
di Giuseppe Zucco
Esente da memorie e da speranze, illimitato, astratto,
quasi futuro, il morto non è un morto, è la morte.
Jorge Luis Borges
Guardo la morte di Enzo Biagi. Lo guardo morire da domenica mattina. Muore infinite volte, il più autorevole dei giornalisti italiani, e prima di scendere sottoterra, scava dappertutto lo spazio in cui verrà sepolto. Non lo accoglie solo la terra dell’ultimo giorno. Ma continua a scavare il proprio spazio nella carta dei giornali, tra i pixel del televisore, nelle onde della radio, nella diramata espansione di internet. Si muore anche così, oggi. Trovando un ultimo posto – mai definitivo – tra le parole e le immagini.
Ed è un finale senza fine. La deflagrazione dell’addio. L’irradiazione del commiato. La dispersione della commozione e dell’affetto.

Pacini Duilio, detto Cartaccia, per la prima volta in vita sua ebbe pietà di sé. Pensava:”Certo che è brutto morire soli come cani.” La tosse era diventata un nodo che gli toglieva il fiato, le logge, che per quella notte erano la sua camera, facevano da cassa armonica e il suo rantolo rimbombava per tutto il rione da ore.





Milano films 1896-2009. La città raccontata dal cinema, Fratelli Frilli Editori