire da una parrocchia all’altra il reo, quasi sempre inserito nelle strutture ecclesiali che si occupano dell’educazione dei minori. Il «problema americano» della Chiesa, rivelatosi non circoscrivibile in quel solo ambito, con i suoi pesantissimi risvolti economici, da allora venne preso in carico dai massimi vertici, fino alle recenti prese di posizione da parte di Papa Ratzinger. Tuttavia quando, come notava la Gaito, nel 2007 cominciarono ad arrivare anche da noi le notizie dell’entità dei risarcimenti che le diocesi americane erano state costrette a esborsare, si fece di tutto per ridimensionare agli occhi dell’opinione pubblica italiana la drammatica gravità del caso.

Dieci buone ragioni per amare un romanzo: la prima

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di
Francesco Forlani


uno. non cambiare una virgola

” È tutto accaduto, più o meno.” Così comincia il romanzo di Kurt Vonnegut, Mattatoio N 5. Un titolo così non lo trovi per eccesso di zelo, o di alcol, ma, quasi come un profumo francese, perché è lui a trovarti. Curiosa la storia di lui prigioniero americano a Dresda, in un mattatoio, ovvero dentro quando poi è fuori la mattanza, il famoso bombardamento della città tedesca avvenuto tra il 14 e il 15 febbraio e in cui gli aerei delle forze alleate scaricarono sulla Firenze dell’Elba ben 2702 tonnellate di bombe. Kurt Vonnegut diede a mattatoio N 5 il sottotitolo di “La crociata dei bambini”. Il titolo ce lo racconta in un passaggio in cui Mary, la moglie del suo compagno d’arme, O’Hare, è contrariata dalla presenza dell’autore, e quando lui cerca di capirne il motivo, lei esplode dicendogli:
” Eravate solo dei bambini durante la guerra…Come quelli che stanno giocando di sopra”
Eppure.
È tutto accaduto (virgola) più o meno. C’è come una rottura, un precipizio che si apre dopo la virgola, quella virgola messa da Vonnegut. Nel romanzo di Florina Ilis, per tutte le 850 pagine non c’è un solo punto. Ci sono capoversi, maiuscole, ma nessun punto. Solo virgole, Come se tra un personaggio e l’altro,

l’ultimo Cavaliere

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di Chiara Valerio

Finalmente tutto ha di nuovo, se non un ordine istituzionale, almeno una motivazione superiore, nobile e quasi anacronistica. L’irrespirabile clima da fine dell’impero che aveva avvelenato la nostra politica interna con incredibili eccessi di linguaggio, pensiero, atteggiamenti e moine non era che un cattivo odore persistente. L’impressione, condivisa e agghiacciante, di programmi e proclami politici somiglianti a palinsesti televisivi, di interviste ripetitive quanto monologhi stanchi di un pallido Drive in, di dichiarazioni vagheggianti persecuzioni in toghe rosse, di una vita quotidiana schiacciata, come uno spot pubblicitario, tra continue messinscena di minorenni a ballare nude in cantina davanti a uomini decrepiti, carabinieri che riaccompagnano a casa orde di sedicenti escort, agende istituzionali piene come elenchi del telefono era davvero solo e soltanto una impressione. Ci siamo sbagliati quasi tutti. Perché questo paese non è guidato da un Primo Ministro senile e dissoluto, da un barzellettiere folle, dalla voce di un duo canoro il cui secondo è Apicella, da un portatore di bandana, dal misero architetto che ha trasformato un paradiso caraibico in una Milano tre. Non è così. Ci siamo sbagliati quasi tutti.

Il sogno di Tamerlano

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di Nevio Gambula

Una stanza vuota e buia. Al centro, illuminato dall’alto, un uomo. È vestito in jeans, scarpe da ginnastica e con una felpa con la scritta FIAT in evidenza. Ha una pistola in mano. Si muove lungo il perimetro della stanza,agitato, come guardando verso un “fuori” ostile. Diverse voci ripetono la notizia di un operaio che fa irruzione nella palazzina dirigenziale dell’Azienda, uccide tre persone e ne sequestra altre sei. Esecrazione, sgomento: il solito modo di divulgare le notizie. Durante i comunicati stampa, l’uomo canta la più bella canzone d’amore mai composta: Alifib di Robert Wyatt.

Devo prepararmi. Ormai manca poco. Tra breve faranno irruzione. E allora finirà questo capriccio infantile. Finirà. Manca poco all’ora fissata. Tutto è pronto. Sono già disposti intorno al palazzo. Hanno minato tutto il perimetro. Questa stanza sarà la mia tomba. Tra poco. Tutto finito. Tutto. Resterà solo un bagliore roseo. E una strana foschia, ben oltre il linguaggio.

Biagio Cepollaro, la materia delle parole (opere 2008-2010)

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Inaugurazione giovedì 20 Gennaio ore 18.30
Via Pastrengo 15, Milano (MI)

fino al 5 febbraio 2011

GALLERIA OSTRAKON, Via Pastrengo 15 – 22100 Milano, tel. 3312565640, mail: dorino.iemmi@fastwebnet.it
Orari: da Martedì a Sabato ore 15.30 – 19.30

Dal Catalogo: La ritmica di Biagio Cepollaro, di Elisabetta Longari

Se la poesia è principalmente questione di ritmo, anche per lo sguardo, come tra i primi ha indicato Mallarmé, allora questa pittura di Cepollaro non è che la forma che la sua poesia ha assunto attualmente. Sulle superfici galleggiano isole di testo come fogli o timbri, mentre “viaggiano” parole ridotte a tracce di energia di un corpo che respira sente scrive; ma sono soprattutto le pause che ne scandiscono il senso come il montaggio in un film. La poesia, la scrittura e le parole, allontanatesi dal problema del significato, portano nel corpo di ciò che costituzionalmente sono (e che la semiotica ci ha insegnato a designare come significante) una meteorologia irta di aperture e collassi. I colori svolgono comunque una parte considerevole, sprigionando effetti stranianti: anche se vicini ai primari, sono colori “scomodi”, non pacificati, a volte perfino sulla soglia dello stridore.

Prevenzioni del tempo

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di Luigi Socci

Cammini contromano per le strade
come su un nastro trasportatore
cammina un camminatore
cammini da una parte
totalmente sbagliata del marciapiede
un passo insieme all’altro e non t’importa
di camminare come ci si siede.

Ogni tuo buco ha un nome
ogni capello bianco la sua data
le rughe una per una una ragione
che non è la durata.

LAICO ALFABETO IN SALSA GAY PICCANTE. L’ORDINE DEL CREATO E LE CREATURE DISORDINATE

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Mercoledì 19 gennaio h 18,30, Uaar, via Ostiense 89, Roma­, M Piramide

Presentazione di Laico alfabeto in salsa gay piccante di Franco Buffoni, Transeuropa Edizioni.

Un viaggio tra omosessualità, ateismo, natura umana, diritti civili e libero pensiero, condotto da Marcello Rinaldi in dialogo con l’autore. Intervengono: Francesco Paolo Del Re, Andrea Maccarrone

Le storie inospitali di Jahnn

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di Marco Rovelli

L’editore Lavieri ci ha dato un altro libro nella sua preziosa collana Arno:  13 storie inospitali di Hans Henny Jahnn, per la traduzione di Elisa Perotti.  Scrittore tedesco della prima metà del novecento, molto poco conosciuto (basta vedere quante poche occorrenze su google…). Con le tredici storie di questo libro è come leggere fiabe. Pure e cristalline nella loro crudeltà. Storie stratificate, complesse, fitte di rimandi interni, e insieme lineari e godibilissime, grazie a una straordinaria raffinatezza psicologica.

Fiabe che appartengono a una dimensione mitologica, sacra. Scrive Andrea Raos nella postfazione: “In un’interminabile, sconvolgente seduta di ipnosi narrativa, Jahnn raggiunge uno dei suoi vertici artistici e concettuali: la creazione perfettamente laica di uno spazio perfettamente sacro.

Barbara Spinelli, Bernard-Henri Lévy, le proiezioni della stampa italiana

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di Giacomo Sartori

Se ho imparato qualcosa dalla vita, è che ogni critica che ci viene rivolta, prima ancora di dire qualcosa su noi stessi, è altamente rivelatrice su chi la formula. Se una persona ti accusa di essere un terribile avaro, è quasi matematico che sia lui il gran tirchione, o comunque qualche serio problemino di quel genere ce l’abbia. Idem se ti dice che sei un approfittatore, o che hai la testa tra le nuvole, e chi più ne ha più ne metta. Invito chi non ci avesse già provato a fare l’esperimento. Proiezione, la chiamano gli strizzacervelli. Riconoscere o anche solo contemplare i propri difetti dà un po’ fastidio, è più che comprensibile che si preferisca attribuirli agli altri. Una volta separati da noi si può stigmatizzarli, si può indignarsi, senza appunto correre il rischio di ammaccare il proprio amor proprio. Sarebbe un po’ come prendersela con la propria immagine nello specchio: è quell’immagine che è brutta e cattiva, noi siamo belli e bravi.

Questo sistemino empirico può forse essere applicato, almeno in certi casi, anche al modo in cui si vedono vicendevolmente gli stati. Prendiamo per esempio quello che si è letto e ascoltato in questi giorni sugli intellettuali francesi a proposito del caso Battisti.

Più Carina di Ciliegia

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di Andrea Raos

[Ho scritto questa favola tra la notte e la prima mattina di venerdì e sabato scorsi, ascoltando una canzone che ho linkato in fondo al testo. Buon ascolto e buona lettura. a. r.]

Ma come fa a innamorarsi, un porcospino minuscolo?

Che cosa canta, un piccolissimo porcospino, a un mondo che non lo vede perché è troppo piccolo?

Interrogative Mood

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[Padgett Powell ha scritto un libro (un romanzo?) fatto tutto – e unicamente – di domande. Verrà pubblicato in Italia, tradotto da Giovanni Garbellini, il 20 gennaio. Ho chiesto a Guanda il permesso di pubblicare in anteprima le prime pagine del volume. G.B.]

di Padgett Powell

Pensi che mi stupirei?
Si stupisce la luce del giorno? o il codirosso
mattiniero che cinguetta attraverso il bosco?
Mi stupisco io più di loro?
WALT WHITMAN, « Il canto di me stesso »

Le tue emozioni sono pure? I tuoi nervi flessibili? Che rapporto hai con le patate? Costantinopoli dovrebbe chiamarsi ancora così? Un cavallo senza nome ti rende più o meno nervoso di uno che il nome ce l’ha? Secondo te, i bambini hanno un buon odore? Se li avessi davanti a te in questo momento, mangeresti salatini a forma di animale? Potresti stenderti sul marciapiede e riposarti un po’? Volevi bene al padre e alla madre, e i Salmi ti sono di conforto? Se finisci all’ultimo posto in tutte le categorie, la cosa ti secca abbastanza da spingerti a risalire? Ti suonano mai alla porta? Hai qualcosa sul gozzo? Un novello Mendeleev ti potrebbe incasellare con precisione in una tavola periodica delle identità, oppure ti ritroveresti un po’ in tutti gli elementi? Quante flessioni consecutive riesci a fare?

diciamolo, per una volta

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fiat / francesco forlani

Diciamo, per una volta, che accettiamo il gioco dell’attualità; diciamo che un momento nella successione degli avvenimenti, anziché essere visto come un passaggio di processi lunghi, complessi, contraddittori, è letto come un quadro fermo; diciamo che a Mirafiori è successo qualcosa.

Scienze della Comunicazione: amenità contro dati

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diGiovanna Cosenza [ daDIS.AMB.IGUANDO ]

Martedì sera, a Ballarò, Maria Stella Gelmini ha dichiarato che la riforma della scuola ha voluto dare «peso specifico all’istruzione tecnica e all’istruzione professionale», perché il ministero ritiene che «piuttosto che tanti corsi di laurea inutili in Scienze delle Comunicazioni (sic) o in altre amenità, servano profili tecnici competenti che incontrino l’interesse del mercato del lavoro». Infatti, ha aggiunto, i corsi in «scienze delle comunicazione non aiutano a trovare lavoro», perché «purtroppo sono più richieste lauree di tipo scientifico, lauree che in qualche modo servono all’impresa» e «questi sono i dati».
 
Sollecitata da molti studenti e dottorandi – alcuni arrabbiati, altri avviliti – e da molti ex studenti del settore della comunicazione che lavorano da anni, sono andata a vedermi i dati.

Cartolina da Parigi sul popolo tunisino

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di Andrea Inglese

Cari indiani,

vi scrivo una cartolina da Parigi, perché da qui la visuale sulla Tunisia è un pochino più comica.

Non che una rivoluzione sia comica. In genere le rivoluzioni sono sanguinose, spesso tragiche, quella dei tunisini non so neppure se sia una rivoluzione, ma se i prudentissimi giornalisti francesi hanno deciso di chiamarla così, forse avranno ragione. E come ogni rivoluzione, anche questa comincia a contare i propri morti, ossia il numero dei cittadini innocenti uccisi dalla polizia nel corso delle rivolte. Numero difficile da determinare, perché quando lo stato spara, gli ammazzati svaniscono nell’aria. (Questo lo sappiamo anche noi, prima di far ammettere a un poliziotto che ha ucciso un cittadino innocente, bisogna far passare un cammello varie volte per la cruna di un ago.)

RECIDIVI

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di Franco Buffoni

Benedetto XVI ha pensato bene di inaugurare il 2011 scagliandosi – con la consueta enfasi mediatica senza contradditorio – contro l’educazione sessuale nelle scuole, in termini e modi (“è contro la fede e la retta ragione”) che mi hanno ricordato quelli dei suoi predecessori contro l’alfabetizzazione delle giovani femmine, e più in generale contro la necessità di impartire un’istruzione alla plebe.
L’educazione sessuale, come l’educazione civica e l’educazione stradale, nei paesi civili fa parte del programma di studio elementare e medio (in Svezia dal 1956, in Germania dal 1970, in Francia dal 1973, in Olanda dal 1980) e ha sempre prodotto – come principale risultato statisticamente dimostrabile – una diminuzione nel numero delle richieste di aborto.
L’avversione verso tale insegnamento (che nelle scuole italiane è oggi impartito in modo volontaristico, senza un preciso programma, e solo in alcune – poche – strutture) rientra a pieno titolo e con grande coerenza nel programma di governo di questo pontificato – e dunque nel programma del governo italiano – al pari di altre ignominie che ben conosciamo. E che per brevità potremmo sintetizzare in Fine vita, Staminali, Coppie di fatto, Preservativo, Omofobia…: l’elenco potrebbe continuare a lungo.
Per quanto tempo ancora, ci chiediamo, gli italiani dovranno subire dalle reti televisive generaliste questo bombardamento mediatico arrogante, dogmatico e oscurantista?

La dichiarazione di guerra civile di Berlusconi

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di Marco Rovelli

Forse non andrà  in porto l’ultimo progetto berlusconiano, ché le problematiche giuridiche rischiano di affossarlo in corso d’opera, ma di certo è un segno preciso della ridotta in cui il Cav. si trova, e dell’azzardo che è costretto a tentare per uscirne e spiazzare il “nemico”. Chiamare il post-Pdl “Italia” è nient’altro che una vera e propria dichiarazione di guerra civile. Non sembri eccessiva e iperbolica questa affermazione. E’ lo stato dei fatti di un partito-azienda che ha provato a farsi Stato che adesso si trova alle strette, esposto al rischio mortale di perdere quel dominio, e che dunque gioca l’ultima carta, l’estrema risorsa dei bari di professione. “Italia”, dunque: la parte per il tutto, il tutto per la parte. Un’identificazione assoluta, un corpo mistico senza resti, una sineddoche che non ammette repliche. Chi si oppone all’”Italia” si oppone all’Italia. E’ una mossa retorica astuta, che costringe gli avversari ad accettare le regole del gioco, il frame stabilito da lui. I suoi avversari si muoveranno in un classico doppio legame bello e buono, per una semplice questione di virgolette (il metalinguaggio che si confonde con il linguaggio oggetto, si direbbe in linguistica): e il doppio legame paralizza l’interlocutore.

De la guerre civile (On civil war)

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De la guerre civile (On civil war)

Talkie-Walkie

Video di Nicolas Barrié, su un testo di Jean-Michel Espitallier da Le théorème d’Espitallier, Flammarion, 2003.