Roma, 1977
Tra poco ne fa venti. Un mese e li compie, di settembre. Le pagine del suo diario sfogano dal cuore di uno che non diventerà mai adulto e s’accontenterà di un commento sbagliato per odiare e per sempre, o di sguardi gentili per il contrario, né dimenticherà e vorrà vendicarsi, e di ogni pensiero, fantasia o storia che caverà dal suo sacco attribuirà il leading role a un Io da titoli in grassetto e rulli di tamburo, protagonista, eroe, immortale. Meglio abituarsi in fretta a uno stile acerbo come un limone a gennaio, immaturo nell’opporsi al tempo per restare quello che è, ostile ai processi, nemico dei flussi, arrabbiato col divenire. Ama i fumetti di Quino, le storie di Oesterheld, il rugby, i film western e la birra Quilmes. Ecco un assaggio di Johnny: “Mi piacciono anche i camperos e i jeans attillati che esaltano le dimensioni del mio pisello, ogni giorno più grosso”. Chi direbbe che è il giornale intimo di un profugo?
Porta i capelli ricci e lunghi come Mario Kempes senz’averne spalle e magrezza. Anzi è già sovrappeso. Ama i jeans di un amore non ricambiato che i calzoni ripagano col conio del ridicolo, traducendogli le cosce in prosciutti e il sedere, beh, il sedere… Cammina molto per la città dov’è naufragato in sopralluoghi che non hanno inizio né fine, perché quando si ferma già progetta i prossimi o ricorda i passati.














