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Shangai

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shanghai
di Luca Ricci

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Mio figlio ha detto: buona festa del papà. Il gioco che mi ha regalato si chiama Shangai. Un astuccio di legno con dentro tanti bastoncini colorati. Ci siamo messi seduti sul tappeto del salotto a giocare. Mio figlio mi ha spiegato le regole contento. Probabilmente mi ha regalato qualcosa che piacesse anche a lui. I bastoncini vanno fatti cadere tutti insieme e poi sfilati uno alla volta. Se nel groviglio si muove qualcosa oltre al bastoncino che stai sfilando devi passare la mano. Ogni colore rappresenta un punteggio diverso. Il bastoncino nero dà un sacco di punti. Una roba da chirurghi. Se perdi la concentrazione è quasi sicuro che passerai la mano. Alla tivù parlano di globalizzazione. Mio figlio dice: tocca a te.

C’è molto di vivo ma non ha vita facile

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di Daniele Giglioli

Eccovi, a grande e giustissima richiesta, il misterioso ur-testo della polemica (e poi qui e qui) ritrovato non a Zaragoza, ma su Vibrisse (come Giulio Mozzi ci ha segnalato in un commento).

Le recenti e sgradevolissime polemiche sul premio Strega mi hanno convinto a stendere questo panorama della narrativa italiana contemporanea senza fare neanche un nome. Si potrebbero invocare moventi e precedenti più nobili, dalla storia dell’arte senza nomi ipotizzata da Wölflin a quella della letteratura «senza che nemmeno un nome sia pronunciato» sognata da Paul Valéry, invece di affannarsi a protestare contro l’insopportabile tendenza a ridurre il discorso sulla letteratura a un chiacchiericcio malevolo a base di tabelline, classifiche, chi vince e chi perde, i promossi e i bocciati, chi è amico di quello e nemico di quell’altro. E come sarebbe bello poter dire invece: chi se ne frega, la letteratura è un’altra cosa. Non è così, purtroppo. Quella chiacchiera, quella nube di maldicenza, quel voyeurismo senile, quella foia delatoria («poche chiacchiere, i nomi, fammi i nomi», manco fossimo in questura) non è fuori dalla letteratura. È’ la letteratura, la letteratura in quanto istituzione, habitus, ambiente di vita, se non vogliamo ridurla a una mera esperienza di fruizione individuale (la «poesia» crociana, magari), cosa che la letteratura non è mai stata nemmeno al bel tempo che fu – quello di Dante, di Molière, di Calvino.
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Malati senza saperlo

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di Marco Motta

Del dottor Knock vi potete fidare. Non lascia mai nulla al caso. Un vago malessere v’insidia, e lui accende la luce sul versante in ombra della vostra salute. Vi dice nome e cognome del malanno, vi spiega che siete solo uno tra i moltissimi che ne soffrono, e che una terapia efficace e sicura c’è già, basta fare un salto in farmacia. E sul bancone troverete anche la sua pillola di saggezza: le persone sane sono malati senza saperlo. Il dottor Knock, bombetta occhialini tondi e viso arcigno, protagonista di un film francese degli anni cinquanta (ma basato su un’opera teatrale scritta da Jules Romains nel 1923, Knock o il trionfo della medicina), è il cinico Virgilio del documentario Inventori di malattie, trasmesso il 5 agosto scorso su Rai3 nella serie C’era una volta (ma ancora visibile qui), frutto del lavoro di Nicoletta Dentico, Francesca Nava e Luca Cambi, che ne ha anche curato la regia.

Fine del ritorno (Lettere nomadi, Sez. IX)

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di Luciano Neri

I.

Non pensano alla morte, essendo in rapporto solo con essa (Maurice Blanchot)

(…)

L’acqua del canale si fa grigiastra
Col temporale, arretra il non visibile
Con la sua lotta serrata. Non si può
Entrare cambiando il taglio alle parole
Esclusa è la presenza di chi non ha dolore

(…)

Anche se il dolore fosse di quelli senza
parola, fosse di quelli senza memoria
fosse un fuori in cui nessuno entra
a parte il testimone che ti protegge
fosse un’esausta prova di lampi
fosse un campo aperto minato
sul cammino di chi può dirsi
il non trovato presente, fosse anche
una bocca alla porta chiusa
di un mondo che ha deciso
e tutto il possibile negli occhi
improvvisamente un dono risparmiato
senza ritorno… – fosse questo
l’avvenire, il futuro, aprire
il cuore e guardare

Due note

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di Stefano Gallerani

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NOTA IN BUONA FEDE:
È generalmente risaputo che un sentimento potente si riflette con facilità sull’indole e sul carattere di chi lo prova, mentre non è difficile che induca anche ad atti inesplicabili e perfino contraddittori a paragone di esso. Fra i sentimenti che così si comportano il più comune è l’amore, ma anche la paura può condurre talvolta lontano dalla logica e dalla ragionevolezza. E pure ne ho conosciuto uno, di uomo, affatto insensibile, incapace di sentimento, d’amore o di paura, quanto l’altro che poi conobbi, il fratello maggiore, era, di quei sentimenti d’amore e di paura, pervaso.

Boffo e la privacy

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di Enzo Cucco e Sergio Rovasio

Con una ipocrisia degna di peggior causa Vittorio Feltri sostiene che il fatto per cui il Direttore di Avvenire, Dino Boffo, sia da giudicarsi immorale è la condanna per molestie e non per le sue relazioni omosessuali, come se lo svelamento dell’omosessualità del Direttore dell’organo di stampa di proprietà della Conferenza Episcopale Italiana non fosse molto di più che sapido pettegolezzo, e non si inserisca nella feroce lotta per l’ egemonia sul capo del Governo tra la Lega e il Vaticano.
Quello che invece è molto chiaro è che il Direttore de Il Giornale, applicando la ben nota legge del taglione, dà maggior vigore proprio a quel metodo che con il suo giornalismo al vetriolo intende censurare, ovvero delegittimare il proprio avversario usando l’arma del giudizio morale, in particolare del giudizio sulla sua moralità sessuale.

Le cavalle sanguinarie [Eracle #7]

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di Ginevra Bompiani

Perché nessun dio si accontenta di una vittima di scarto.

Quando Eracle ebbe compiuto sei fatiche, il suo destino mutò in tre punti: da quel momento il pungolo alle sue imprese sembrò piuttosto la macchinazione che la paura, e dacché la paura è solitaria, ma alla macchinazione servono complici, nelle sue avventure compaiono sempre più spesso compagni e brigate: così, dietro ai passi dell’uno o dell’altro, i suoi viaggi si allungarono imbrogliandosi di altre imprese.

La Gilda del Romano

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appunti sparsi – e scritti di getto – di Gianni Biondillo

Dato che per me, umile scribacchino, la forma “è” il contenuto, ho trovato davvero irricevibile il testo di Gilda Policastro, proprio per la sua forma inconsistente, friabile. Irricevibile per il tono profetico apocalittico che non ammette repliche; per gli esempi e le pezze d’appoggio portate; per la vaghezza, in fondo, delle sue tesi; per, peggio di tutto, quel discorso sottotraccia per iniziati, per addetti ai lavori, per gli amici degli amici, indifferente al farsi chiaro, al farsi palese anche a chi sta fuori dal cerchio comunitario. A chi ha scritto Gilda Policastro? A noi o a Giglioli? Se è a lui, bastava una email, se è a noi ci deve dare tutti i riferimenti e gli esempi per capire la sua tesi. E quelli palesemente mancano.

le rire 3°: ZAMPIRONI

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[ Alberto Savinio, OGGETTI NELLA FORESTA ]

Alberto Savinio [ 1891 – 1952 ]
Serenata per pianoforte

 

di Alberto Savinio

da NUOVA ENCICLOPEDIA

ZAMPIRONI. Quei piccoli coni di polvere insettifuga che si bruciano la sera nelle camere per stupefare le zanzare e renderle incruente; gli zampironi, altrimenti detti “sonni tranquilli”, che si consumano in accensioni e fumate intermittenti e danno idea di minuscoli vulcani in istato di eruzione; gli zampironi si chiamano così dal nome dell’inventore Gio Batta Zampironi, che fondò nel suo laboratorio in Mestre nel 1862. Per venti anni e più dal 1922 al 1943, gli italiani furono educati all’ammirazione di ogni sorta di ammazzatori e al disprezzo di coloro che hanno operato per il bene dell’umanità; e il secolo decimonono, eccellentemente umanitario, fu chiamato con le parole stesse di Lèon Daudet lo “stupido secolo decimo nono”.

Critica letteraria di nomi e cose

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di Gilda Policastro

Nomina sunt consequentia rerum. Se un critico rinuncia alla possibilità di parlare dei libri, o di riferirsi direttamente agli scrittori di cui viene sostenendo la rilevanza, considerando i vituperati nomi argomento di pettegolezzo o da “questura”, la critica si consegna ancora più inerme alla marginalità e inessenzialità attuali.

Sciuscià Show – the end

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E così siamo arrivati alla fine di questa serie estiva dei Paso doble . Non perché siano finiti i passi, anzi, altri dovrebbero arrivarmi nei prossimi giorni, destinati a un ambizioso progetto. Finisce la serie estiva perché è finita l’estate, tutto qui. Per me è stato straordinario vedervi ballare, tutti e a tutti va la mia gratitudine per aver accettato l’invito alla danza. Sono stato il vostro umile ciabattino. C’est tout.
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due passi ( fare )

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Francesca

Là, tout n’est qu’ordre et beauté,
Luxe, calme et volupté.

Il giardino apparve, imprevisto, dopo cinquanta metri di sterrato. Le parve, allora, che l’invito di Baudelaire risuonasse più nitido.
Il verde traboccava ovunque, grondava da foglie di potus, da orchidee annidate nel cavo di un albero, da lucidi ventagli di palme. L’odore era finissimo e inebriava come un cesto di frutta ancora acerba.
Quando attraversò il prato e un’iguana grossa come un gatto le passò a un metro non sussultò neppure. Il giardino era all’erta, la osservava senza provocare inquietudine. Non avvertiva, per una rara volta, alcun impulso a difendersi.
Ogni pianta era stata visibilmente aiutata, irrigata, lasciata crescere; nessuna volontà si era però sovrapposta a quella degli alberi.
In luoghi così ogni desiderio svanisce, l’acqua gocciola sul giorno razionale stingendone i colori. L’infinità dei verdi non le faceva rimpiangere l’assenza di fiori: le foglie custodivano segreti seducenti nella loro curve imprevedibili, come la sensazione di un sapore squisito.
Osservò, sulla vasca quadrata dell’acqua, le api che si posavano con cautela per bere. L’acqua sembrava densa e muschiosa. Tutto, lì, era foglia, tronco e terra, era fragile e inesorabile.
Più tardi, si lasciò cullare dall’amaca, galleggiando in un fluido dorato, in un lucore gentile.
Nella notte, sorprendentemente quieta, udì solo pochi insetti vibrare, forse un fruscìo poco oltre la soglia. Quei giorni il tempo fu ferocemente caldo, nonostante fosse periodo di piogge. Andandosene, portò via il piccolo rimpianto di non aver visto la pioggia nel giardino.

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Antonello

Brillìo
Com’è quel ritmo giusto
che senti nelle foglie,
che insegui con incerto
tremore, e con il gusto
di quel che ancor non sai,
ma che vedi brillare
tra le coltri brillanti
di salici lontani,
che vorresti vicino
entrare nel tuo sterno –

e che sfiori al baleno
del suo sorriso giusto.

Attacco al Qube

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di Andrea Berardicurti

La scorsa notte la discoteca Qube, nel quartiere romano di Portonaccio, sede delle serate Muccassassina, la più importante festa gay, lesbica e transessuale della capitale, è stata presa di mira da ignoti che hanno infranto i vetri dell’entrata e gettato liquido infiammabile. L’intervento delle forze dell’ordine e dei pompieri, chiamati da alcuni passanti che avevano notato le fiamme, ha evitato il peggio.
Il fumo aveva già riempito il locale fino all’ultimo piano. La struttura in questo periodo è chiusa per ristrutturazione e per i preparativi della stagione invernale, ma vi lavorano operai ed erano in sede fino a pochi minuti prima.

MATRIMONI

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di Enzo Cucco

Il 30 agosto prossimo Denise Simmons, la sindaca della citta’ di Cambridge, Massachusetts, si sposa con la sua compagna “in a celebration of love, acceptance, and togetherness”, in una chiesa episcopale della sua città.
La Simmons è la prima sindaca donna di colore e lesbica degli USA. E, particolare da non sottovalutare, nel prossimo novembre si ricandida alla stessa carica.

Cosi, giusto per segnalare che in un altra parte del mondo le cose vanno in modo diverso …

http://www.passportmagazine.com/blog/index.php?/archives/105-Americas-First-Black-Openly-Lesbian-Mayor-E.-Denise-Simmons-Will-Marry-Sunday.html

Morrissey: Psico-inchiesta sull’ultima rockstar

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di Gianluca Veltri

Nel 1987 un giovane disturbato di Denver, Colorado, prese in ostaggio con le armi una stazione radiofonica locale, costringendo i conduttori a mandare in onda soltanto canzoni degli Smiths. Andò avanti per quattro ore. Un’azione di zelo ossessivo, utile a spiegare il livello di fanatismo raggiunto dai fan della band di Manchester, che viene ricordata nella “psicobiografia dell’ultima rockstar” dedicata a Morrissey, che degli Smiths fu la voce, la faccia e molto di più. Il libro di Mark Simpson dal titolo “Saint Morrissey” è edito in Italia da Arcana, proprio mentre Morrissey compie mezzo secolo. “Saint Morrissey” è un libro davvero illuminante sugli Smiths e sul loro leader. È un’inchiesta su un’anima bella e traumatizzata, un viaggio che si infila nella terra desolata della sua testa.

Loca III: Le ceneri di Gramsci

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Pier Paolo Pasolini
Le ceneri di Gramsci

 

di Pier Paolo Pasolini

– I –

Non è di maggio questa impura aria
che il buio giardino straniero
fa ancora più buia, o l’abbaglia

 

con cieche schiarite… questo cielo
di bave sopra gli attici giallini
che in semicerchi immensi fanno velo

 

alle curve del Tevere, ai turchini
monti del Lazio… Spande una mortale
pace, disamorata come i nostri destini,

 

tra le vecchie muraglie l’autunnale
maggio. In esso c’è il grigiore del mondo,
la fine del decennio in cui ci appare

 

tra le macerie finito il profondo
e ingenuo sforzo di rifare la vita;
il silenzio, fradicio e infecondo…

 

Tu giovane, in quel maggio in cui l’errore
era ancora vita, in quel maggio italiano
che alla vita aggiungeva almeno ardore,

 

quanto meno sventato e impuramente sano
dei nostri padri – non padre, ma umile
fratello – già con la tua magra mano

delineavi l’ideale che illumina

 

(ma non per noi: tu morto, e noi
morti ugualmente, con te, nell’umido

 

giardino) questo silenzio. Non puoi,
lo vedi?, che riposare in questo sito
estraneo, ancora confinato. Noia

 

patrizia ti è intorno. E, sbiadito,
solo ti giunge qualche colpo d’incudine
dalle officine di Testaccio, sopito

 

nel vespro: tra misere tettoie, nudi
mucchi di latta, ferrivecchi, dove
cantando vizioso un garzone già chiude

la sua giornata, mentre intorno spiove.

due passi ( fare )

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Chiara
[ M. C. ]

e fammi vedere: quanto maschio puoi diventare
questo è quello: il solito – noioso insicuro, bevo
e mi trastullo al sole e non articoli che molli frasi
fatte patologiche – e farmi femmina felice, forse
credimi: non è in tuo potere. ho la buona creanza
di non fingere m’interessi quello che – mi dai a bere

[ que se muere dìa a dìa! no quiero beber de tu rio]

vuoi figurare? voglio finire! in fretta questa farsa
covo un comodo atto unico! chetichello dal Circo
para boca te chupo todo: temblor corto y rápido
sei il nocciolo che sputo, senza drupa di ciliegio

sei tedio come ogne membro o ponte lungo
come la coda – in strada – com’autunno
capita una volta all’anno: ripeti la funzione periodica!
mi chiedi cose così: nuovi malanni e vecchi fastidi
ampolla il Nero la bocca diAvola – e cocci di corpi
chiusi nel come nel dove – gettòno
musico la solita solfa del solito spunto

al solito bevo – «in nomine Beck’s et Whisky
y Frozen Daiquiri », bevo «in nomine Brandy
Vodka et Cuba Libre» brindo «en el nombre
del Mambo, della Rumba y del – Cha cha cha»

poetica le sette lettere della parola
epatica poeta le sette note disturba
in una parola ematica – si sanguina
quale derma quale cena quale stella?

scarica a cielo aperto, concimi bene
anche a te ridiedi: la voglia di ridere
vita e sangue che mi succhi e ti nutri
e dimentichi l’altra – e mi dimentichi
dormi placido dormi pago dormi profondo
bevo la cucina bevo piango bevo tutto il tuo

vino, un vino davvero vecchio, marziale epigrammata:
per un vecchio che finge di essere giovane non inganni
personam capiti detrahet illa tuo – sono quella Proserpina
quella che presto strapperà dal tuo volto la maschera

quello che ti doveva ha fatto: sei in salvo dai fantasmi
e adesso che tutto il vino è finito, mi asciugo la bocca
e allungo il passo: prendo la porta e chiudo il cappotto

quanti incubi posso affrontare senza più dormire?
Cameriere, lascia stare! non serve – un altro – calice
versa qui il veleno, qui dove: brucia bene. la ferita!

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Jacopo

Sollevarono la testa verso l’alto
apparsa, oltre il cespuglio che li nascondeva,
la luna.
Una reminiscenza liceale lo fulminò:
“La luna è il ricordo di una deflorazione celeste.
Forse ancor prima del menarca, la Terra,
giovane e incandescente,
venne prese di mira da un asteroide libidinoso
che, un giorno, si tuffo’ a bomba
nella gigantesca bacca granata.
Spacchi, schegge, cocci, tronconi,
banane grandi come regioni
presero il largo verso l’alto,
verso l’altro.
I frammenti sciamarono all’unisono per milioni di anni,
come una costellazione impura.
Curiosi, si approssimarono, si unirono
e tornirono in un cielo senz’aria,
rosi o cesellati
solo dal tempo”.
Gli occhioni accidentati,
oltraggiati, improvvisarono una piccola marea,
che li travolse, insieme al menarca, al cespuglio
e al liceo.

Ci sono più cose . . .

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di Antonio Sparzani
tridente-impossibile

«Ci sono più cose in cielo e in terra, Orazio…» Le parole contenute nelle grandi opere spesso assumono vita propria e di quella vivono da quel momento in poi. Si può giocare a costruire delle catene di queste parole ognuna infilata in un qualche senso dentro la precedente e ottenere così delle file di immagini collegate solo da un tenue filo di associazioni. A questo gioco, ancorché tentatore, non giocherò. Ma la partenza è questa. Una della citazioni più utilizzate della storia della letteratura occidentale è senz’altro quella risposta di Amleto a Orazio: Amleto, principe di Danimarca, ha appena finito di parlare con lo spettro del padre, che gli ha raccontato delle nefandezze del fratello e della moglie, e sta chiedendo agli amici Orazio e Marcello di giurare di non raccontare mai quel che hanno appena veduto, ancorché nulla abbiano sentito delle parole scambiate. Il trucco scenico è che nel frattempo il ghost, lo spettro che sembrava già essersene andato visto il sopraggiungere dell’alba, incita da sotto la scena swear . . . swear . . . Orazio, che ancora non sa capacitarsi di avvenimenti così portentosi esclama O day and night, but this is wondrous strange! Al che Amleto, Shakespeare non perde l’occasione del gioco di parole, ribatte And therefore as a stranger give it welcome
ma prosegue con le parole che hanno da allora fatto il giro del mondo
There are more things in heaven and earth, Horatio
than are dreamt of in your philosophy
,
giusto per far capire a Orazio che non occorre stupirsi più che tanto delle stranezze che si incontrano.

Ed è questa citazione che Borges riprende come titolo di un suo racconto, di sapore gotico,

due passi ( fare )

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Giovanni

Nurra
(2 agosto 1980)

(Aride)
feci
di vacca
sgranate
tra tumuli
arcigni
di pietre
narranti
la storia:

la guerra raggiunge la pace

: grugniscono i porci
e ignorano i segni di un’alba
col taglio già pronto
a festa di sangue

E mosche e formiche distratte
e sibili folti eruttano foglie, cispose

Un marcio colore
dipinge
,
ristagna.

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Natàlia
Ero una donna
(2 agosto 1980)

Ero una donna,
camminavo per strada:
pesanti i sacchi della spesa,
scendevo le scale della stazione.

Tornavo all’odore dei miei panni,
ero una donna
con la spesa per la cena.

Sono brandelli di carne
nello scoppio di un odio senza nome:

– lo chiamano ideale …
 ma io non ho più avuto amore –

Tumuli di pianto
e fiori secchi
nel silenzio delle fosse
senza più dolore:
solo memorie
e vili vivi,
nel canto delle foglie
un autunno perenne.

Le stalle fetide [Eracle #6]

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E si potrebbe pensare alle stalle
come a una città massicciamente visitata dalla morte,
e che Eracle venisse a insegnare le pratiche di sepoltura.

di Ginevra Bompiani

Si sa che le vacche appartengono al padrone dei campi, il sole. Sue erano quelle che gli rubò Ermes: sue quelle con cui banchettarono sacrilegamente i compagni di Odisseo. Ma di sole non ce n’è uno, ce ne sono tre: sole nascente, sole a picco e sole morente.