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Viva L’Italia!!!!

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La nazionale di cricket under 15 ha conquistato il titolo di campione europeo battendo la squadra dell’isola di Man per 163 a 59 nella finale. Il presidente della Federcricket, Simone Gambino, ha dedicato la vittoria a Umberto Bossi, visto che quasi tutti i ragazzi sono figli di immigrati pakistani, indiani, bengalesi e dello Sri Lanka.

CONTRAFFORTE

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di Stefano Raimondi

Io ti conosco e non ti conosco insieme:
tu vicino con me in altro
e altro in me ancora da capire.

I

Ci sono giorni dove nascere porta luce, battesimi
d’acqua: pazienze. Altri fanno rumore. Hanno
tagli e attese: portano lontano.

II

Cerchiamoci negli spazi gialli della primavera
nelle coordinate sbranate dal cuore.
Cerchiamoci fin dove si può arrivare
tu mano difficile, io muro appoggiato, di rovina.

Mafie: l’impunità culturale tutta lombarda della politica del non fare

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[il mio giullare preferito non è andato in vacanza questa estate. E mentre io ero a spassarmela lui scriveva queste cose sul suo blog. G.B.]

di Giulio Cavalli

Passano d’agosto i circhi vecchi delle dispute politiche officiate dagli strateghi della politica dello “stare”: quelli per cui ogni comunicato stampa serve a tranquillizzare e tranquillizzarsi, e per i quali l’azione politica si riduce ad un “tenere in bilico” la barca dalle onde di collaboratori troppo ingombranti o peggio ancora di magistrati e forze dell’ordine che osano esimersi dalle ronde (alcoliche e analcoliche) o dalle persecuzioni legittimate. Se perseverare è diabolico, la Lombardia, pure ad Agosto, sottolinea la propria perseveranza (diabolicamente incendiaria e cornuta) nell’arroccarsi tra codicilli e competenze pur di non prendere decisioni e tanto più negarne il diritto agli altri.

A Milano che “la mafia non esiste” o perlomeno “non appartiene a questa città” la sindachessa Moratti ha provato a ripeterlo ovunque dai consigli comunali, alle televisioni in prima serata fino ad abusarne favoleggiandoselo (probabilmente) la sera per addormentarsi.

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due passi ( fare )

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Véronique

Mogano
Il toro entra
in fretta
dall’ oscurità
nella camera di sabbia

Muñeca
senza smalto sulle unghie
prega la grazia
della figlia che è sdraiata
al sole navigatore
ammutinata

Balla il costume nell’arena
con fiori ricamati d’oro
Domani il primo sangue
sarà versato

Città della rinascita
le nozze sono lontane
e ancora nella nebbia
degli oleandri, aspetta

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Gherardo

pronti a distinguere tra alcuni
eravamo distratti dalle giornate normali, dal corso previsto dei nostri
sotto certi aspetti la questione si poneva il mattino
intendendo per qualità qualcosa di

e infatti la luce di luglio ci diceva qualcosa
assecondando il piano generale che la voce dei telegiornali
ma distratti
ripensando al primo dei gravi errori ed alla nostra

rispetto alla questione del futuro
eravamo comunque in disaccordo
sulla possibilità che poi durasse

la possibilità di un consumo innocente
da lontano, come un saluto
dentro a piccoli gesti che ti toccava scordare

le rire 2°: à la Cage [ Water Walk ]

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[ John Cage – elegantissimo – esegue il suo Water Walksottotitolato Water Music No.2 – durante la popolare trasmissione americana I’ve Got A Secret nel Gennaio del 1960 – periodo in cui insegnava composizione sperimentale a New York ed era un personaggio assai controverso – nella composizione – datata 1959 ( anno in cui esegue Sounds of Venice – un pezzo simile – mentre partecipa alla trasmissione italiana Lascia o raddoppia con Mike Bongiorno e vince anche – impeccabilmente – cinque milioni rispondendo a domande sulla micologia – i funghi ) Cage utilizza 34 eterogenei – e anche non propriamente musicali – “strumenti” – e non tutti relativi all’acqua –

due passi (fare)

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PASSO A DUE
GINGER: Nina Maroccolo
FRED: Giovanni Campi

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SORGE SONORA
di Nina Maroccolo

piove━━━━━━━━━━━
       sorge sonora 
la parola-goccia a
goccia ][ distillata
                            acquamarina ] 
sia ermetica saggezza
             in corpo eloquente━
dita sorde 
tambureggiano ore
l’incavo corpo ][
                sepolcro ]
divida l’urna a metà
tace la parte sottostante
vulnerabile     [ sé 
del corpo civile ][
ministero di buona 
maniera e 
contenimento ]
che il silenzio osserva
e la parola non 
                        prescrive 
dove il bene━ essere 
                         [ sia ]
avanguardia d’una 
perturbazione
                        vento indomito 
su tutti i mari━━━━━━━

“le principesse conoscevano già il labirinto, ma davanti agli occhi di tutti: era uno spiazzo per la danza”
(Roberto Calasso, Le nozze di Cadmo e Armonia)

“che cosa è la danza e cosa dei passi possono significare?”
(Paul Valéry, L’anima e la danza)

dono per dono
di Giovanni Campi

se òrge son or danze in frali dèdali
di nebulose: nodi sian di nido
ch’avvolgo e svolgo ] cune [ come d’ali
al volo pronte – donde l’onde annido

smarrito e riannodo dono per dono
perdend’approdo e deriva – sconnessa
arena ad esso teatro dal sono
deserto ] soffio [ l’avita sommessa

parola – primi geni tu – or li grido!
guscio da franto qual s’è o fu sé o ] sia [
d’embrione ché sarà ricam che trama

se dentro-c’esce-fuori-centro – strido
io d’astri in nomi nati – padri pria
che figli – e re – ] sia conchiglia [ – (sol)chi ama

Il fantasma della nudità

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di Andrea Inglese

Nonostante tutti i nostri sforzi, i nostri miracoli di adattamento, il duro esercizio dell’attualità, siamo con puntigliosa costanza espulsi dall’Eden dell’ideologia. Ci ritroviamo sempre, prima o poi, su terreni dissestati, senza piste plausibili, ad avanzare a tentoni, tra buche e rovi. E ogni volta eravamo convinti che l’Eden fosse un comparto stagno, che la moquette di trifogli e sulla fosse eterna, in fibra sintetica, e invece il tappeto erboso si squarcia di nuovo e le pareti stagne si fanno zeppe di voragini da cui si scivola via, fuori, nell’inospitale aperto. (Quell’Aperto che piace a poeti e filosofi, ma fa schifo a tutti noi, in quanto cittadini ordinari di una precisa zona del mondo.) Che le nostre democrazie così mature e oliate, dovessero garantirsi a colpi di leggi discriminatorie e di condivisi slogan razzisti, è stata davvero una sorpresa inaspettata. Che il buon vecchio capitalismo, uscito sempre indenne e riformato dalle sue crisi, ritornasse a esibire la sua paradossale natura, che arricchisce i pochi impoverendo i molti, è stato davvero un colpo basso. Che le missioni di pace si trasformassero nel solito far west vietnamita, è stata davvero una sconcezza.

Fernanda dorme sulla collina

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pivano

di Chiara Valerio

Ho incontrato Fernanda Pivano la prima volta nel millenovecentottantantotto. Stava su una pagina interna di un libro Einaudi. Ci ho messo un po’ a capire, nonostante tutte le parole che finivano per consonanti, che Spoon River non fosse scritto da un italiano. Non fosse scritto in italiano. E non fosse qualcosa di casa mia, come le maioliche azzurre rettangolari.

Perché c’erano dentro moltissimi personaggi che facevano parte dei giochi tra me e mia madre, che stavano nelle favole che mi raccontava e in certe canzoni che mi cantava. Il ragazzo spartano che non si strappa il lupo da sotto il mantello e quello strappato al male a venire, la barca che anela al mare eppure la teme, l’anima che d’improvviso fuggiva, il vortice di polvere, questi gerani che qualcuno ha piantato su di me, tutti, tutti dormono sulla collina, provate a rubare una mela e il modo come la gente considera il furto che poi rende ladro il ragazzo.

IL SOGNO DI EVADERE TUTTO

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[Questi frammenti critici sono tratti dal volume: Patrizia Vicinelli, Non sempre ricordano. Poesia Prosa Performance, a cura e con un saggio di Cecilia Minciacchi Bello, introduzione di Niva Lorenzini, con illustrazioni in b/n, antologia multimediale in dvd a cura di Daniela Rossi e con la partecipazione straordinaria di Paolo Fresu, Firenze, Le Lettere, Collana “Fuori Formato”, 2009].

di Cecilia Bello Minciacchi

per creare dei fuochi che durino, visibili anche in lontananza
Patrizia Vicinelli

In qualche rara immagine di letture o incontri del Gruppo 63 Patrizia Vicinelli è ritratta con un tubino nero e un filo di perle: è il 1967, lei siede con eleganza accanto a Giorgio Celli intento a leggere Il parafossile . Di famiglia borghese, di buone letture e buoni studi, Patrizia Vicinelli, non ancora ventitreenne, al convegno di La Spezia del giugno 1966 aveva letto i suoi testi e stupito l’uditorio, meritando, per le sue doti vocali e interpretative, le lodi immediate e spassionate di Cathy Berberian. Il suo impatto sugli ascoltatori è stato forte fin dalle sue primissime prove pubbliche e quell’energia, quell’intensità comunicativa dimostrate agli esordi non cesseranno mai, negli anni successivi, di caratterizzarne scrittura e performance. Nel giro di poco il bon ton del filo di perle scompare, tanto da essere per noi, oggi, una curiosità iconografica: l’immagine fisica di Patrizia Vicinelli sarà poi legata, piuttosto, a esperienze di cinema underground, a letture di testi poetici in cui non erano certo né la misura né l’aurea medietà a dominare, e neppure il rispetto delle convenzioni o il risparmio di sé.

Morte Occidentale di un Anarchico

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Sconfitta l’umanità della parola
di
Antonio Manzo
(da Il Mattino edizione di Salerno del 15 agosto)

S’è smarrita anche l’umanità della parola. Silenzi, tentativi di indurre al silenzio, offese a quella umanità della parola che può esser perfino lenitiva di un dolore e foriera della speranza e della grazia di una verità. Dopo la tragedia che si è consumata in un ospedale del Cilento, dove un uomo entra vivo nel reparto di psichiatria di un ospedale ed esce morto dopo quattro giorni, non c’è parola ufficiale delle istituzioni pubbliche, Asl, Regione, governanti e commissari, tutti quelli che fanno quotidianamente i conti con la sanità disastrata ed ora terremotata nella coscienza. Silenzio. Neppure un atto teso a scoprire la verità del funzionamento di un servizio pubblico che fa contare un morto. Tutti in ferie. Non è in ferie un pm che tenta di modulare la Legge all’umanità della parola e consegnare giustizia ai familiari, gli amici di Franco Mastrogiovanni. Sì, per quell’uomo bollato come pazzo scatenato in una notte d’estate, braccato nell’ultimo giorno di luglio su una spiaggia, come se fosse stato il killer latitante più pericoloso del mondo e poi lasciato morire sotto l’impotente, ma almeno quello incorruttibile, occhio della telecamera che vigilava sulle sue ultime novantasei ore di una vita tragica. Franco era lì, uomo legato con fili rigidi, di ferro o di plastica poco importa, immobile, polsi e piedi sanguinanti. Franco gridava a squarciagola al mondo che lui non era pazzo, occhi sbarrati verso il soffitto, aggressivi e dolenti nel pendolo della rassegnazione finale. Ha avuto anche la sfortuna di morire ad agosto, Franco Mastrogiovanni. Quando tutti sono in ferie, tranne il pm. Quando è in ferie chi dovrebbe spiegare come è possibile che si possa morire in una stanza di un reparto di psichiatra di un ospedale del sud. È in ferie chi punta sul cinismo della distrazione collettiva per far smarrire l’umanità della parola. Medici imputati e in servizio, manager silenziosi, cinici ma non impauriti, e ancora seduti. Solo un pm al lavoro perchè torni almeno l’umanità della parola.

Morte Occidentale di un Anarchico

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Ero nella regione quando è accaduto il fatto. Abbiamo appreso la notizia in una mattinata di sole, di cielo azzurro. Alcune delle persone che erano con noi lo conoscevano bene. Quel dolore ti appartiene perché non riesci a credere che si possa morire così. In una giornata insopportabilmente di sole e di cielo azzurro.
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Giustizia per Franco, l’ultimo irrequieto
di Antonio Manzo
(pubblicato su Il Mattino, edizione Salerno , giovedì 13 agosto

«A Vallo no, perché là mi uccidono»: Licia Musto Materazzi è l’ultima persona che ha udito le parole di un uomo che sarebbe entrato vivo all’ospedale di Vallo della Lucania e ne sarebbe uscito morto. Si chiamava Franco Mastrogiovanni “noto anarchico” per le carte della giustizia, “ottimo maestro” per i i suoi alunni e per i dirigenti della scuole dove ha insegnato. E pensare che per quell’uomo, la cui vita cambiò in un pomeriggio di luglio trentasette anni, su via Velia a Salerno, nei tragici attimi dell’omicidio di Carlo Falvella, ora piangono davvero tutti.

due passi ( fare )

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Mario

Primo passo

Signorina R, stiamo arrivando“.
Mi comunicano da un luogo lontano. Per farlo usano il telefono che non ha la spina nel muro.
Risperdal®
E’ indicato nel trattamento delle psicosi schizofreniche acute e croniche.
Somministrazione giornaliera: 0,5 mg.
Tempo: Passaggi del Sole sul meridiano.
Luogo e tempo: Dormo nel letto di una stanza chiusa a chiave, con le mani legate da fodere di cuscini bianchi. Ai piedi del mio letto un tavolino: regge un televisore che trasmette l’immagine fissa di un mezzobusto in camice bianco. La tv pare un teatrino, lui un burattino senza anima, io un corpo mal-animato e senza mani.
“Non siate spettatori della vostra vita: seguite le cure del personale curante. Non siate spettatori della vostra vita…” ripete lui sempre uguale, ricorda una centrifuga di lavatrice.
“Sta buono tu, che sei rinchiuso in quella scatola parlante!”– grido io.
Tempo futuro:
Dalla brochure di accoglienza del centro salute mentale “Il girasole”:
-Riceverete oltre a questo opuscolo anche l’informazione sul diritto di ricorso e i nostri numeri di telefono.

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Gaja

Secondo passo.

“Non trattarmi male: io ti seguirò sempre, sono con te, non ti lascerò. Non sarai mai sola. Riempiti gli occhi di me. Mi vedi? Guardami. Cos’è la libertà? È stare chiusi in una scatola. La libertà è confine. Cos’è la libertà? La libertà è limite. È assenza di pensieri. Tu non devi scegliere. Pensiamo a tutto noi. Questo è libertà. Assenza di pensieri”.
Luogo e tempo: dal letto della mia stanza chiusa a chiave osservo il mezzobusto in camice bianco che sorride. È un sorriso rassicurante. Non rispondo più e ascolto.
“Guardami. È bello stare rinchiusi. Fare significa sbagliare. Muoversi significa pensare. La libertà è assenza di pensieri. Io sono felice di stare qui dentro. Fuori è la terra del forse. Resta con me. Qui non ci sono incertezze. Qui c’è il sempre e il mai. Fuori è paura. Dentro è difesa”.
Continuo a guardarlo.

Catalunya #4

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di Antonio Sparzani
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Dalle tristezze bisogna pur distrarsi e dopo le olive farcite e ancora con l’interno di Santa Maria del Mar che danza nella mente come illuminandola trattenendo un’immagine di spazi chiari e di vetrate di fantastici colori gotici ci avviamo alla facciata del duomo che è poco distante perché verso l’una di tutte le domeniche qui si balla la sardana che è una cosa che bisogna vedere una volta nella vita la sardana è una danza seria solenne che ricordo da anni addietro mi era parsa una vera manifestazione collettiva di un popolo che ti fa vedere che capacità di compattezza e forse anche di lontananza ha rispetto a tradizioni diverse le sue origini si perdono come spesso nella notte dei tempi che chissà quante cose ormai ha inghiottito ma se la vedi e la ascolti una volta perché la sardana è una danza e una musica assieme non la dimentichi ti viene voglia di entrare anche tu e dire sì anch’io a voi appartengo con voi voglio danzare e ascoltare e insieme sei cosciente di un mondo esclusivo si balla la sardana che pure sembra molto semplice solo se sei uno di loro sei vestito giusto e hai la faccia e la serietà giusta e anche i pensieri certo non si può ballare la sardana pensando a chissaché è una cerimonia calma e solenne così stampata nei miei ricordi e oggi che delusione niente si vede che in agosto è sospesa nessuno sa perché ho dovuto tenermi il mio ricordo di vent’anni fa di quando mi colpì per la prima volta così intensamente e per la prima volta desiderai oh sì desiderai di essere anch’io là in mezzo di acquistare un’identità forte che mi sembra di non averne mai una precisa e provai anche allora quel rimorso e rimpianto e dolore anche di non poter far parte di un mondo che pure mi attirava come tante altre comunità strette di persone della vita famiglie fratellanze partiti orchestre cori ben affiatati e invece no sempre a coltivare ma forse non volendo questa individualità senza compromessi non so

Usain Bolt (9″58)

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Il bambino che sognava la fine del mondo

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scurati

di Gianni Biondillo

Antonio Scurati, Il bambino che sognava la fine del mondo, Bompiani, 295 pag.

Il bambino che sognava la fine del mondo è la storia di una pandemia dello spirito. È la narrazione stupefatta di una psicosi collettiva, che come una lebbra, peggio, come la peste, infetta una città, Bergamo e fa credere ai suoi abitanti che il Male è giunto fin dentro le loro case.

da “NON SEMPRE RICORDANO poema epico”

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di Patrizia Vicinelli

Parte terza

No agli zar, ovvero la fuga

Gridarono: !B.A.S.T.A.!
A UNA CLASSE DI ZAR.
Scoppiano coltelli all’addome
parallelamente traforando colpiscono
quelli che meditano e quelli che compiono.
Tobia che era anche un contadino, pensa:
“Loro in sé – così si espresse – ? compiuti,
non erano male, ma quello che essi rappresentavano,
esecrabile, olé!”
e sentì il bisogno di dirlo,
una revolución pequeña,
per liberarsi della colpa dopo
perché anche lui l’aveva colpito
uccidendolo
aveva preso parte, ecc.
(el patron de la farma).

Loca II: Le città sottili. 3. Armilla

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©,\\’ Orsola Puecher

 
   di Italo Calvino
 
   Se Armilla sia così perché incompiuta o perché demolita, se ci sia dietro un incantesimo o solo un capriccio, io lo ignoro. Fatto sta che non ha muri, né soffitti, né pavimenti: non ha nulla che la faccia sembrare una città. Eccetto le tubature dell’acqua, che salgono verticali dove dovrebbero esserci le case e si diramano dove dovrebbero esserci i piani: una foresta di tubi che finiscono in rubinetti, docce, sifoni, troppopieni. Contro il cielo biancheggia qualche lavabo o vasca da bagno o altra maiolica, come frutti tardivi rimasti appesi ai rami. Si direbbe che gli idraulici abbiano compiuto il loro lavoro e se ne siano andati prima dell’arrivo dei muratori; oppure che i loro impianti, indistruttibili, abbiano resistito a una catastrofe, terremoto o corrosione di termiti.

due passi ( fare )

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Luigia

sono ora al tuo cespuglio
in quella tinta cresciuta
dalla nostra sostanza immensa
la voce staccata dal corpo
segna l’opera il taglio della carne
nel frammento
tutto l’occhio avanza
fino a te che ascolti
il gocciare, piccole macchie
sulla tela,
quel lampo
che ferisce il sogno colpendolo
in pieno viso
la mutilazione,
la sagoma del tronco diviso
il ricovero della carne
nella separazione
con i mattini ventosi sull’acqua
tutta colma
la materia del giardino colpita
così illuminata e sola la luce
da sé sparsa

scorporata

il cespuglio, il cespuglio caro

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Franco

Siamo pronti all’amore quando gli altri se ne vanno. L’amore è un sentimento che nasce sulle rovine, non dentro le case arredate. L’amore nasce quando ci tagliano le mani e noi proviamo ad accarezzare l’altro con l’arto fantasma. Non c’è mai l’amore quando siamo reciprocamente gentili e disponibili, quando capiamo gli altri e noi stessi. L’amore, come la poesia, è dentro fessure in cui cadiamo, è una storta della nostra vita, è una rottura dei legamenti, non una cosa che ci unisce. L’amore ci fa più soli e perduti, non ci mette in pace con niente e con nessuno, ci rende indisponibili alla saggezza, ci fa vedere che la vita è sempre piccola e ottusa quando non è squarciata dalla morte, dal desiderio inappagato. L’amore ci prende per toglierci dalle manfrine di quello che facciamo e diciamo ogni giorno. L’amore non è una faccenda che riguarda il nostro corpo o quello degli altri, ma il vuoto di cui siamo composti, è una faccenda che riguarda le stelle che luccicano nel buio delle ossa.

Il volo [Eracle #5]

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Eracle era un pensatore

di Ginevra Bompiani

Quando si alzavano in volo oscuravano il cielo. Dall’alto della collina, seduto con l’arco e le nacchere di bronzo appoggiate accanto, Eracle aspettava quel momento. Sotto di lui c’erano le paludi grigie, quasi immobili, se non per le bolle d’acqua che ciotoli che ruzzolavano o rane che si tuffavano aprivano le canne. Ma in mezzo, acquattati tra le foglie dei giunchi, c’erano loro, gli aguzzi, i becchi affusolati, taglienti come temperini, e una sull’altra strusciavano come aghi da calza le penne acuminate.

Su “L’età estrema” di Romano Luperini

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di Nadia Cavalera

L’anticamera della morte

Chi volesse solo distrarsi, svagarsi, non lo legga. “L’età estrema” (Sellerio, 2008) di Romano Luperini non è per nulla divertente, nel senso etimologico originario (e quindi poi nella comune accezione odierna), ma anzi è convergente, nel senso che non storna, non allontana, ma concentra, in maniera spietata, l’attenzione del lettore sull’assillo principale di ogni essere umano (che ne abbia coscienza o no), e, secondo me, anche di ogni essere vivente (sebbene non si sia ancora in grado di dimostrarlo): la morte. Inevitabile per tutti. E così angosciante per qualcuno, come l’io narrante di questa storia, da volerla anticipare. «Mi agito mi muovo mi precipito in posti lontani. Fuggo la morte e mi accorgo di correrle incontro», (p.12)

due passi ( fare )

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Helena

Ho una piccola penna nel portafoglio
che hai strappato via due giorni dopo
all’ala azzurra che forse ha condannato
un uccellino ignoto sotto ai tuoi occhi.

Gli hai dato acqua che non riusciva a bere,
gli hai offerto cibo che non credevo adatto:
volevi dargli cioccolato in mancanza d’altro,
finendo per spaccargli col piede di una sedia
i primi pinoli che hai raccolto.

Con cura e carezze di un bambino
che si rispecchia in un simile di un’altra specie,
l’hai snaturato. Per salvarlo. Per scoprire
che non sanguina e non scoppia,
che è fatica dentro e non l’arresti,
la morte che fa schifo ed è ingiusta.

Da morto gli hai dato un nome: Cresselia
L’hai chiamato come una creatura d’aria
venuta da Oriente con un videogioco.
Hai pensato una preghiera vicino al suo corpo.
Hai strappato una piuma per portarla addosso
senza paura di contaminarti.
Hai fatto tutto giusto.

Come facevi a sapere che si nutre di ghiande,
che è diffusa dalla Maremma al Giappone,
se non ti fosti evoluto senza saperlo
come un Pokémon di specie leggendaria,
sino a ritrovarti in una ghiandaia giovane
per amore e per bisogno.

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Carmine

Capisci, è successo qualcosa
Una delle Erinni ha smesso di vendicarsi
Ha interrotto il discorso
Dai treni si vedono alberi
E lontano come in un disegno, un fiume

Il cielo turchese è già andato
Si vede l’amaranto e il rantolo del sole
un cane abbaia al nulla della notte
è una misura colma d’acqua

Ci assolve il giorno e la vista di una tigre occasionale
i nostri atomi trasformano gli spazi
si ostinano ad andare
si schiudono
reagiscono

si fanno gioielli
comete
cristalli

lo sai che sparano ancora gli uomini
agli uccelli?
È per questo che dal cielo cade un rosso sangue
Che finisce nel nero del catrame
Che provoca il dolore e l’animale
Una sorta di macelleria stellare

Poi ti svegli
E senti
Tu la mia voce
E non è un sogno
Dall’altra parte della strada
Gli spazzini sono già al lavoro

Gli uccelli in fila guardano
Cade la neve d’agosto
Il rumore è bianco