
di Francesco Forlani
1.lo stupro costante delle nostre menti
Quando passi attraverso le case, le luci, i cieli, soprattutto i cieli, delle opere esposte, qui, nel museo Magritte, è tutta una successione di ricordi e sogni sognati. Una realtà che rimane tale per pochi attimi, l’affiche acquistata al Pompidou vent’anni prima e che si stacca dal muro trascinando con sé un pezzo di intonaco insieme alle due strisce di scotch, a croce, nel mezzo della cameretta. Sono soprattutto i colori delle gouaches appese ai titoli, onirici e rreali del ” saboteur tranquille”: la voix du sang, la lettrice spaventata, chambre d’écoute, e provi estrema dolcezza di visione dall’utopia sospesa del fantastico Château des Pyrenees. “J’aime l’humour subversif, les taches de rousseur, les genoux, les longs cheveux de femme, le rêve des jeunes enfants en liberté, une jeune fille courant dans la rue.” Magritte scrive di amare l’ Humour sovversivo, le guance arrossite, le ginocchia, i capelli lunghi delle donne… Per questo il piccolo quadro, in bianco e nero, le viol, – una parola che è una beffa, dolce come un colore, leggera da evocare volo – è un inferno. Un’opera che nessun Maurizio Costanzo Show – ricordate le copertine magrittiane usate durante le trasmissioni per i consigli per gli acquisti?- avrebbe potuto mettere a fuoco e in pasto ai famosi milioni, di telespettatori. Pensi a Munch, Goya, con quel volto, faccia che diventa corpo, i seni sono occhi pestati, il naso ritratto nel volto, affossato da un pugno, e la bocca, cucita a silenzio, un orifizio muto.