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LUCIANO BIANCIARDI

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di Franco Buffoni

“Farò squillare come ottoni gli aoristi, zampognare come fagotti gli imperfetti”, scrive Luciano Bianciardi in uno dei passi più ritmici e ironici della Vita agra, dopo avere evocato – francesizzandone il nome in Jacques Querouaques – il poeta americano che in quel 1961 aveva appena finito di tradurre per Guanda: “(Farò) svariare i presenti dal gemito del flauto al trillo del violino alla pasta densa del violoncello, tuonare come grancasse e timpani i futuri carichi di speranza”.
La convinzione che in letteratura lo stile sia tutto (come diceva Céline: di storie sono pieni i commissariati, di stile no; sono rarissimi i veri scrittori perché ben pochi riescono a costruirsi uno stile), se volta all’ambito traduttivo, a noi italiani evoca inevitabilmente la posizione teorica crociana sul tradurre, facente leva sul presupposto della unicità e irriproducibilità dell’opera d’arte per negare la traducibilità della poesia e della prosa “alta”, dove lo stile è “tutto”.
Tale concezione è l’espressione di un idealismo oggi particolarmente inattuale, contro il quale l’estetica italiana del secondo Novecento (Banfi, Anceschi, Formaggio, Mattioli) si è battuta, direi, vittoriosamente.

Massive Attack: Srebrenica

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di
Azra Nuhefendić

Nel quindicesimo anniversario del massacro di Srebrenica, la casa editrice Beit di Trieste pubblica il libro testimonianza di Emir Suljagić “Cartolina dalla fossa”. E’ un registro sulla vita a Srebrenica prima della tragedia, con le immagini storiche di quei giorni cruciali, i contributi di esperti e studiosi e una cronologia che ripercorre gli avvenimenti più importanti del conflitto in Bosnia dal 1992 ai giorni del massacro.

Quel giorno, il generale serbo Ratko Mladić si sentiva come Dio. L’11 luglio 1995 svuotò quella cittadina della Bosnia orientale, Srebrenica, dai suoi 40 mila abitanti, musulmani bosniaci; trentamila tra donne e bambini furono deportati e più di ottomila uomini e ragazzi uccisi. La città, il cui nome diverrà il simbolo degli orrori delle guerre moderne, come Lidice, Oradour, Babi Yar o Katin, venne così “regalata al popolo serbo”. Il massacro che accadde a Srebrenica fu un genocidio, come stabilì, in modo inequivocabile, il Tribunale delle Nazioni Unite dell’Aja per i crimini di guerra. Contro ogni previsione, Emir Suljagić, un giovane musulmano bosniaco, sopravvisse. “Io sono vivo perché Mladić aveva il potere assoluto di decidere sulla vita e sulla morte” scrive Suljagić nel suo libro “Cartolina dalla fossa”. Il generale Mladić guardò la carta d’identità di Suljagić, gli chiese che cosa stesse facendo e poi gli disse che poteva andare.

GRANDI PRESSIONI SULLA GRANDE CAMERA

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di Uaar.it

Dunque la Grande Chambre della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo è stata chiamata a dibattere sul ricorso presentato dal governo italiano contro la sentenza con cui lo scorso novembre la Corte ha sancito che la presenza dei crocifissi nelle aule scolastiche costituisce una violazione dei diritti umani. Come noto, la sentenza della Corte di Strasburgo fu emanata in seguito all’azione legale promossa da una socia Uaar e appoggiata dall’associazione.
La Chiesa cattolica ha posto in essere enormi pressioni. Il ricorso del Governo alla Grande Chambre, infatti, oltre che dalle Acli, è stato sostenuto anche da dieci stati: Armenia, Bulgaria, Cipro, Grecia, Lituania, Malta, Principato di Monaco, Romania, Russia e San Marino: il sito cattolico Zenit ha annunciato con soddisfazione che si tratta «di un’alleanza tra cattolici e ortodossi». È stata invece respinta la richiesta della Federazione umanista europea (di cui l’Uaar fa parte) di costituirsi come terza parte a favore dei ricorrenti. In pratica, i ricorrenti si trovano contro al Presidente della Repubblica, al Governo, all’opposizione (il Partito democratico si è così espresso tre mesi fa), alla Chiesa cattolica, a quella ortodossa e ad altri dieci stati europei. Il 29 giugno è scesa in campo anche la Padania, organo ufficiale della Lega Nord, accusando in pratica l’Uaar di fare il gioco dell’islam. Ciononostante non è il caso di scoraggiarsi, perché si tratta di un ricorso presentato in nome delle buone ragioni laiche, contro un paese che ha nella laicità dello Stato un supremo principio costituzionale. Ma solo a parole.
I mezzi di informazione di tutta Europa stanno seguendo il caso, ritenuto di fondamentale importanza per il futuro della laicità di tutti gli stati che hanno sottoscritto la Convenzione europea sui diritti dell’uomo. La sentenza non sarà comunque pronunciata prima di almeno tre mesi.


L’Architettura dei Luoghi

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XX Seminario Internazionale e Premio di Architettura e Cultura Urbana CAMERINO 2010
Tema: L’Architettura dei Luoghi. Contesto e Modernità
Luogo: CAMERINO MC – I – Centro Culturale Universitario
Data: 1 – 5 agosto 2010
Temi progettuali:
Locale/Globale. Il regionalismo critico
Naturale/Artificiale. Il progetto di paesaggio
Tradizionale/Innovativo. Materiali e tecniche costruttive ecologiche

Scadenza iscrizione: 28 luglio
Scadenza iscrizione con partecipazione al premio: 9 luglio
Info: www.unicam.it/culturaurbana

[segue comunicato stampa e programma]

finis terrae

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di Massimo Bonifazio

freddo: spasmo delle reni. alla fine della terra, sulla piazza.
ridotta dell’elmo, ridotta carlo alberto, coperte dalla neve:
che cade sui lumini: sulle torce, le lanterne.
…………………………………………………………non
ci aspettava qui, sverna al pignerol, il governatore:
corteo dei dannati, in ceppi. all’imbocco delle valli.
forche caudine dell’ultima reggente, bianca in campo rosso,
dei selvaggi
……………….e scuri, neri.
………………………………..biancastre qui le carni,
che il seme si confonde sopra i ventri? a ogni portone,
angolo: floride donnette, rossicce, che mettono tristezza
che cosa non mette qui
……………………………….a guardarci passare. e il sapore metallico del ghiaccio
– senza zucchero, limone, senza immagini. neve sui borboni,
imprigionati: senza opporre troppa resistenza, il minimo
onorevole. curioso, quasi, di quanto lontano possano portare
chi dentro non sta comunque fermo. qui tutto bene
bianco se potessi scriverti una lettera direi

………………………………………………………..qui tutto bene, bianco

Radio Kapital: Luc Boltanski

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Sono talmente ambizioso da pensare che guadagnare

dei soldi sia facile, mentre fare un’opera è molto più complicato.

Christian Boltanski

Krisis
di
Anna Maria Merlo
PARIGI. La crisi colpisce duramente il mondo attuale, da finanziaria, è diventata economica e sta trasformandosi in sociale. Vediamo gli stati correre dietro al mercato, piegarsi ad esigenze che vengono considerate “oggettive”, ineluttabili, contro le quali non si puo’ intervenire. A Luc Boltanski, il sociologo che nel ’99, pubblico’, assieme a Ève Chiapello, l’importante libro Le nouvel esprit du capitalisme (Gallimard, in uscita per Feltrinelli), chiediamo una lettura della crisi attuale. Alla discussione partecipano due giovani sociologi, Bruno Cousin e Cyprien Tasset.

Luc Boltanski: “Siamo di fronte a una doppia crisi: la crisi del capitalismo e quella del nuovo stato che si è istituito in relazione con il capitalismo. Negli anni ’50-’60 era stato raggiunto un compromesso tra lo stato e la grande impresa: lo stato garantiva al capitale la riproduzione della forza lavoro e le grandi imprese pagavano le tasse. Questo modello è andato in crisi dalla fine degli anni ’60, crisi approfondita nel periodo ’75-’90. La risposta è stata allora la deregulation, l’esternalizzazione del lavoro, la finanziarizzazione. Con l’effetto, per le grandi imprese, di poter eludere il pagamento delle imposte. Quindi, quando oggi si sente dire che lo stato è povero, la cosa puo’ apparire assurda, ma in fondo è vera.

Il cantiere delle parvenze

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di Marina Pizzi

1.
la mia sciarpa è un tragitto lontano
uno scalmanato talamo di nebbia
dove è agreste il cielo e logica la tana
di perdere la vita.
rotta anemia della città calva
senza nidi di cuccioli cantanti
né elemosine badanti il veritiero
abbraccio. s’intani il mio straccio
che non vede né attende nulla.
la maestria dell’alba bada a non
gridar di troppo le rondini bambine.

La scimmia infaticabile

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di Andrea Inglese

CODA

io da piccolo ero per le scimmie, davvero mi dicevo: “ma guarda le scimmie!, guarda come sono inarginabili, carnevalesche, insolenti le scimmie!”, non dicevo “carnevalesche”, ma dicevo: “forza, ancora, sempre più scimmie! Anzi facciamo tutti quanti le scimmie, imitiamo nel dettaglio le scimmie, sempre più gridando e saltando, arrampicandoci ovunque, mostrando il culo, la lingua, tirandoci l’uccello!”, anche le pantere, sinuose, mute, elegantissime, anche le pantere nere mi piacevano, molto meglio dei leoni, delle tigri, dei leopardi, con un esercito di pantere e scimmie gli adulti erano spacciati, avremmo sconfitto in un quarto d’ora la mia famiglia, e le figure parentali sostitutive, spazzate via nonna zia danda, e tutte quelle canaglie di signore e signori complici, le maestre, i preti, i tutori, sbranati, dileggiati, con le scimmie che pisciavano in testa a tutti, meglio dei crass, di jello biafra, scimmie e pantere molto meglio del punk, scoperto dopo, ultima spiaggia della pernacchia

ALFIERI E UK

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di Franco Buffoni

Anglista, allievo indiretto del Maestro che contrapponeva i “pori chiusi” delle tragedie alfieriane ai “pori aperti” dell’Amleto (e dunque il secondo è destinato a irrobustirsi con il passare del tempo, le prime a sclerotizzarsi), mi sono sempre chiesto in che cosa consistesse per me il fascino “inglese” di Alfieri e in che cosa il suo contrario.
Uomo da stato di diritto quale sono, apertamente avverso ad ogni forma di stato etico, ho sempre ammirato in Vittorio Alfieri la capacità di cogliere il nuovo, il fresco, il futuro in quell’embrione di stato di diritto che l’Inghilterra – allora – già costituiva. Malgrado il “periodaccio” in cui gli toccò in sorte di studiare e frequentare cose e costumi inglesi – corrispondente alla fase di peggiore decadenza del disgraziato regno di Giorgio III – in Alfieri non venne mai meno la parva favilla della comprensione e dell’esaltazione di quel meccanismo ingegnoso inventato dagli inglesi definibile della rule of law.
E’ vero che nel 1760, appena salito al trono – e Vittorio Alfieri ha dieci anni – Giorgio III tenta di distruggere tale – allora fragile – meccanismo, e che durante il suo lungo regno durato sessant’anni (a parte gli ultimi due decenni di totale demenza senile) sempre lo avverserà, ma è altrettanto vero che non solo non riuscì a distruggerlo, ma contribuì paradossalmente a irrobustirlo, inducendo tories e whigs a ricompattarsi, rinnovandosi radicalmente, in seguito ai suoi tentativi di abolire per legge ogni formazione politica.

Il disastro del rame

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di Helena Janeczek

Una mattina di marzo sono incappata in un disastro dovuto all’estrazione delle materie prime. Non ero in una miniera delle Ande, ma su un treno che collega Milano a Varese, Domodossola, Ginevra, Torino. Eppure è a causa del rame che siamo arrivati con tre, quattro, persino cinque ore di ritardo. Mancando appuntamenti, perdendo coincidenze, mezza giornata di lavoro. Un tassista di Gallarate mi ha raccontato che lo cercavano “fin giù da Magenta”. Ha caricato ogni genere di persona, persino una donna disposta a sborsare quasi cento euro pur di arrivare in tempo per rinnovare il permesso di soggiorno.

Gli scrittori Einaudi firmatari di questa lettera…

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Cari lettori,

Gli scrittori Einaudi firmatari di questa lettera si associano alla protesta di gran parte dei cittadini italiani contro il disegno di legge “bavaglio” che intende limitare l’azione della magistratura e delle forze dell’ordine, il diritto di informazione e la libertà di stampa nel nostro paese.
Questa legge, millantando di proteggere la privacy di molti, vuole salvaguardare l’impunità di pochi, stendere un velo di segretezza sulla criminalità organizzata e, contemporaneamente, reprimere ogni voce di dissenso.

Francesco Abate; Niccolò Ammaniti; Andrea Bajani; Eraldo Baldini; Giulia Blasi; Ascanio Celestini; Mauro Covacich; Giancarlo De Cataldo; Diego De Silva; Giorgio Falco; Marcello Fois; Anilda Ibrahimi; Nicola Lagioia; Antonella Lattanzi; Carlo Lucarelli; Michele Mari; Rossella Milone; Antonio Moresco; Michela Murgia; Aldo Nove; Paolo Nori; Giacomo Papi; Laura Pariani; Valeria Parrella; Antonio Pascale; Francesco Piccolo; Rosella Postorino; Christian Raimo; Gaia Rayneri; Giampiero Rigosi; Evelina Santangelo; Tiziano Scarpa; Elena Stancanelli; Domenico Starnone; Benedetta Tobagi; Vitaliano Trevisan; Simona Vinci; Hamid Ziarati; Mariolina Venezia.

Ustica, Viareggio, Marcello e le altre

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di Antonio Sparzani

quali altre direte voi ma le altre sciagure del paese che quelle tre del titolo sono state scelte per sole ragioni di cronaca e le altre sono anche peggio le altre sbiagure volevo dire vedete come i refusi sempre in agguato tradiscono e deformano le parole però in ogni deformazione c’è forse qualche sottostante sorpresa starà alla fantasia enigmistica di ciascuno rintracciarla

è che un amico caro assai mi disse ieri ma come nazione indiana nulla dice di Ustica in questi giorni in cui tutti ne parlano persino il colle sì il colle per antonomasia che poi potrebbe essere il Palatino o perfino il Viminale che tutto sorveglia l’interno del paese e invece no è quel colle che dovrebbe garantire la costituzionalità di tutto quanto viene aggiunto sulle spalle del paese sempre nuove leggi e leggine a vantaggio degli uni o degli altri o sempre più a vantaggio degli uni dice la voce dei tanti altri sì persino lui il colle per antonomasia ha parlato di quella caduta di un DC9 nelle non limpide acque del Tirreno per dire che non ci vede chiaro in quelle acque ancora dopo anni trenta giusti giusti e allora nazione indiana perché no

mi viene subito da rispondere che nazione indiana non è un giornale quotidiano che ha come l’obbligo di ricordare a tutte le cittadine e a tutti i cittadini le scadenze e le ricorrenze tristi e le poche allegre del paese e del mondo staremmo freschi se ci sentissimo quest’obbligo ognuno di noi venti è una testa pensante direte poi voi se pensante bene o pensante male con una sana e completa autonomia e con i suoi gusti e propensioni come le tante e fieramente indipendenti tribù che popolavano quelle magnifiche pianure di boschi e di bisonti prima che dal di là del grande mare da dove sorge il sole arrivassero appunto tutte quelle altre sciagure ancora senza refuso allora e dunque ognuno di noi pubblica quello che le o gli urge di dentro e da dentro di più in quel momento lì come del resto sto facendo io

però siccome a ruota di questa scadenza di Ustica arriva subito quella di Viareggio era proprio un anno fa e arriva con una analoga certezza di responsabilità per il cosiddetto incidente il caso non esiste trascurare la manutenzione e i controlli è uguale a sabotare la responsabilità dicevo è identica per i potenti che non vogliono mai ri-conoscere cioè approfondire le cause di nulla e poi arriva la modifica in appello della sentenza così attesa contro il così sentenziato Marcello e direte voi cosa c’entra e io dico c’entra e mi verrebbe voglia di dire io so e ho le prove

il pensiero girovago sulla via del ritorno

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di Ginevra Bompiani

Dio odia i tristi
Robert Walser a Lisa, 1902/03

Esiste una specie di pensiero che potrebbe essere chiamato con piena verità il pensiero girovago. Ordinariamente si presenta ai monaci sulle ultime ore della notte e conduce la mente da una città all’altra, da paese a paese, da casa a casa. Questo pensiero girovago è una malattia che Evagrio Pontico, monaco egiziano del IV secolo, da cui ho tratto questa citazione, sa curare. Ma una volta vinto, dice: la vittoria ti lascerà una grande sonnolenza, una pesantezza alle palpebre, un senso di freddo, sbadigli e languore fisico, ma con la diligente preghiera allo Spirito Santo disperderai queste penose tracce. Mi domando se tutti i fannulloni e i buoni a nulla non siano le vittime di questa vittoria sul pensiero girovago.

Enrico Achilli: operaio

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di Rinaldo Censi

Enrico Achilli è morto qualche giorno fa. Di un male incurabile. Avrebbe tra poco compiuto 65 anni. È possibile che questo nome a molti lettori non dica nulla. «L’Achilli» come lo chiamavano Danièle Huillet e Jean-Marie Straub era un operaio. Aggiustava macchinari per le officine. E c’era da sospettarlo, vedendo le sue mani gigantesche. Il lavoro di certe persone lo intuisci dalle mani.

Adieu au langage

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di Lorenzo Esposito

1. Europa ’10 (Film Socialisme)

Egitto Palestina Odessa Grecia Napoli Barcellona. La Storia? Ciò che ne resta: dei turisti sulla scalinata di Ejzenštejn e in crociera infernale dantesca titanic-a sulle sponde del Mediterraneo (di Pollet Méditerranée: dunque, come ne scrisse Daney, “egli non vede che rovine e vestigia”): interdizioni d’accesso, guerre civili, ovvero il lascito ‘democratico’ della civiltà Greca. Problemi greci: Hellas, Hell as, Hélas. Cose così (fra Gadda 1934 Il castello di Udine/Crociera mediterranea e de Oliveira 2003 Um filme falado).
Un titolo di un film o un titolo di borsa (o ancora semplice éloge de l’amour)? Più che in ribasso quelli del socialismo, hélas. D’altra parte, le azioni su cui specula il mondo e che mettono in ginocchio nazioni intere, al cinema sono altrettanto o semplicemente action. Un continente intero può essere messo in ginocchio senza particolari o molto visibili azioni (per questo “non bisogna parlare dell’invisibile, ma mostrarlo”). Povera Europa. Stretta fra sensi di colpa e un deserto che ne ha cancellato le pur minime ragioni, oggi è il maggior esportatore di crisi e demagogia e violenza. Cioè, in una parola, di democrazia. E così: “L’islam è l’occidente dell’oriente”, vittima di un virus molto simile, immemore soprattutto delle sequenze auree che invece un tempo erano strumento di conoscenza e di dialogo, come testimonia la vita del citato Fibonacci da Pisa, la cui aritmetica è tutta musulmana. A sua volta, la sala per una conferenza di Alain Badiou su un testo di geometria di Husserl, è e resterà vuota. Sarebbe il caso forse che i due vuotissimi recipienti, soggetti al medesimo risucchio, smettessero di fingere di ignorarsi. “La Palestine, c’est comme le cinéma, c’est chercher une farina ture”. La storia del cinema è una storia di innumeri Palestine: Cheyenne Autumn di Ford, Don Quijote di Welles (tutte le immagini, in attesa di quel montaggio utopico leggendario, sono indiani e palestinesi: senza casa). Walter Benjamin, Hannah Arendt, Jacques Derrida. Beethoven, Mina, Chet Baker. Jalla!
Ma certo la democrazia non è una scienza esatta, molto più a suo agio con ciò che d’autorità esclude o che autoritariamente giudica eversivo, in cieco abbordaggio di navi umanitarie e in perenne estroflessione di voci non allineate: flessione senza estro alcuno, che impedisce a un bambino e a una giovane ragazza, fratello e sorella, di vincere le elezioni, e non sarà la troupe televisiva meticcia a raccontare la verità: che le statue parlano e che il loro programma politico si chiama Balzac, Je vous salue, Marie, Jean Renoir, Viaggio in Italia, Michelangelo Antonioni.
La cosa più difficile? Fare film, non parlare di dispositivi.

Un piccolo fratello

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Addio Pietro,
tu tragico eroe strampalato.
Oggi è stato nominato
il Grande Fratello sbagliato.

Franz Krauspenhaar

Nota per un ragazzo guerriero
di
Aldo Grasso
sul Corriere

Uno schianto da guerriero, uno schianto dove fatalmente si mescolano l’uomo con il personaggio, la realtà con la finzione, il coraggio con la malasorte. Forse una manovra sbagliata ha provocato la caduta di Pietro Taricone. Lui che si vantava delle manovre «sbagliate», del suo procedere sfrontato e senza paracadute, dopo che la prima edizione del Grande Fratello gli aveva regalato una notorietà smisurata e insperata.
Non aveva vinto (la vittoria era andata alla bagnina Cristina Plevani, detta Tristina, la ragazza da lui sedotta in diretta), ma era uscito dalla Casa come il vincitore morale. Si era presentato come «’o guerriero» e fin dalla prima puntata aveva messo in mostra i suoi muscoli da palestrato, la sua aria sbruffona, ma anche la sua ironia e intelligenza, proponendo un personaggio insolito, in mezzo a quella insolita compagnia che erano i ragazzi del GF Uno.

L’anno dei dodici inverni

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di Gianni Biondillo

Tullio Avoledo, L’anno dei dodici inverni, 2009, Einaudi, 369 pag.

È un freddo gennaio del 1982 quando una giovane coppia, Emilio ed Esther, riceve a casa un uomo, Emanuele Libonati. Un vecchio che fa loro una curiosa proposta: verrà a trovarli una volta all’anno, per seguire le fasi della crescita della loro bambina, Chiara, nata da poco, il giorno di Natale. E di anno in anno i due genitori si scopriranno invecchiare, ammalarsi, patire la vita, mentre quell’uomo sembrerà ai loro occhi sempre inquietantemente identico a se stesso. Ma questo è solo l’inizio de L’anno dei dodici inverni, romanzo che ha una trama piena di salti temporali, fra passato, presente e futuro.

Scrittori in Causa e la maschera del privilegio

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di Simona Baldanzi
Alla domanda cosa vuoi fare da grande, non ricordo di aver mai risposto. Avevo la sensazione che era meglio non sognare che lavoro fare da grande, per non rimanere delusa. Forse sembravo una con le idee poco chiare, che non si impegnava abbastanza, invece ero semplicemente una bambina concreta.
Alla scuola elementare, i miei pensierini facevano emozionare le insegnanti, e i miei erano contenti, non perché iniziassero a vedere in me chissà quale dote, ma perché, andando bene a scuola, gli levavo un pensiero nella gestione della vita quotidiana. Se ho mai pensato di fare la scrittrice? Macchè, figuriamoci. Da piccola imparavo che scrivere e lavorare sono due cose molto lontane. Certo, sapevo bene che leggere e scrivere correttamente mi avrebbero aiutato ad affrontare i pensieri di tutti i giorni, ma non che il solo fatto di scrivere potesse darmi da vivere. Al massimo poteva darmi qualche soddisfazione: al ritorno dal Campiello Giovani, mia mamma mi disse che c’era il concorso alle poste.
Sono cresciuta in una famiglia che mi ha sempre fatto notare i miei limiti. Non avrei mai osato pensare che a quello che avrei scritto sarebbe corrisposto del denaro. Non sto dietro ad annoiarvi con i particolari della mia infanzia, questa introduzione mi serve per farvi capire una cosa: che con quella formazione lì mi sono ritrovata fra le mani il mio primo contratto editoriale.

Radio Kapital: Elisabeth Badinter

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Anna Maria Merlo, corrispondente a Parigi del Manifesto e amica da oltre un decennio mi ha segnalato un articolo pubblicato qualche tempo fa sul blog FranciaEuropa, da lei curato, a proposito dell’ultimo libro di Elisabeth Badinter. (effeffe)

“Sii madre e allatta”
Elisabeth Badinter si rivolta contro la donna-natura
di
Anna Maria Merlo

La Francia è il paese europeo con il più alto tasso di natalità. Ed è anche quello dove le madri lavorano di più fuori casa e dove l’attività viene ripresa in modo massiccio dopo il periodo del congedo maternità. Questo grazie a una politica di asili nido e di aiuti vari. Ma, poco per volta, negli ultimi anni un discorso fa la sua strada nella società: si insinua il dubbio che l’asilo nido non sia il posto ideale per dei neonati (qui li prendono a partire dai due mesi, dalle 7,3 del mattino fino a sera). Un decreto del ’98 (ministro della sanità Bernard Kouchner) ha proibito la pubblicità del latte in polvere nelle maternità pubbliche. Le neo-mamme sono spinte ad allattare. L’obiettivo del ministero è che da quest’anno il 70% delle mamme allattino quando sono nel reparto maternità. Chi non vuole viene colpevolizzata.
La filosofa Elisabeth Badinter, trent’ani dopo L’Amour en plus, pubblica in questi giorni Le conflit. La femme et la mère (Flammarion) , un saggio di denuncia di questa situazione, che definisce una deriva reazionaria. “Ho constatato un rovesciamento dei valori – afferma – qualcosa che minaccia la libertà delle donne”. Il libro fa polemica.

carta st[r]ampa[la]ta n.21

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di Fabrizio Tonello

Mica facile. No, sul serio: la vita dei giornalisti delle pagine culturali è un inferno. Uno va in redazione la mattina e si propone di scrivere su qualche tema semplice semplice, come “Dio e l’Uomo”, “Chiesa e Stato”, “Autorità e Libertà” o magari “Capitalismo e Democrazia”. Il caporedattore neppure vi bada, il direttore è chiuso nella sua stanza, e fino alle sei del pomeriggio vi tocca fare un solitario sul computer, telefonare agli amici della testata concorrente per scambiare un po’ di gossip e, alla fine, consultare il sito di Nazione Indiana. Meglio fare il cronista di nera: un omicidio è un omicidio mentre l’epistemologia chissà cos’è.

Bambini bonsai

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[Si pubblica i primi due capitoli del romanzo di Paolo Zanotti, Bambini bonsai, Ponte alle Grazie 2010.]

di Paolo Zanotti

1.

Sofia, so che ormai è tardi. È finita l’infanzia, sono passate le tempeste. Eppure mi sorprendo sempre a tornare a quegli anni, testardo come un’ape che batte i campi verso l’arnia lontana e insieme soffocato da uno di quei sensi di colpa enormi, completi come mondi, che si possono provare solo da bambini.
È tardi, ma vorrei comunque provare a spiegarti quel che è successo allora, quando il cielo era diverso, allora, quando, almeno per un istante, abbiamo avuto la fortuna di abitare lo stesso tempo, di vivere la stessa pioggia. Tu nella tua gabbia protetta, io disperso nei vicoli inondati, confuso tra i fantasmi ma bene attento a raccogliere tutti i segnali che mi lanciavi dal tuo sonno: un giocattolo, un disegno, la carta di una merendina o anche solo un pianto registrato. Per decifrarli ci voleva una gran pratica della lingua disarticolata dell’infanzia.