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Scaffali nascosti (8) – :duepunti edizioni

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«Scaffali nascosti», senza pretese di completezza, vuole disegnare una mappa dell’editoria indipendente dei nostri tempi. Medio-piccoli, piccoli, piccolissimi editori, spesso periferici, con idee e progetti ben precisi, che timidamente emergono, o forse emergeranno, o si spera che emergano, fra gli scaffali delle librerie. A cura di Andrea Gentile (andreagentilenazione_at_libero.it).

di Andrea Gentile

Nelle fiere del libro li vedi da lontano anche se non hanno lo stand più grande. Partono da Palermo e portano con loro una grande botte di vino, una di quelle che si trovano facilmente nelle cantine dei nostri nonni o bisnonni. Ogni tanto scatta l’happy hour. Ti offrono un bicchiere e ti parlano di Platone o Ourednik, Aristotele o Le Clézio. Tu sei attento e ti lasci convincere.

Il progetto :duepunti nasce nel 1997 da Andrea L. Carbone, Roberto Speziale e Giuseppe Schifani. Parte come rivista letteraria fotocopiata in proprio e distribuita nei ferventi corridoi dell’università palermitana ma parallelamente è un sito internet (www.duepunti.org ancora attivo).

Elogio della macchia cieca. Lazy Suzie di Suzanne Doppelt

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di Rinaldo Censi

Rue Vieille du Temple, un sabato soleggiato di febbraio, a Parigi. Tagli per una traversa e giungi in rue Sainte Anastase, dove ha sede la galleria d’arte Martine Aboucaya. Percorri un lungo corridoio bianco e ti ritrovi in una sala dove sono esposte minuscole fotografie, miniature d’emulsione. Sono le foto che espone Suzanne Doppelt. Fanno parte della serie che ha intitolato Un homme est tombé de la lune: un frammento presocratico, probabilmente di Eraclito. Un uomo è caduto dalla luna, dunque. Suzanne dice che è come se questa caduta corrispondesse ad un passaggio: dal sogno al pensiero. Piccole capsule di tempo lavorate chimicamente, esposte alla luce, bagnate dal riverbero di riflessi luminosi: sono i fotogrammi di Moholy-Nagy, l’incontro, l’effetto serendipity, l’inaspettato caro a Man Ray.

Anteprima Rivista Sud n°14- Paolo Mastroianni legge Patrizia Posillipo

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Contenitori per acqua accatastati senza ordine, di lato Merita Saciri, 14 anni a settembre, l’espressione un po’ pensierosa un poco intrigante, i contenitori non riescono a nasconderne la bellezza del volto e del giovane corpo – Campo nomadi di S. Maria Capua Vetere, maggio 2005, foto di Patrizia Posillipo

Giugno 2005. Alie Fetani controlla l’ora dal polso, la mano raggrinzita aggiusta il fazzoletto sul capo, il suo sguardo da topo intercetta gli orecchini appoggiati sopra una mensola e si posa, senza mettere a fuoco, sulla parete interna della roulotte. Zuppa di patate e cipolla nella pentola media nel caso qualcun altro ritorni, pochi minuti per sbucciar le patate, una quarantina per cucinare, ha più di un’ora davanti. Sistemati i pensieri sul pranzo, apre un cassetto da cui tira fuori la foto della nipote, Merita, protetta da due cartoncini legati da un pezzo di spago. Nel campo c’è calma, sono quasi tutti in città, soltanto vecchi e qualche bambino. Con in mano la foto, Alie scende e si siede sotto il telo veranda che si allunga dalla roulotte, con le dita allontana l’immagine della nipote alla giusta distanza dai suoi occhi neri da presbite: manca poco che diventi una donna, non si può più aspettare. Alla ricerca della soluzione migliore, soppesa, si sforza di non dimenticare nessuno, nessuna famiglia, lancia un’occhiata al marito intento a capire se un paio di scarpe recuperate da un cassonetto si possono mettere in sesto, scorre di nuovo la catena delle possibilità, chiude un attimo gli occhi, sospira: nessun candidato all’altezza in Campania.

La responsabilità dell’autore: Claudio Piersanti

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[Dopo gli interventi di Helena Janeczek e Andrea Inglese, abbiamo pensato di mettere a punto un questionario composto di 10 domande, e di mandarlo a un certo numero di autori, critici e addetti al mestiere. Dopo Erri De Luca, Luigi Bernardi, Michela Murgia, Giulio Mozzi, Emanule Trevi e Ferruccio Parazzoli, ecco le risposte di Claudio Piersanti]

Come giudichi in generale, come speditivo apprezzamento di massima, lo stato della nostra letteratura contemporanea (narrativa e/o poesia)? Concordi con quei critici che denunciano la totale mancanza di vitalità del romanzo e della poesia nell’Italia contemporanea?

Questi giudizi sommari sono forme della stessa isteria ideologica che anima da decenni dibattiti inutili. Questi critici-guru, questi santoni pataccari che da generazioni intonano litanie funebri sul romanzo… Sarebbe divertente studiare da vicino i loro percorsi e i loro pentimenti. Ora il Grande Guru Americano si pente di entusiasmi che noi autori periferici e muti non abbiamo mai condiviso (mentre i nostri critici scrivevano paginoni osannanti ai Veri Scrittori e si sgomitavano in affollatissimi party con i bicchieri di plastica). I critici-guru hanno un grande svantaggio sugli autori: sbagliano sempre. Sono progettati intellettualmente per non vedere nulla al di fuori di se stessi, essendo infatti l’opposto speculare di un autore. Il versante italiano del critico-guru è naturalmente più pecoreccio, e oscilla tra il collezionista di ragazzini e il tipo materno-protettivo. Mentre il primo può paragonare un giovanissimo esordiente assai grazioso a Céline (per poi dirgli in pubblico, dopo qualche anno: ma perché scrivi?, rafforzando la sua fama di implacabile) il secondo considera grandi autori solo quelli non solo scoperti e sostenuti editorialmente da lui, ma più precisamente quelli a cui ha dato per anni da mangiare. C’è anche la variante del Grande Intellettuale (detto senza ironia) che limita la letteratura a quella prodotta dal suo compagno di banco delle medie (peraltro anche lui grande scrittore davvero). In generale il giudizio isterico “non ci sono più romanzi” è espresso da personalità schizoidi

SOLDI DEI PADRI, SCUOLA DEI FIGLI

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di Giorgio Mascitelli

Questa volta ci sarebbe da dire che non tutte le statistiche vengono per nuocere, perché a differenza di molte che sembrano essere nate solo per conferire un’alea di verità aritmetica all’opinione dominante, quella diffusa dall’OCSE sul legame tra i guadagni dei padri e dei figli presenta alcuni elementi di grande interesse. In breve si tratta di una statistica, apparsa su Repubblica, sulla mobilità della posizione stipendiale dei figli rispetto a quella dei genitori in ogni nazione membro dell’OCSE: se la testa della classifica, ovvero i paesi in cui vi è una maggiore mobilità stipendiale e quindi sociale, non riserva particolari sorprese perché occupata dai paesi scandinavi e l’Austria, ossia quelle nazioni nelle quali lo stato sociale è ancora forte, al fondo delle classifica vi sono alcuni dati meno prevedibili perché i paesi meno mobili risultano essere la Gran Bretagna, l’Italia, gli Stati Uniti e la Francia.

Sebben che siamo donne…

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http://www.youtube.com/watch?v=Y6IkWxXyuM0

PIERA OPPEZZO. UNA LUCIDA DISPERAZIONE

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di Luciano Martinengo

Ci sono stati numerosi riscontri –scritti e telefonate- alla notizia della morte di Piera pubblicata da Nazione Indiana (qui). Mi sembra perciò opportuno continuarne il ricordo con qualche informazione sui suoi ultimi mesi di vita per tentare di sondare il mistero della sua creatività tanto impervia e sofferta.

La sofferenza, che in Piera si manifestava come stato permanente d’ansia, era davvero la cifra della sua ricerca? Scavando nei ricordi miei e delle poche persone che l’hanno avvicinata emerge una incapacità –o forse una volontà- di non essere felice. All’origine c’è forse quell’ ”infanzia saccheggiata” a cui accenna in una sua poesia o la perdita di una persona amata, o ancora una forma di orgoglio che raggela la speranza. Solo la scrittura sembra contare. Questo è ciò che si vede dal di fuori, ciò che si tenta di decifrare.

carta st[r]amp[al]ata n.7

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di Fabrizio Tonello

Paolo Mieli, da direttore del Corriere, amava farsi intervistare dalla televisione nel suo ufficio, con alle spalle un’austera libreria interamente occupata da quella che sembrava proprio l’enciclopedia Treccani; non sappiamo se Ferruccio de Bortoli abbia conservato l’arredamento o abbia sostituito i grossi volumi rilegati con un più moderno link al portale Treccani.it, ma consigliamo affettuosamente ai responsabili della gloriosa testata milanese di avviare un programma di sostegno ai loro redattori. Materia: “cultura generale”, con un modulo aggiuntivo “ricerche on line”.

La necessità di tale intervento si è palesata in tutta la sua urgenza il 26 febbraio quando Pigi Doppiomento Battista ha registrato una puntata della sua rubrica Il sorpasso per Corriere-Tv dedicata al processo Mills (l’avvocato inglese di Silvio B.). Seduto in una poltroncina palesemente inadatta alla sua mole, Pigi Doppiomento esordiva dicendo che “avremmo tutti dovuto laurearci in giurisprudenza per capire cosa succede nella politica italiana” e ha poi continuato dicendo che sempre di più “bisogna scendere in tecnicismi, dettagli molto specializzati di quello che sono i processi…”

I 60 anni di Filmcritica (II)

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[Ricorrono i 6o anni della rivista «Filmcritica», per chi voglia abbonarsi il modulo si trova qui. DP]

Sulla rivista si sono alternate figure di scrittori (di nuovo: non a caso non si dice critici cinematografici), assolutamente atipici rispetto al parlar di cinema in Italia. Una di queste era Giuseppe Turroni, pittore, studioso di fotografia, critico,  forse il più acuto interprete di cinema americano che si sia letto nel nostro Paese.
La scelta cade su due interventi. Il primo, a pochi mesi dalla morte, vede Turroni cimentarsi, a margine del tradizionale appuntamento che la rivista dedica ai dieci migliori film dell’anno, con una riflessione teorica sul mestiere del critico (con in testa i suoi 10 migliori del 1989). Il testo è tratto dalla sezione Americana (a cura di L. Esposito), pp. 153-154.
Il secondo è una conversazione fra Turroni stesso e Alfred Hitchcock, all’inizio degli anni Settanta, in cui si vede bene come anche il concetto di intervista su Filmcritica vira prepotentemente in direzione letteraria. La conversazione sembra una battaglia fra titani, dove il più sorprendente è Turroni… La sezione di riferimento è intitolata Discorsi (a cura di L. Esposito e D. Turco), pp. 191-193.
(Lorenzo Esposito.)


1.

Il lavoro del critico
di Giuseppe Turroni
n. 391/392, gennaio 1989

L’impero del sole, di Steven Spielberg
Intrigo a Hollywood, di Blake Edwards
Frantic, di Roman Polanski
Monkey Shines, di George A. Romero
Danko, di Walter Hill
L’ultima tentazione di Cristo, di Martin Scorsese
Come sono buoni i bianchi, di Marco Ferreri
Chi protegge il testimone, di Ridley Scott
Omicidio allo specchio, di Arthur Penn
Encore, di Paul Vecchiali

En amitié fidèle

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En amitié fidèle
Serata per Roland Barthes

La responsabilità dell’autore: Ferruccio Parazzoli

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[Dopo gli interventi di Helena Janeczek e Andrea Inglese, abbiamo pensato di mettere a punto un questionario composto di 10 domande, e di mandarlo a un certo numero di autori, critici e addetti al mestiere. Dopo Erri De Luca, Luigi Bernardi, Michela Murgia, Giulio Mozzi e Emanule Trevi, ecco le risposte di Ferruccio Parazzoli]


Come giudichi in generale, come speditivo apprezzamento di massima, lo stato della nostra letteratura contemporanea (narrativa e/o poesia)? Concordi con quei critici, che denunciano la totale mancanza di vitalità del romanzo e della poesia nell’Italia contemporanea?

Se la vitalità nasce dal senso che si dà o che viene da quanto si fa e si pensa, nell’odierna società, annegata nel nichilismo di massa e nella ‘pappa del niente’, il pensiero, la decodificazione del caos e dell’assurdo da parte di chi pensa e ne scrive, è del tutto irrilevante. Ne deriva un inevitabile calo di vitalità, compresa qualla della narrativa.

Ti sembra che la tendenza verso un’industrializzazione crescente dell’editoria freni in qualche modo l’apparizione di opere di qualità?

No, l’editoria, ‘pallida madre’, fa solo il suo mestiere: prepara con grande professionalità la pappa giusta per i suoi bambini.

Flaiano feat Flaiano

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Il peggio che può capitare a un genio è di essere compreso.
Ennio Flaiano

Il 5 marzo 1910 nasceva Ennio Flaiano uno degli intellettuali più originali dello scorso secolo. La sua figura ha influenzato tutto l’immaginario italiano soprattutto per il contributo dato ad uno dei mezzi espressivi più importanti della contemporaneità ovvero il cinema, per cui ha firmato decine di sceneggiature, stringendo un rapporto particolare con grandi maestri come Antonioni e Fellini.

Al fine di ricordare l’attualità del pensiero di Flaiano il magazine da tavola Sugo gli ha dedicato tutto il nuovo numero di marzo (uscita il 12 marzo) intitolandolo “1910-2010 Un secolo di Flaiano e chiedendo a Boosta dei Subsonica di scrivere un articolo su questo tema che lui ha intitolato “La Stupidità ha fatto passi da gigante” e con un editoriale di Fabrizio Vespa dedicato allo sceneggiatore della Dolce Vita (foto storiche e massime del grande scrittore.)
Sugo è distribuito a Torino, Milano, Firenze, Bologna, Genova e Roma.

The death of Bunny Cave

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di Camilla Barone

 

 

 

 

 

Sex maniac, poi Death trip of a sex maniac e alla fine The death of Bunny Munro. Nick Cave, alla conferenza stampa di presentazione del suo nuovo romanzo, va dritto al punto, e mette subito in scena il non detto svelando, attraverso le metamorfosi che ha imposto al titolo nel tempo, quale sia il vero personaggio centrale il suo libro. La morte che attende il protagonista Bunny, annunciata sin dalle prime parole del romanzo, quella stessa feroce liberazione rivoluzionaria, misandrica e paradossalmente pop dello SCUM Manifesto di Valerie Solanas, e quella stessa che è episodicamente ossessiva nei vangeli di San Marco e che ispira, come ci racconta l’autore, la struttura del romanzo. La vita non è che è il rovescio di un’esistenza al limite, viene da dire guardando Nick Cave e a forza di intuire la tensione del suo mistero seduttivo: Vita-Nella-Morte come continua e irriverente marcatura di ciò che è assente, innervata dal gusto per un desiderio ironico e sprezzante.

E’ così che nasce il libro La morte di Bunny Munro, edito da Feltrinelli: dalla marcatura di ciò che non avrebbe dovuto essere.

Questo libro è un altro

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Roma, giovedì 4 marzo 2010, alle ore 20:00

al Beba do Samba
via de’ Messapi 8

http://www.bebadosamba.it/

ce livre est un autre

questo libro è un altro

:

gli autori di Prosa in prosa (Le Lettere, 2009) presentano il libro

visto attraverso letture di altri libri (francesi e inglesi: in traduzione italiana)

=

>>> Marco Giovenale, Andrea Raos, Michele Zaffarano <<<

(e, in absentia, Bortolotti, Broggi e Inglese)

Ad limine Artaud – (ancora in margine a scrittura ed etica)

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di Marco Rovelli

Oggi, 4 marzo 2010, sono passati 71 anni dalla morte di Antonin Artaud. 71 è il numero atomico del lutezio. Metallo bianco-argenteo il cui nome viene dall’antica Parigi. A Parigi Artaud frequenta i surrealisti e li abbandona, a Parigi gli viene diagnosticata la malattia mentale, a Parigi Antonin Artaud muore e nasce Antonin Nalpas.

(Al PAC di Milano, qualche anno fa). Artaud, messo in mostra. Il suo corpo-parola lo si vede, sta esposto moltiplicato come il volto di uno skizo-dio. Foto, disegni, sequenze di film proiettate insieme su schermi e su specchi, e la voce che urla: Artaud aggetta da ogni-dove, la sua immagine riprodotta-riflessa-tracciata ti osserva, e non è mai la stessa. Come nella Visio dei di Cusano, solo che qui l’Origine è ovunque, l’Infinito è tutto qui, ed è sempre lo stesso che ritorna eternamente.

Correre

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di Gianni Biondillo

Jean Echenoz, Correre, Adelphi, 148 pag., trad. di Giorgio Pinotti

Emil corre. Corre, continuamente, da ragazzo, da adulto, sempre e comunque. Emil conosce il secolo breve dalla parte sbagliata dell’Europa, conosce la Storia dal suo villaggio sperduto della Moravia: arrivano i nazisti, i tedeschi, è la seconda guerra mondiale; poi i sovietici, la cortina di ferro, la repubblica socialista di Cecoslovacchia. Ed Emil corre. Puro di sentimenti. Senza neppure uno stile, senza la grazia o l’eleganza di certi atleti molto più famosi di lui. Corre a perdifiato, resiste alla fatica, al dolore muscolare. Diventa il più veloce di tutti. Diventa Emil Zàpotek. Una leggenda del fondo mondiale.

Apocalissi quotidiane – a Monza

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GIOVEDì 04 MARZO ALLE ORE 21
presso il Teatro Binario 7 | via Turati 8, piazza Castello, Monza (di fianco alla stazione FS)

“APOCALISSI QUOTIDIANE”
Regie Gibson (USA), reading -prima assoluta-
Kaos One (MI), intervista e lectio magistralis –
+ MONZA POETRY SLAM: slammers vs rappers
Chiara Daino (GE), Adriano Padua (RG), Scarty (MB), Sparajurij Lab (TO), Vaitea (MI)

è un evento di Poesiapresente

Questo evento sarà una serata di ordinaria apocalisse.
L’idea di porre a confronto i mondi del poetry slam e del rap si è sviluppata partendo da “IncastRImetrici vol. 2” (Arcipelago Edizioni, Milano 2010) a cura di Marco Borroni, antologia sui linguaggi metropolitani che accosta e analizza questi due fenomeni artistico-letterari.

La new wave della poesia italiana

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Milano, giovedì 4 marzo 2010, ore 21:00

Casa della poesia, Palazzina Liberty

[ Largo Marinai d’Italia ]

presentazione di

Poesia Contemporanea
Decimo Quaderno Italiano

a cura di Franco Buffoni
Marcos y Marcos, febbraio 2010

Servi al Teatro della Cooperativa

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dal 3 al 14 marzo 2010 – prima milanese
Teatro della Cooperativa
con il sostegno di Lunatica
Si ringrazia l’Assessorato alla Cultura di Pontremoli

SERVI
di Marco Rovelli e Renato Sarti
Con Marco Rovelli, Mohamed Ba
Musiche in scena di Marco Rovelli (chitarra e voce), Lara Vecoli (violoncello) e Davide Giromini (tastiere e fisarmonica)
Regia Renato Sarti

T.R.S.T me!

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(Trieste vista dalla Luna)


di
Azra Nuhefendic

Essendo la più piccola mi toccava sempre fare lo «schvabo», come chiamavamo i tedeschi, i nostri peggiori nemici, nell’immediato dopoguerra. Il ruolo dei partigiani lo giocavano i bambini più grandicelli, quelli di sette, otto anni. Era scontato che i partigiani dovevano vincere sempre. Quando i «partigiani» si stancavano di vincere, si giocava a intonare canti rivoluzionari; o a gridare vari slogan che per un bambino di cinque, sei anni non avevano alcun significato. Me ne ricordo due in particolare: «Zona A, Zona B, bice nase obadvje» (Zona A, Zona B, sarete nostre, oh sì) e «Trst je nas», Trieste è nostra. Quest’ultimo mi è rimasto impresso più a lungo nella memoria. Di certo per ragioni né ideologiche né politiche. All’età di cinque anni non avevo idea di cosa volesse dire «Trst», e nemmeno capivo perché era «nostra». Ma mi divertiva un sacco pronunciare tutte quelle consonanti con la bocca piena di latte in polvere. Mentre scandivo le lettere T R S T, dalla mia bocca uscivano delle nuvole bianche che coprivano non solo la mia faccia ma anche quella di coloro che mi stavano vicino.
Il latte in polvere, americano, lo mangiavamo a merenda, prendendolo con una mano direttamente dalla busta. Ci arrivava assieme agli aiuti umanitari – operazione Unra. C’era anche il chaddar cheese, un formaggio giallognolo ed elastico come la gomma. Erano anni di povertà collettiva. Ma a nessuno importava niente, perché ci veniva promesso un futuro bello, radioso, ricco e pieno di giustizia e di uguaglianza.

Danilo De Marco: LA COMUNE DI OAXACA

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Testi di Carlos Montemayor e Erri De Luca

Ninfa (nonna)

Felipe (rettore dell’università)