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Come rendersi invisibili in rete? Una puntata su Current tv

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Sono stato intervistato da Ilaria Nicosia e Giacomo Canelli per il programma tv Geek Files dedicato alla privacy ed alla sorveglianza su Internet. La puntata è andata in onda giovedì 23 e viene ripetuta nel ciclo di riprogrammazione su Current, canale Sky 130. Ringrazio Ilaria e Giacomo per l’invito – Jan

Tra gli interventi della puntata:

Privacy in Rete: cos’è Tor?
Jan Reister ci illustra cos’è Tor e come può aiutarci a proteggere il nostro anonimato in Rete. Per chi fosse interessato: il progetto Tor; per scaricare il software: pagina di download Tor.

L’anonimato è un diritto tutelato dalla Costituzione
Marco Calamari, responsabile del Progetto Winston Smith, ci parla dell’anonimato e di come esso vada tutelato. Anche nel Web.

Intercettazione e Data Retention nel Web
Luca Lupària, docente di Diritto Penale presso l’Università di Teramo, ci parla di intercettazione e data retention.

L’intelligence nell’epoca di Internet
Alessandro Zanasi, docente di Knowledge Management e Data Mining presso l’Università di Bologna, ci illustra come sono cambiate le strategie dell’intelligence con la Rete e quali sono le tecniche per poter analizzare i dati raccolti.

La privacy e il controllo dei dati online
Giovanni Ziccardi, docente di Informatica Giuridica presso l’Università Statale di Milano, ci parla di diritto all’anonimato e delle strategie di controllo attuate dai governi per controllare informazioni personali.

25 aprile

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di Antonio Sparzani

Roma città aperta
Roma città aperta

Roma città aperta, di Roberto Rossellini, 1945.

PERCHÉ SCURATI NON DEVE VINCERE LO STREGA

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[Questo intervento è apparso su «Alias» (sabato 11 aprile) con il titolo Scurati e l’autofiction, genere maggioritario. Il lucido articolo distrugge un incanto che vedo esercitato persino sulle idee della critica più avvertita – si legga Belpoliti. Spero che la discussione metta a fuoco il libro e le meccaniche di una vittoria predestinata. Domenico Pinto.]

di Gilda Policastro

Al romanzo contemporaneo serve una lingua, una voce. Ha bisogno di ritrovare la distanza dalle cose, di parlare di ciò che accade da lontano, con l’eccedenza di visione garantita all’eroe in misura inversamente proporzionale, teste Bachtin, alla sua identificazione con l’autore. Invece la strada che gli scrittori italiani sembrano proseguire con ostinazione, nel tentativo, forse, di emulare l’eccezionale successo planetario di Saviano, è quella di continuare a dire “io”: trovarsi, volersi trovare – cioè fingersi – in mezzo alle cose. Saviano era un cronista prestato al romanzo, ora alla ricerca di un’identità (superando, magari, quella che non possa vederci meno che solidali, di vittima designata). Lui si definisce scrittore, ma la critica deve aspettare ancora, a consacrarlo tale. Deve cioè ricalibrare la sua innegabile attitudine alla comunicazione e all’informazione, sulla scrittura: che è, prima di tutto, stile, cioè, si diceva, lingua, voce, e, ribadiamo, distanza. Il Novecento italiano si era aperto con Tozzi e Pirandello (i «misteriosi atti nostri», la «frattura fra parole e cose»): c’è da augurarsi che il Duemila non voglia farsi partire con elenchi di «mortiammazzati», come in un servizio di Blunotte o Chi l’ha visto.

La quarta prova narrativa di Scurati, Il bambino che sognava la fine del mondo (Bompiani, pp. 295, euro 18) reca scritto in copertina “romanzo”. L’autore, nei ringraziamenti, si confessa debitore a una «biografia romanzata» e a un «saggio etnografico». Di fatto, il libro somiglia di più all’essai di un moralista; e, per dare una tenuta narrativa a un essai sui nostri tempi, s’è presa la cronaca di un fatto recente. Correzione: della cronaca televisiva, anche perché lo stigma maggiore dell’autore si riversa  contro il medium, nella sua più diabolica incarnazione del conduttore per famiglie, erudite impugnando all’indirizzo di un plastico divenuto proverbiale l’altrettanto proverbiale bacchetta.

Un commento al saggio di Andrea Inglese

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[Presento qui un intervento apparso su “Poesia 2007-2008. Annuario” a cura di Paolo Febbraro e Giorgio Manacorda. L’ho diviso in tre parti. Nella prima parte, sopratutto documentaria, si guarda alla ricezione in Francia della poesia italiana contemporanea e si documenta un dialogo particolare, di un gruppo di amici poeti e traduttori, con una certa poesia francese. La seconda parte è dedicata ad alcuni sviluppi della poesia francese recente, riconducibile alle esperienze di Ponge, Beckett e Perec. In quest’ultima parte, presento il commento critico di Febbraro al mio saggio e la mia breve replica.]

di Paolo Febbraro

Avevo chiesto ad Andrea Inglese di scrivere per questo Annuario un saggio critico sui poeti italiani tradotti in francese. Quando Inglese ha accettato, ho provato una forte soddisfazione.

La collana ChapBook a Roma

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Roma, giovedì 23 aprile 2009, ore 19:00

presso la Libreria Empirìa
in via Baccina 79 (rione Monti):

Presentazione della
collana ChapBook
delle edizioni Arcipelago

(Poesia e prosa di ricerca : http://gammm.org/index.php/chap/)

Interventi critici di
Paolo Giovannetti e di Gherardo Bortolotti (direttore della collana con Michele Zaffarano)

Leggono
Alessandro Broggi, Marco Giovenale, Andrea Inglese, Adriano Padua

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Empirìa, via Baccina 79 – tel. 0669940850 – email: info [at] empiria [dot] com

Gli ultimi giorni di Lady Day

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di Vincenzo Martorella

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In quello che sarebbe stato il suo ultimo anno di vita, il 1959, Billie Holiday incise poco. Pochissimo. Appena dodici brani, tra il 3 e l’11 marzo. Sebbene altre registrazioni siano emerse dopo la sua morte – come quella del concerto allo Storyville Club di Boston, col suo trio (Mal Waldron, Roy Haynes e Champ Jones), trasmesso dall’emittente radiofonica WMEX – il lascito di Lady Day ammonta a quel pugno di canzoni, a quella minuscola silloge di respiri e aria, di sofferta e luminosa arte. Al suo fianco ancora Ray Ellis e la sua orchestra. Ancora lui, dopo quel dolorosissimo e stupefacente documento che è “Lady in Satin”, opera definitiva e precaria, unica e screpolata, piena di magie e macerie.

Anteprima Sud n°13-Francesco Feola

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Sud n°13 uscirà la prima settimana di maggio.

Le lacrime dell’assassino

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di Severino Colombo

Anne-Laure Bondoux, Le lacrime dell’assassino, San Paolo, pp.187, Traduzione Francesca Capelli

«Per chi ha una visione edulcorata della narrativa per ragazzi questo libro sarà un bel pugno nello stomaco». Così Roberto Denti, scrittore e fondatore della Libreria dei Ragazzi. Non possiamo che essere d’accordo: il romanzo d’avventura e di sentimenti, della 37enne Anne-Laure Bondoux, protagonista nei giorni scorsi del festival «Minimondi» in corso a Parma, è un capolavoro. 

Il treno della morte

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di Franz Krauspenhaar

Sono a Roma Termini, verso le 17.30  di un venerdì di dicembre. Nella mia devastante ingenuità penso di poter acquistare un biglietto per un Eurostar direzione Milano direttamente in stazione, come ho fatto varie altre volte, però dalla mia città… Ma è venerdì, appunto. Sono stato nel Lazio tutto il weekend. Prima a Fiuggi, per presentare il mio ultimo libro, poi a Roma, per svago. Il venerdì sera, per ovvie ragioni, i posti sono tutti prenotati. Non mi perdo d’animo, finisco in uno stand, di un servizio esclusivo per clienti Eurostar di cui ho cancellato il nome dalla mente. Clienti ma di prima classe. La hostess mi risponde come fossi un pezzente. La ringrazio con una smorfia. Nulla da fare, devo cercare un altro treno. O passare la notte a Roma, in un albergo. Ma ho poco tempo, sono stanco, abbastanza depresso, e l’indomani a Milano ho di nuovo da fare. Trovo l’unica alternativa. Che sarà mai un espresso? Ne ho presi tanti, da ragazzo.

Autismi 9 – La mia cacca (2a parte)

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di Giacomo Sartori

La mia cacca continuava però a deludermi. Ora i risultati erano tangibili, le equazioni matematiche parlavano chiaro, ma c’era pur sempre ogni volta qualcosa che non andava. Proprio per il fatto che i miglioramenti erano lì sotto i miei occhi e sotto il mio naso, era più difficile accettare gli scacchi. Quando il colore era decisamente gradevole, né troppo chiaro né troppo scuro, con una calda tonalità pastello che sembrava venire dalla tavolozza di un postimpressionista, l’odore era disgustosamente rancido, o fradicio di putrefazioni vegetali, o anche nel contempo agrodolce e nauseabondo, quando l’odore era accettabile la consistenza era grumosa e il colore vomitevole, quando il colore era proprio bello saltava fuori un’insopportabile mucosità, e via dicendo: mai una volta che tutti i caratteri positivi apparissero assieme. Sembrava quasi che qualche solforoso spiritello si divertisse alle mie spalle.

Mi sentivo molto solo.

Non avevo capito niente

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di Gianluca Veltri

    “A volte ho la sensazione che tutti gli ieri palpitino sotto la terra come se si rifiutassero di scomparire del tutto, l’enorme cumulo […] di quel che è raccontato e taciuto, di quel che mai si è saputo o non ha avuto testimoni o è stato nascosto”.
    (Javier Marìas)

Forse fu perché stavano per arrivare gli anni Ottanta, anche per me. Non per caso suonavo le serenate alla chitarra, sotto i balconi e persino al telefono. E nel nostro repertorio era entrato “Saturday Night Fever”.

Pasolini all’Inferno

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pasolini

di Andrea Cortellessa

«Più veloce d’un cuore / ahimè, cambia la forma d’una città», scriveva già Baudelaire. E non aveva ancora visto niente. Le grandi città di oggi vivono mille metamorfosi. Bruciano ogni volta, per ogni volta rinascere dalle proprie ceneri. Ma se, una volta, tanto bastava a dannare la memoria del leggendario Imperatore-Poeta che s’ispirava alla vista delle fiamme, oggi i fuochi della disgregazione, e della ristrutturazione, sono all’ordine del giorno. Magari non alla lettera: com’è invece avvenuto, all’alba dello scorso primo aprile, nel quartiere romano del Pigneto. Lo scherzo, brutto e quasi metafisico, s’è consumato ai danni del Bar Necci di Via Fanfulla da Lodi, dato appunto alle fiamme da ignoti. Luogo storico, recita l’insegna, per la data d’apertura (1924); ma soprattutto in virtù della parte recitata, è il caso di dire, nel primo film diretto da Pier Paolo Pasolini.

Sono morto e non so il perché

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di Antonio Sparzani

senza volto
senza volto

Sono morto nell’anno terzo della settantaduesima Olimpiade, in un passo di montagna vicino all’Ellesponto, chiamato Termopili, che dalla Tessaglia porta a sud, verso Atene e Corinto; sono stato mandato qui con gli altri miei compagni opliti da Sparta, per difendere la Grecia tutta dalla furia dei Persiani di Serse, abbiamo resistito per giorni agli assalti dei Persiani, ma erano troppo più numerosi di noi, e alla fine siamo morti tutti.

Sono morto pochi mesi dopo, annegato con tutti i marinai della mia nave nelle strette acque di Salamina, dove i Greci del troppo astuto Temistocle ci hanno circondati e sconfitti – mentre pensavamo di avere già noi sconfitto Atene – grazie alla grande agilità delle loro navi, abituate a muoversi in quelle infide acque; ero arrivato col mio re Serse, il Re dei Re, dalla lontana Battriana, figlio di genitori Sciti, per trovare la morte nelle acque straniere di un lontano paese dell’ovest.

‘Da nessuna parte’ e altre poesie

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di Azzurra D’Agostino

Da “D’in nciun là”, I Quaderni del Battello Ebbro, 2003

Mi’ nòn am’ dsgiva:
“al sèèt tè, che mé
san stè in tì partisèèn?”
“nòn, mé ed politica
an capiss mja gninta”- disiva me
“ma infàt ai’n’era mja d’la politica;
a’i eren dì bosc negher
indovv ti stèvi òr e dé e setmèni
con ‘na fèm un bùr e ‘na pòra
e’d mòrìr adòss
comm’ i’ han sulament al bésti”
-am rispondeva lù.

Mio nonno mi diceva/ “lo sai tu, che io/ sono stato nei partigiani?”/ “nonno, io di politica/ non capisco niente” – dicevo io/ “ma infatti non c’era della politica;/ c’erano dei boschi bui/ dove stavi ore e giorni e settimane/ con una fame un buio e una paura/ di morire addosso/ come hanno soltanto le bestie”/ – mi rispondeva lui.

il prezzo della parità

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di Darien Levani

La storia, come mi è stata spiegata da Ardit, si è svolta grosso modo così: lui lavora in un impianto sportivo, si occupa prevalentemente delle pulizie ma non solo. Fa un po’ tutto quello che c’è da fare. Lui è un albanese di quarant’anni con un contratto inutile come una banconota da trenta euro.

Non gode della stima del titolare per via della sua razza, il quale – parole sue – ha sempre un occhio di sriguardo verso di lui. Niente di che, solo insinuazioni soft, sfiducia che si taglia con un coltello. Questo perché chi gioca a calcetto sa quante cose si dimenticano negli spogliatoi. Da shampoo e calzini sporchi fino a orologi, portafogli, catenine di oro o argento. Il tuttofare che lavorava lì prima di Ardit è stato licenziato per appropriazione di questo genere di cose. Certo, fa Ardit, vedevo la sfiducia nei suoi occhi, io lo sentivo chiaramente quanto pensava “Ma per questo lavoro delicato, proprio un albanese dovevo assumere?”

Sono cose che noi possiamo sentire, sapete.

Un giorno Ardit si è stancato ed ha escogitato un piano semplice e geniale. Finito di pulire ha tirato 70 euro dal suo portafoglio, frutto del lavoro di qualche giorno, e li ha consegnati al tipo dicendo che li aveva trovati in uno degli spogliatoi. Adesso stava facendo il suo lavoro, dando prova della sua onesta. È stato in quel preciso momento che l’atteggiamento del titolare è cambiato. Ardit dice che è stato uno scambio equo: per soli 70 euro ha comprato la sua dignità da uomo libero ed uguale. Non ha rimpianti.

Potremmo rubargli l’idea. Dunque, siamo circa 4 milioni di stranieri. Tiriamo tutti un 70 euro verso i nostri amici italiani. Vi toccano circa 6 euro a testa. Come prezzo per la stupidità non è male, ed è uno scambio equo. Chi vuole i miei?

Due settimane dopo

Ardit mi aggiorna. Il titolare gli ha detto di aver trovato il legittimo proprietario e di aver restituito i soldi. Ardit si gratta la testa perché non capisce. Dopo un po’ giungiamo alla conclusione che il suo titolare è un ladro e un bugiardo. E dunque lo sono tutti gli italiani. Calcoliamo che pagando 70 euro ciascuno potete conquistare la vostra dignità macchiata da uno solo. Non so se ci conviene.

Che mi dite, troviamo un’altro modo?

Autismi 9 – La mia cacca (1a parte)

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di Giacomo Sartori

Qualche anno fa ho deciso di risolvere una volta per tutte il problema della mia cacca. Non ne potevo più che fosse sempre tendenzialmente troppo molle, come succedeva ormai da tempo. Troppo fluida, a volte spugnosa, o addirittura acquosa, e nello stesso tempo o troppo chiara o troppo scura, ogni tanto marezzata, e soprattutto sempre puzzolente. Volevo una cacca di qualità omogenea, puntuale e affidabile, e di odore sopportabile, se non proprio profumata. Una cacca presentabile, insomma. Una cacca in linea con i progressi che mi prefiggevo anche negli altri campi della mia esistenza.

Mi sono messo allora a studiare a fondo la questione, perché io quando affronto i problemi lo faccio in maniera scientifica. Ho per l’appunto una formazione scientifica, il che in circostanze come questa mi aiuta parecchio. Per molte faccende non è possibile trovare delle soluzioni veramente valide, senza la scienza. Ho insomma preso in mano pesanti manuali universitari e atlanti anatomici, ho digerito nomi e definizioni, interrogato illuminati luminari, confrontato teorie e pareri. Come sempre all’inizio avevo un po’ l’impressione di aggirarmi nella babele struggente di una discarica di immondizie, dove ogni frammento rivendica il proprio individualistico passato, poi un po’ alla volta le cose hanno cominciato a avere un aspetto familiare e a rivelare perché erano lì e come comunicavano tra di loro. La scienza ha questo di bello, che ti appronta tutto attorno degli appigli ai quali i tuoi occhi e il tuo cervello possono aggrapparsi: un po’ alla volta appaiono le rotaie dei legami logici, i punti di ristoro delle leggiadre equazioni matematiche e delle regole soggiacenti, finché arriva il momento in cui tutto ti appare perfettamente in ordine e così come deve essere. È la stessa insensata confusione di prima, ma il peso che ti opprimeva i polmoni è sparito: puoi finalmente riposarti.

5 poesie di Bhikkhu Abhinando

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Parla anche tu,
parla per ultimo,
di’ il tuo pensiero.
Parla ma non dividere
il sì dal no.
Dà anche senso al tuo pensiero:
dagli ombra.
Paul Celan

Pubblicato per la prima volta in Italia nel dicembre del 2007 da La biblioteca di Vivarium, Wenn alles gesagt ist (Quando tutto è detto), è anche in assoluto il primo libro di poesie pubblicato da Bhikkhu Abhinando, nato ad Amburgo nel 1966, dal 1994 monaco buddhista della tradizione Theravada.

Le poesie sono state tradotte (dalla versione inglese) e introdotte da Livia Candiani, uno stralcio della sua prefazione la si può leggere qui, su La dimora del tempo sospeso, dove è già stata pubblicata una più ampia selezione di queste poesie. [A. Cirolla]

Risposta dal mondo dei blog a Scurati

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“Mi candido allo Strega, è ufficiale”
Franz Krauspenhaar

dyptique: dire fari (Forlani vs Cipriano)

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Un libretto delle assenze
di
effeffe
Today at 12:56am | Edit Note | Delete
In questi giorni di partecipato sole e alla deriva di solitarie passeggiate e solitario stare in camera, adesso che la neve è scomparsa totalmente dai prati, ora verdissimi, di ritorno a casa mi sono fermato all’altezza della rotonda oltre la Dora, a un passo da dove abito. Ho alzato lo sguardo per notare la differenza tra la lampada appena sostituita e le altre del viale alberato. La lucentezza che la faceva nuova di zecca, uscita di fabbrica, del metallo ricurvo non sarebbe sfuggita nemmeno a un occhio poco avvezzo così come la luce del lume più fredda e meno filtrata dalle polveri di smog e di vento. Perché il lampione in questione me l’ero trovato spezzato al ritorno di uno dei frequenti viaggi dello scorso inverno. I due ragazzi curdi che lavorano all’angolo me l’avevano raccontato. Un inquilino al quinto piano aveva perso ogni speranza, il lume della ragione al dolore della recente scomparsa dell’amata moglie e saltando giù si era come aggrappato all’ultima luce. Dell’incidente restava la segatura mescolata alla neve, sul selciato e il segno della testa del lampione sostituita, più nuova di tutte le altre.

L’energia del cinema maghrebino

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[ricevo dall’Africa e volentierissimo pubblico. G.B.]

di Giulia Marchi

All’occasione dei 40 anni del Fespaco, il festival cinematografico panafricano di Ouagadougou, i registi maghrebini hanno partecipato in modo importante con lungometraggi, corti, documentari e video. Tra polvere e proiezioni, nella capitale burkinabè si incrociano personaggi di tutti i tipi. Un algerino, in particolar modo.