di Adelelmo Ruggieri
È fatto di 8 reportages-racconti e 99 foto Il mondo in una regione, l’ottavo volume della collana “Carta bianca” (Ediesse , Roma, 2009). I racconti sono di Angelo Ferracuti, le foto di Daniele Maurizi. Fa da prefazione un dialogo degli autori con Mario Dondero che si chiama “L’arte dell’avvicinamento”. Questa locuzione – ‘l’arte dell’avvicinamento’ – viene fuori da una domanda ‘sulla fotografia’ [in particolare sulla differenza fra il bianco e nero con quel che “di poetico” che il b/n aggiunge alle foto, e una immagine ‘a colori’, ma priva “di qualsiasi valore aggiunto”] che Maurizi rivolge a Dondero, e alla quale egli risponde: “Le cose che riguardano la tecnica fotografica sono secondarie rispetto alla sostanza, che poi è l’arte dell’avvicinamento. Il senso più grande è introdursi in mondi che per noi sembrano impenetrabili.” In coda alla conversazione Ferracuti ricorda la prima delle epigrafi del libro: “Come epigrafe del libro ho messo una frase di Max Frisch che ti ho sentito citare tante volte.” E allora Dondero dice: “Aspettavamo delle braccia, e invece sono arrivati degli uomini”. E Ferracuti dice: “Proprio quella”. “Il mondo in una regione” si “avvicina” e ci racconta – benissimo – molte cose che ci allietano e insicurezze drammatiche, individuali e comuni. E forse è proprio per questo che a pag. 74 Ferracuti trascrive queste parole di Robert Castel: “Una società di individui non sarebbe più, propriamente parlando, una società ma uno stato di natura, cioè uno stato senza legge, senza diritto, senza costituzione politica e senza istituzioni sociali, in preda a una concorrenza sfrenata degli individui tra di loro, alla guerra di tutti contro tutti.”
Metropoli locali
La responsabilità dell’autore: Michela Murgia
[Dopo gli interventi di Helena Janeczek, Andrea Inglese, abbiamo pensato di mettere a punto un questionario composto di 10 domande, e di mandarlo a un certo numero di autori, critici e addetti al mestiere. Dopo Erri De Luca e Luigi Bernardi, le risposte di Michela Murgia]
Come giudichi in generale, come speditivo apprezzamento di massima, lo stato della nostra letteratura contemporanea (narrativa e/o poesia)? Concordi con quei critici, che denunciano la totale mancanza di vitalità del romanzo e della poesia nell’Italia contemporanea? Ti sembra che le pagine culturali dei quotidiani e dei settimanali rispecchino in modo soddisfacente lo stato della nostra letteratura (prosa e poesia), e quali critiche faresti?
Aver scritto un paio di libri non mi dà licenza di commento sullo stato della letteratura italiana contemporanea più di qualunque altro lettore forte, anche se il mio «forte» significasse qualcosa di più dei dodici libri all’anno della media italiana della categoria. In diversa proporzione ho letto libri ottimi e libri che mi hanno lasciato solo il rancore per i soldi spesi, ma ci vuole altro per vedere la produzione letteraria italiana come un corpo collettivo con uno stato di salute generale da verificare. Se si è critici o se del critico si ha l’inclinazione all’anamnesi, la si può (e si deve) leggere anche così; solo non è il mio mestiere. Avrei piuttosto qualcosa da dire sulla difficoltà di trovare qualcuno che il critico lo faccia ancora, al di là di marchette, anticipazioni, recensioni della quarta di copertina o sassolini dalle scarpe in terza pagina firmati non da critici, ma da scrittori con qualche conto di rabbia da regolare. Anche su Libero, perché no.
carta st[r]amp[al]ata n.5
di Fabrizio Tonello
C’era una donna di temperamento e di passioni non consumate in vitro giovedì sera a San Remo, scrive Marinella Venegoni su La Stampa. Una donna che ha cavalcato il ‘900 a muso duro e non ha smesso di essere attenta alla vita, sempre in viaggio tra emigranti solidali… Oggi, grazie a preziosi documenti, siamo in grado di rivelare la verità, appena sfiorata dal reticente articolo del quotidiano torinese. La storia della donna che ha cavalcato il ‘900 è ben più affascinante di quanto reso pubblico fino ad oggi.
Nella bocca di Milano
Sta nella bocca, il male risiede nella bocca. Come la lingua, come l’ostia sconsacrata che ti mangi, che ti succhi, che ti tocchi con la lingua. Risiede dentro la bocca, il male: come il verbo.
La prima cosa che fa è sorridermi. Mi sorride di un sorriso sgangherato, aperto, eccessivo, brutto, lo tira con due dita, come dal dentista: come una pernacchia. Mi mostra il dente che gli hanno spaccato, a luglio. Nella bocca, risiede il male. In due, lo hanno menato. Gli hanno detto: “Ti ammazziamo stronzo. Questo è perché così non te lo scordi”. Quella era la quarta minaccia, poi è arrivata la quinta. Cinque, le minacce. A morte. A non parlare più.
Premio Dedalus – Classifiche totali febbraio 2010 + Classifica opere tradotte 2009
Come da regolamento, sono stati esclusi dalle votazioni il libri di Guido Mazzoni, I mondi (Donzelli), per la Poesia e La strada di Levi di Marco Belpoliti-Andrea Cortellessa-Davide Ferrario- (Chiare Lettere) per le Altre Scritture.
NARRATIVA
1) N. Lagioia, Riportando tutto a casa, Einaudi- p. 79
2) D. Starnone, Spavento, Einaudi – p. 35
3) G. Mozzi, Sono l’ultimo a scendere e altre storie credibili, Mondadori – p. 22
3) L. Pugno, Quando verrai, minimum fax- p. 22
5) E. Albinati, Guerra alla tristezza! , Fandango – p. 21
6) S. Ballestra, I giorni della rotonda, Rizzoli – p. 15
6) L. Rastello, Unidici buone ragioni per una pausa, Bollati Boringhieri – p. 15
8) A. Tabucchi, Il tempo invecchia in fretta, Feltrinelli – p. 14
9) L. Carrino, Pozzoromolo, Meridiano Zero – p. 11
10) Wu Ming, Altai, Einaudi – p. 10
MACHINÆ
di Franco Buffoni
Macchine per la misurazione del tempo e dello spazio, per i trasporti e le comunicazioni; macchine idrauliche, militari, chirurgiche. Macchine musicali. Roma non ha riempito l’impero solo di ponti, acquedotti e archi a sesto acuto, inventando piattaforme girevoli e piattabande armate, macchine da guerra e d’assedio, carrucole e gru.
Roma inventa le stazioni ricetrasmittenti sub specie di torrette d’avvistamento sulle quali piccoli fuochi vengono accesi, a destra a sinistra al centro o sul tetto. Chi trasmette e chi riceve possiede una tavoletta con le lettere dell’alfabeto suddivise in quattro colonnine. Il fuoco si accende e si spegne seguendo una numerazione corrispondente alle caselle della tavoletta.
Il concetto di utilitas come visione del mondo. La Colonna Traiana come propaganda della conquista, ma anche del lavoro e dell’organizzazione tecnologica: energia umana e animale, energia idraulica e eolica. La Forma Urbis come piano regolatore, la pianta marmorea della città.
Il calendario e la misurazione del tempo come tecnica di governo della società. Col territorio centuriato, misurato, ordinato e accatastato. E grazie all’aratro a rotelle, Roma si inventa anche la Pianura Padana: consacrandone nei secoli la fortuna agricola attraverso l’uso della ricchezza idrica.
Internet Slowbookfarm: nasce la prima libreria online di qualità
La società editrice Pier Vittorio e Associati Srl vara Isbf , l’e-store che si rivolge a quei lettori ormai stanchi di un’offerta indifferenziata e fuori misura, facendo piazza pulita dei libri pubblicati solo per inseguire mode e fatturati, senza rispetto né per il gusto né per l’ambiente.
No best seller No istant book No print on demand
I più recenti chapbook delle edizioni Arcipelago: Broggi, Cavallera, Padua
La collana ChapBook dell’editore milanese Arcipelago, a cura di Michele Zaffarano e Gherardo Bortolotti, nata circa quattro anni fa, ha al suo attivo già undici uscite. Tra gli autori spiccano alcuni dei nomi più interessanti della scrittura di ricerca contemporanea in lingua inglese e francese, secondo direttrici che possono essere – genericamente – inquadrate per l’area inglese nell’eredità o versante della Language poetry, e per l’area francese nel vasto spazio di scritture che hanno fatto séguito alle esperienze successive (a volte distanti da) “Tel Quel”. La collana ha uno spazio per italiani che lavorano in non diverse direzioni. Si parla di nuovo cut-up, googlism.
Recitando dietro il paravento
di Antonio Sparzani

Sono stato a Milano ai giovedì di Sud giovedì 11, come spesso faccio, e ho sentito il reading di Alessandra Racca (che ha un bel sito). Titolo della serata “eroticismi”, con annunci di spogliamenti e stranezze varie. Ero dunque un po’ perplesso, ma anche incuriosito, dato che mi fido abbastanza dei gusti delle due brave organizzatrici degli incontri del giovedì, Anna Lamberti Bocconi e Francesca Genti, poetesse esse stesse, e quindi amiche di queste allitterazioni, alle quali si è ora aggiunto come “preziosissimo co-organizzatore” Luciano Mondini.
L’allestimento dell’evento era semplicissimo, Alessandra recitava le sue cose con alle spalle un filo da bucato con appesi calzini e altri indumenti che aumentavano durante lo spettacolo, e tante mollette da bucato pronte all’uso. C’era poi sulla destra di chi guarda, un paravento, cioè un telo appeso allo stesso filo, dietro il quale ogni tanto Alessandra si rifugiava per fare i suoi trucchi, o meglio per fare finta di spogliarsi.
La prima cosa che mi è piaciuta è che Alessandra offriva i propri versi accompagnandoli col suo corpo, voce e gesti, in modo da arricchirli e valorizzarli. Sarà normale per un poeta, direte voi, no che non lo è, la maggior parte dei poeti, mi perdonino essi ed esse, recitano le proprie poesie come fosse la lista della spesa, come fosse la prima volta che le vedono, una cosa avvilente, che riduce immediatamente il valore dei testi. Alessandra proprio no, lei leggeva con passione e si sentiva che aveva pensato e scritto lei quelle cose.
La responsabilità dell’autore: Luigi Bernardi
1.
Come giudichi in generale, come speditivo apprezzamento di massima, lo stato della nostra letteratura contemporanea (narrativa e/o poesia)? Concordi con quei critici, che denunciano la totale mancanza di vitalità del romanzo e della poesia nell’Italia contemporanea?
Non credo si possa parlare di mancanza di vitalità, quanto di assenza di direzione, o meglio ancora di offuscamento di direzione. Scrittori capaci in Italia ne abbiamo in buona quantità, solo che non sempre riescono a produrre opere di qualità. La ragione mi sembra vada cercata nella etichettatura che la critica e gli stessi autori si sentono in dovere di appiccicare alle loro opere, in una sorta di divisione a priori che crea branchi all’interno dei quali molti si rifugiano per sottrarsi alle proprie responsabilità individuali. Etichette – peraltro risibili a partire dagli stessi nomi, come New Italian Epic, New Realism, Post Noir – che spostano il problema dall’opera in sé all’appartenenza della stessa: un sintomo almeno di immaturità, la sola qualità di cui non può fregiarsi la letteratura. Un altro problema mi sembra quello della paura che molti scrittori hanno di non essere consolatori, di non offrire uno sguardo positivo del mondo intorno. Prendo per esempio uno dei titoli migliori della scorsa annata, Accabadora di Michela Murgia: a due terzi del romanzo l’autrice compie una svolta ardita e poco credibile, solo per arrivare a un finale che al cinema si direbbe lieto. La redenzione non è un obbligo della letteratura, è una mistificazione della realtà.
PERCHÉ BUÑUEL
Di seguito il terzo intervento della rassegna Sguardi a perdita d’occhio. I poeti leggono il cinema. L’introduzione e gli altri interventi si posso leggere qui, qui e qui.
di Franco Buffoni
Perché scelgo di proporre Buñuel per questo ciclo di Bergamo-poesia, che mira a coniugare l’arte di un grande regista con la scrittura di un poeta contemporaneo?
Ricordo che negli anni accademici 1969-70 e 1970-71 – mentre ero studente alla Bocconi – frequentai anche i corsi di “Teoria cinematografica” tenuti da Sergio Raffaelli e Morando Morandini presso la Facoltà di Teologia dell’Aloisianum di Gallarate. E il regista sul quale svolsi la mia tesi fu Luis Buñuel. Basta questo perché io lo scelga di nuovo a distanza di quasi quarant’anni?
Camilleri, Tomasi di Lampedusa o Sciascia? «Sfiga nei confronti della Sicilia». Parola di assessore.
(postato da Evelina Santangelo)
di Giacomo Di Girolamo
«Le ideologie sono ormai superate. Destra e sinistra, tutti assieme, almeno per un anno prendiamoci una pausa. Non leggiamo più per un po’ Camilleri, Tomasi di Lampedusa o Sciascia perché sono una sorta di sfiga nei confronti della Sicilia. Ci vuole ottimismo». Mario Centorrino, assessore alla Formazione della Regione Siciliana.
Non sono nuove le parole di Centorrino. Le abbiamo già sentite. Anzi, c’è tutta una letteratura, dei politici del «ghe pensi mi». L’aveva detto prima Gianfranco Miccichè: «Che nome triste per l’aeroporto di Palermo, chiamarlo Falcone e Borsellino….che immagine diamo della Sicilia?» (niente sapendo che poi, nel 2010, ci avrebbe pensato Dj Francesco a pulire memorie e coscienze nel programma televisivo più inutile e pacchiano che la Rai abbia mai trasmesso). Il Ministro Brunetta di questo stile ne ha fatto un punto programmatico forte: in ogni convegno in cui prende parola, ad un certo punto gonfia tutto e comincia (con la voce identica a quella di Paolo Rossi) tutta la sua filippica contro il «marciume» culturale italiano. Per non dire poi del Ministro della Cultura Sandrone Bondi e quel suo «gli intellettuali fanno schifo» di poche settimane fa. O dello stesso Berlusconi, nel Maggio scorso: «Per la politica e la democrazia…. Ghe pensi mi!».
Portami a ballare
Anche la cataratta dovevi farti venire, sbuffa Irene. La madre, seduta sulla sponda del letto, con le gambe nude e secche che dondolano, su e giù, avanti e indietro, non ne vuole sapere di alzare le braccia. Dalla vita in su, il suo corpo è pesante, immobile nel vuoto. Irene si ferma, spazientita; la camicia da notte è una palla tra le sue mani magre, affaticate. Affonda le dita nella palla di stoffa, la guarda negli occhi: e se tu fossi morta, mamma. Sbrigati, la strattona, lo sai che non potevo lasciarti addosso il vestito bello. Irene le alza un braccio, e infila. Dai, forza. Poi le alza l’altro, e Irene infila ancora. Il pannolone lo ha già cambiato stamattina, prima di andare in ospedale per la visita. Adesso è ora di pranzo e il bar sarà pieno. Ci mancava solo la partita, pensa. Irene vuole andare a fare il suo dovere in fretta, preparare i caffé che deve e riempire i bicchieri senza fare domande. Perché l’unica cosa che desidera, che desidera veramente, è che arrivi sera. Per andare a cena con Salvatore. Speriamo si sia ricordato di prenotare il ristorante, pensa Irene, speriamo che non vada a finire come con il teatro al loro secondo appuntamento.
Ho perduto la memoria
Ho perduto la memoria
sopra un libro di storia
negli archivi di Stato,
tra le glosse, i manoscritti
e gli altri resti del passato.
da “Prati”
di Andrea Inglese
Prato n° 147 (magnetofono e proiezione super otto)
Cerchiamo di farla noi, in tutta tranquillità, così ravvicinati, confidenti, un’infanzia, senza drammatizzare. In qualsiasi momento, è di grande utilità, rimbocchiamoci le maniche, un’infanzia nuova, con rigore. È ovvio che ci va di mezzo un bambino, soluzioni alternative non ne esistono, ci andrà di mezzo, anzi mettiamocelo subito, meglio un maschio allora, che le bambine sono più difficili, se si sdraiano sull’erba, e sollevano i loro vestiti leggeri, a fiori. Come quelle fotografate da Lewis Caroll, dai vestiti logori e le facce adulte, per via delle gonnelline quasi rovesciate, di quella pelle troppo dolce, ma le labbra gonfie, come disegnate sopra, del tutto false, da donna matura, nessuno sa come gestire le labbra adulte, sulle gambe dolci, con il gonnellino tirato su, che poi uno le fotografa, come Lewis Carroll, queste bambine, e non sa più perché va a fotografare tutta questa infanzia, proprio tra le bambine, sui loro corpi, appena si sdraiano, e sceglie le facce più adulte, le labbra mature.
La responsabilità dell’autore: Erri De Luca
IL CALZOLAIO
di Erri De Luca
Un calzolaio è tenuto a fare bene le scarpe, questo è il suo compito istituzionale. Se poi vuole darsi un supplemento di responsabilità civile, allora deve stargli a cuore la buona causa di dare libertà di scarpa e di cammino a tutti, di più a chi ne è privo.
Lo stesso uno scrittore: è tenuto a scrivere bene le sue storie e se ha fatto questo in buona coscienza, ha meritato il rango e lo stipendio. Ma se ci tiene a darsi un impegno in più, allora gli spetta di promuovere la libertà di parola per chiunque, compresi i suoi avversari. Libertà di parola detta, scritta, letta, cantata: per tutti non solo per qualche collega ristretto da un regime.
In anni passati ho letto di qualche scrittore nostrano che esigeva il silenzio, l’ammutolimento civile per qualcuno a lui sgradito. Questo è rinnegamento puro dell’unico impegno e impiego utile di uno scrittore: garante del diritto di espressione di chiunque.
Al di fuori di questo ambito a me è capitato nella vita di servire qualche buona causa. Ho fatto parte dell’ultima generazione rivoluzionaria di Europa, ho fatto l’autista di convogli di aiuti nella guerra di Bosnia, sono stato a Belgrado nella primavera del ’99 a stare dalla parte del bersaglio degli attacchi aerei della Nato. Queste e altre simili sono state mie mosse di cittadinanza. La scrittura non c’entra e se c’entra, segue come in una cordata su un ghiacciaio. A battere pista davanti ci pensa la vita.
Diffido di scrittori in politica.
Io non sogno mai
Sapienza Università di Roma – Dipartimento di Italianistica e Spettacolo
IO NON SOGNO MAI
Scrittura e sguardo in Giorgio Messori
Giornate di studio
23-24 febbraio 2010
Facoltà di Lettere e Filosofia – Aula III (piano terra)
Radio Kapital : Alain Badiou
Elogio dell’amore
di
Alain Badiou (intervistato da Nicolas Tuong)
traduzione di Roberto Bugliani
N.T. -: Perché non progettare una “politica dell’amore”, allo stesso modo in cui Jacques Derrida aveva abbozzato una “politica dell’amicizia”?
A.B. – Non penso che amore e politica si possano confondere. A mio parere, “politica dell’amore” è un’espressione priva di senso. Ritengo che quando si dice “Amatevi gli uni con gli altri” si faccia una morale, ma non una politica. Perché in primo luogo in politica vi sono persone che non si amano. E’ incontrovertibile. Non possono chiederci di amarle.
N.T. – Contrariamente al protocollo dell’amore, la politica sarebbe innanzitutto scontro tra nemici?
A.B.- Veda, in amore la differenza assoluta esistente tra due individui, che è anche una delle più grandi differenze rappresentabili perché è una differenza infinita, un incontro, una dichiarazione e una fedeltà possono dunque cambiarla in un’esistenza creatrice. In politica non si produce niente di tutto ciò per quel che concerne le contraddizioni fondamentali, il che permette l’effettiva esistenza di nemici designati. Una questione molto importante del pensiero politico, oggi difficilissima da affrontare – in parte a causa del particolare contesto democratico in cui ci troviamo – è quella dei nemici. Si tratta della domanda: ci sono dei nemici? Ma dei nemici per davvero. Colui che lei, triste e rassegnato, vede assumere con regolarità il potere, solo perché molte persone hanno votato per lui, non è un vero nemico.
Darsi all’ippica
di Gianni Biondillo
La verità è che io non ci sono mai entrato. Mi ricordo quando, da bambino, mio padre mi portava allo stadio e si passava davanti all’ippodromo ed era tutto un racconto di cavalli, scommesse, gran dame, nobiltà. Una specie di mondo incantato, una favola, una realtà parallea a quella che frequentavo io, piccolo sottoproletario milanese. Come poteva mio padre conoscere quel mondo magico e misterioso, sapere di galoppo, trotto e alta società?
Nel segno della parola: Viton, Cepollaro, Bertasa a Monza
[Giovedì 18, al Teatro Binario 7, un’occasione importante per ascoltare la poesia di Biagio Cepollaro, Mario Bertasa e Jean-Jacques Viton, uno dei maggiori poeti francesi. Di Viton, su NI, leggere qui.]
Giovedì 18 febbraio h. 21.00
MONZA Teatro Binario 7 (via Turati 8, di fianco alla stazione FS)
un’iniziativa di Poesiapresente
NEL SEGNO DELLA PAROLA
Jean-Jacques Viton (FRA), intervista e reading
Biagio Cepollaro (MI), reading con videoproiezioni
Mario Bertasa (MB), reading con videoproiezione
Viton (1933), uno dei poeti francesi contemporanei più significativi, leggerà il suo “commento definitivo” (traduzioni di Andrea Inglese). Inoltre, grazie all’intervista condotta dal poeta Andrea Raos, sarà possibile approfondire la poetica dell’autore, la cui ricerca presenta caratteristiche difficilmente rintracciabili negli autori Italiani.











