di Lorenzo Esposito
1. Europa ’10 (Film Socialisme)
Egitto Palestina Odessa Grecia Napoli Barcellona. La Storia? Ciò che ne resta: dei turisti sulla scalinata di Ejzenštejn e in crociera infernale dantesca titanic-a sulle sponde del Mediterraneo (di Pollet Méditerranée: dunque, come ne scrisse Daney, “egli non vede che rovine e vestigia”): interdizioni d’accesso, guerre civili, ovvero il lascito ‘democratico’ della civiltà Greca. Problemi greci: Hellas, Hell as, Hélas. Cose così (fra Gadda 1934 Il castello di Udine/Crociera mediterranea e de Oliveira 2003 Um filme falado).
Un titolo di un film o un titolo di borsa (o ancora semplice éloge de l’amour)? Più che in ribasso quelli del socialismo, hélas. D’altra parte, le azioni su cui specula il mondo e che mettono in ginocchio nazioni intere, al cinema sono altrettanto o semplicemente action. Un continente intero può essere messo in ginocchio senza particolari o molto visibili azioni (per questo “non bisogna parlare dell’invisibile, ma mostrarlo”). Povera Europa. Stretta fra sensi di colpa e un deserto che ne ha cancellato le pur minime ragioni, oggi è il maggior esportatore di crisi e demagogia e violenza. Cioè, in una parola, di democrazia. E così: “L’islam è l’occidente dell’oriente”, vittima di un virus molto simile, immemore soprattutto delle sequenze auree che invece un tempo erano strumento di conoscenza e di dialogo, come testimonia la vita del citato Fibonacci da Pisa, la cui aritmetica è tutta musulmana. A sua volta, la sala per una conferenza di Alain Badiou su un testo di geometria di Husserl, è e resterà vuota. Sarebbe il caso forse che i due vuotissimi recipienti, soggetti al medesimo risucchio, smettessero di fingere di ignorarsi. “La Palestine, c’est comme le cinéma, c’est chercher une farina ture”. La storia del cinema è una storia di innumeri Palestine: Cheyenne Autumn di Ford, Don Quijote di Welles (tutte le immagini, in attesa di quel montaggio utopico leggendario, sono indiani e palestinesi: senza casa). Walter Benjamin, Hannah Arendt, Jacques Derrida. Beethoven, Mina, Chet Baker. Jalla!
Ma certo la democrazia non è una scienza esatta, molto più a suo agio con ciò che d’autorità esclude o che autoritariamente giudica eversivo, in cieco abbordaggio di navi umanitarie e in perenne estroflessione di voci non allineate: flessione senza estro alcuno, che impedisce a un bambino e a una giovane ragazza, fratello e sorella, di vincere le elezioni, e non sarà la troupe televisiva meticcia a raccontare la verità: che le statue parlano e che il loro programma politico si chiama Balzac, Je vous salue, Marie, Jean Renoir, Viaggio in Italia, Michelangelo Antonioni.
La cosa più difficile? Fare film, non parlare di dispositivi.