di Rinaldo Censi
Le prime sequenze del film scorrono lasciando emergere una strana sensazione, come se qualcosa sfuggisse, si muovesse autonomamente, fuori dai binari canonici di una diligente trama narrativa. I punti enigmatici e opachi vengono subito al pettine: chi è Madame X? E cosa la unisce a questo orso in cattività, fuggito di soppiatto da uno zoo? La struttura ipnagogica delle prime sequenze poi non aiuta. Dove siamo? In un sogno? E poi: chi è che sogna? Marie? Julien? No. L’impressione è che ci sia qualcosa di superiore: ci sia qualcosa insomma che muova i fili della storia, che si diverte ad attorcigliarli, farne risaltare i nodi imprevisti: insomma a creare incidenti. All’inizio del film ogni personaggio sembra muoversi per conto suo, come se stesse monologando con se stesso, emancipato dal resto della scena, impermeabile agli eventi che si susseguono, senza che nulla venga in fondo chiarito. Un po’ come un quartetto d’archi dove ogni esecutore si muove singolarmente, chiedendosi cosa stia suonando il musicista al suo fianco. Eppure questi quattro strumentisti conoscono alla perfezione la composizione musicale sul loro spartito, solo non desiderano essere disturbati. Si divertono restando evasivi, enigmatici: ci voltano la schiena, con semplicità e noncuranza.













