di Alessandra Galetta
Il 23 maggio, alle otto e un minuto di mattina, un uomo chiuse a chiave una porta fradicia di umidità e si chinò su un water ancora puzzolente di disinfettante.
L’uomo ebbe un paio di conati e poi rimase immobile, a occhi chiusi, emettendo respiri lunghi e regolari, infine tirò lo sciacquone e uscì, schiarendosi la voce e armeggiando con la cerniera dei pantaloni.
Dopo aver verificato che il locale fosse vuoto, l’uomo sollevò il viso verso l’alto, notò che la telecamera era in funzione e si domandò se la sua immagine fosse andata in onda o fosse stata archiviata insieme alle centinaia di altre che erano state riprese in quei minuti. Alla fine concluse che se pure uno dei vigilanti l’avesse guardato non avrebbe avuto sospetti: era un impiegato qualunque che aveva appena pisciato e soprattutto era in orario. Il pavimento di plastica grigia era lucido d’acqua, ma c’era qualche tratto già asciutto su cui spiccavano impronte di diverse dimensioni.
Poggiando i piedi su quelle, l’uomo – che si chiamava Tonino Pinna ed era impiegato alla fabbrica Motori&Co, il luogo da dove comincia questa storia – si avvicinò al lavandino con l’intenzione di sciacquarsi la bocca, ma la sua mano si fermò poco prima di arrivare al rubinetto: c’era un capello, lungo e nero sulla ceramica giallognola.
Il capello aveva la forma di un punto interrogativo.
A pochi centimetri di distanza ne individuò altri due, corti, spessi e di colore più chiaro, che parevano le setole di un il maiale.
Tutti riescono a rubare qualcosa in questo luogo in putrefazione, persino nell’anticamera di un cesso, tranne io, sussurrò fissandoli come se potessero rivelargli a chi appartenessero e quali azioni avessero compiuto i loro proprietari poco prima.
La scelta
A Gamba Tesa : la critica in Italia e la naftalina
Ieri, discutendo con un’amica del più e del meno, ci siamo interrogati, più o meno, su questa “scoperta” o riscoperta da parte della critica letteraria del favoloso mondo di Amélie de Blog. E mentre ne parlavamo, a un certo punto, lei mi ha detto : “ma cos’è questa puzza di naftalina?”
“Hai proprio ragione, ma non saprei da dove provenga. Se dalla camera accanto, ma in un monolocale è difficile, o dall’armadio a muro, magari lasciata dal precedente locatario. ” – ho fatto io.
E ci siamo lasciati così, con quello strano odore, non più puzza e non ancora profumo, Successivamente, vuoi per capire cosa stesse accadendo, vuoi per la noia della pioggia incessante, ho aperto una dopo l’altra le stanze di Nazione Indiana, per trovare “la chose”.
E ho cominciato dal primo post di cui mi ricordavo, ovvero l’articolo di Emanuele Trevi
Il sindaco di Gela

[pubblico questa intervista uscita sul Manifesto del 25 aprile a Rosario Crocetta, sindaco di Gela (Caltanissetta); un personaggio che sembra una perla purtroppo rara nel panorama dei sindaci, non solo siciliani. a.s.]
Palermo, Intervista di Alfredo Marsala al sindaco di Gela Rosario Crocetta
Titolo: “”Crocetta: «La mafia? Mi fa più paura la politica»””
Quando sei anni fa si insediò in municipio Rosario Crocetta come primo atto dichiarò guerra alla mafia. Gela, avvolta tra i fumi del Petrolchimico e martoriata da mafiosi e stiddari, non poteva immaginare che quel sindaco in poco tempo avrebbe davvero cambiato la storia di quella città fino ad allora maledetta. E col tempo chi non aveva capito voltandogli le spalle e chi lo dileggiava per la sua dichiarata omosessualità ha dovuto cambiare idea. Crocetta per molto tempo è stato quello che in Sicilia si dice un morto che cammina. Solo contro la mafia. Oggi il contesto è cambiato. Cosa nostra vuole ucciderlo. La Procura ha sventato il terzo progetto di attentato, arrestato due persone pronte ad agire con un arsenale. «L’ho saputo dalla radio – dice Crocetta – e la prima persona a cui ho pensato è stata mia madre, ho chiamato mio fratello e gli ho detto di raggiungerla, non volevo che lo sapesse dalla tv. Poi ho pensato alle madri dei poliziotti, in particolare a una donna che ho incontrato a Palermo davanti la Focacceria San Francesco di Vincenzo Conticello; mi si è avvicinata, mi ha abbracciato, dicendomi che i suoi due figli sono agenti della catturandi, aveva gli occhi rossi. Ho sentito il dolore di questa madre. Ecco, oggi quel dolore l’ho risentito.
Sindaco, ha paura?
Non si ha paura quando si è in guerra. Io sono in guerra, qui a Gela. Il mio nemico è la mafia. Sono arrabbiato, mi chiedo ma che paese è l’Italia,
Da “La manutenzione delle maschere”
di Arben Dedja
Galleria
Questa lunga galleria dove io – bambino
correvo contento con il treno
delle vacanze di luglio è la vagina
di mia madre mentre nascevo
e questo fischio dal buio della
galleria spaventato è il fischio
del mio lubrificato corpicino
scivolando fra le cosce di mia madre
mentre quella luce lontana in fondo
alla galleria quella luce che soffoca che
presto s’avvicina facendosi vortice di colori
è la morte la splendida morte che abbaglia.
L’immagine è una capra (o potrebbe esserlo). Racconto “in due tempi” per Manlio Sacco
di Vito Chiaramonte
La prima volta che vedo salita Sant’Antonio, chiusa dalla facciata del palazzo dei Marchesi di Arezzo che si allunga su via Roma, vedo un vicolo che finisce in un buco di parcheggio fra case antiche di Palermo. Palazzotti medievali, non ancora completamente in rovina, si aprono sullo spazio angusto di un basolato come un nastro sottile e sfilacciato. Un po’ di fresco (devo ambientare questa prima visita in agosto) esce dai portali carico di umido e di odori da soffitta. Ma quando i portali sono chiusi si sente un altro odore. Sono per strada e mi trovo proprio bene nei panni di uno studente che guarda la città in cui vivrà con gli occhi di chi non capisce perché, a due passi da quel degrado, possa innalzarsi la facciata di San Matteo: ma degrado e restauro sono poi così differenti? Quando ci torno (sarà stato lo scorso agosto) è per raggiungere Manlio nel suo studio, tre stanze (forse quattro) che si aprono, a destra, in un patio trasfigurato da un restauro, immerse in un silenzio insolito per Palermo, proprio lì a due passi dalla strada che chiamiamo cassero, come se la città fosse una nave pronta a prendere il mare. Le trifore trecentesche che avevo visto anni fa ci sono ancora, e respirano a fatica ormai chiuse in muri tirati a lucido.
Dalla parte degli infedeli
qui IL RACCONTO DEL VENERDI’: LA RIMOZIONE di Leonardo Sciascia letto da GianMaria Volonte’
di
Pasquale Vitagliano
«Ci mancano la penna e la spada di Leonardo Sciascia», ha scritto Vincenzo Consolo nel 2004 in un articolo su «Liberazione». Eppure, c’è il sospetto che al salotto buono della cultura italiana non manchi affatto quel “politicamente scorretto” che denunciò i “professionisti dell’antimafia”; quello che ebbe il coraggio di indicare nella figura del giudice-legislatore il pericolo di un potere fondato sulla virtù ma senza possibilità di verifica. Non è possibile appropriarsi di Sciascia. «Di volta in volta sono stato accusato», diceva di se stesso, «di diffamare la Sicilia o di difenderla troppo; i fisici mi hanno accusato di vilipendere la scienza, i comunisti di avere scherzato su Stalin, i clericali di essere un senza Dio. (…) Il fatto è che i cretini, e ancor più i fanatici sono tanti; godono di una così buona salute non mentale che permette loro di passare da un fanatismo all’altro con perfetta coerenza».
La sua più tragica profezia è stata quella di intuire che il terreno sul quale si sarebbe realizzato il più grande incontro di questi fanatismi sarebbe stato la giustizia: la sua amministrazione, il ruolo dei magistrati, il loro inevitabile quanto pericoloso inserirsi nel vuoto della politica.
Non c’è modo d’essere bambini

Sono un palestinese la cui famiglia è vissuta per generazioni nel villaggio di Al-Maghar. Sessant’anni fa, durante la Nakbah (catastrofe), i miei nonni furono espulsi con tutta la loro famiglia da Al-Maghar, sradicati e mandati tra le capanne e le stradine di un campo profughi distante 100 miglia. A tutt’oggi assaporano l’amarezza di quella perdita e restano a guardare inermi mentre le fiamme di quella tragedia bruciano ancora. Quando ero molto piccolo ero abituato a vivere in una delle capanne del campo, ma non appena crebbi e compresi l’infelicità della mia famiglia iniziai a tempestare mio padre di domande:
Come rendersi invisibili in rete? Una puntata su Current tv
Sono stato intervistato da Ilaria Nicosia e Giacomo Canelli per il programma tv Geek Files dedicato alla privacy ed alla sorveglianza su Internet. La puntata è andata in onda giovedì 23 e viene ripetuta nel ciclo di riprogrammazione su Current, canale Sky 130. Ringrazio Ilaria e Giacomo per l’invito – Jan
Tra gli interventi della puntata:
Privacy in Rete: cos’è Tor?
Jan Reister ci illustra cos’è Tor e come può aiutarci a proteggere il nostro anonimato in Rete. Per chi fosse interessato: il progetto Tor; per scaricare il software: pagina di download Tor.
L’anonimato è un diritto tutelato dalla Costituzione
Marco Calamari, responsabile del Progetto Winston Smith, ci parla dell’anonimato e di come esso vada tutelato. Anche nel Web.
Intercettazione e Data Retention nel Web
Luca Lupària, docente di Diritto Penale presso l’Università di Teramo, ci parla di intercettazione e data retention.
L’intelligence nell’epoca di Internet
Alessandro Zanasi, docente di Knowledge Management e Data Mining presso l’Università di Bologna, ci illustra come sono cambiate le strategie dell’intelligence con la Rete e quali sono le tecniche per poter analizzare i dati raccolti.
La privacy e il controllo dei dati online
Giovanni Ziccardi, docente di Informatica Giuridica presso l’Università Statale di Milano, ci parla di diritto all’anonimato e delle strategie di controllo attuate dai governi per controllare informazioni personali.
25 aprile
di Antonio Sparzani

Roma città aperta, di Roberto Rossellini, 1945.
PERCHÉ SCURATI NON DEVE VINCERE LO STREGA
[Questo intervento è apparso su «Alias» (sabato 11 aprile) con il titolo Scurati e l’autofiction, genere maggioritario. Il lucido articolo distrugge un incanto che vedo esercitato persino sulle idee della critica più avvertita – si legga Belpoliti. Spero che la discussione metta a fuoco il libro e le meccaniche di una vittoria predestinata. Domenico Pinto.]
di Gilda Policastro
Al romanzo contemporaneo serve una lingua, una voce. Ha bisogno di ritrovare la distanza dalle cose, di parlare di ciò che accade da lontano, con l’eccedenza di visione garantita all’eroe in misura inversamente proporzionale, teste Bachtin, alla sua identificazione con l’autore. Invece la strada che gli scrittori italiani sembrano proseguire con ostinazione, nel tentativo, forse, di emulare l’eccezionale successo planetario di Saviano, è quella di continuare a dire “io”: trovarsi, volersi trovare – cioè fingersi – in mezzo alle cose. Saviano era un cronista prestato al romanzo, ora alla ricerca di un’identità (superando, magari, quella che non possa vederci meno che solidali, di vittima designata). Lui si definisce scrittore, ma la critica deve aspettare ancora, a consacrarlo tale. Deve cioè ricalibrare la sua innegabile attitudine alla comunicazione e all’informazione, sulla scrittura: che è, prima di tutto, stile, cioè, si diceva, lingua, voce, e, ribadiamo, distanza. Il Novecento italiano si era aperto con Tozzi e Pirandello (i «misteriosi atti nostri», la «frattura fra parole e cose»): c’è da augurarsi che il Duemila non voglia farsi partire con elenchi di «mortiammazzati», come in un servizio di Blunotte o Chi l’ha visto.
La quarta prova narrativa di Scurati, Il bambino che sognava la fine del mondo (Bompiani, pp. 295, euro 18) reca scritto in copertina “romanzo”. L’autore, nei ringraziamenti, si confessa debitore a una «biografia romanzata» e a un «saggio etnografico». Di fatto, il libro somiglia di più all’essai di un moralista; e, per dare una tenuta narrativa a un essai sui nostri tempi, s’è presa la cronaca di un fatto recente. Correzione: della cronaca televisiva, anche perché lo stigma maggiore dell’autore si riversa contro il medium, nella sua più diabolica incarnazione del conduttore per famiglie, erudite impugnando all’indirizzo di un plastico divenuto proverbiale l’altrettanto proverbiale bacchetta.
Un commento al saggio di Andrea Inglese
[Presento qui un intervento apparso su “Poesia 2007-2008. Annuario” a cura di Paolo Febbraro e Giorgio Manacorda. L’ho diviso in tre parti. Nella prima parte, sopratutto documentaria, si guarda alla ricezione in Francia della poesia italiana contemporanea e si documenta un dialogo particolare, di un gruppo di amici poeti e traduttori, con una certa poesia francese. La seconda parte è dedicata ad alcuni sviluppi della poesia francese recente, riconducibile alle esperienze di Ponge, Beckett e Perec. In quest’ultima parte, presento il commento critico di Febbraro al mio saggio e la mia breve replica.]
di Paolo Febbraro
Avevo chiesto ad Andrea Inglese di scrivere per questo Annuario un saggio critico sui poeti italiani tradotti in francese. Quando Inglese ha accettato, ho provato una forte soddisfazione.
La collana ChapBook a Roma
Roma, giovedì 23 aprile 2009, ore 19:00
presso la Libreria Empirìa
in via Baccina 79 (rione Monti):
Presentazione della
collana ChapBook
delle edizioni Arcipelago
(Poesia e prosa di ricerca : http://gammm.org/index.php/chap/)
Interventi critici di
Paolo Giovannetti e di Gherardo Bortolotti (direttore della collana con Michele Zaffarano)
Leggono
Alessandro Broggi, Marco Giovenale, Andrea Inglese, Adriano Padua
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Empirìa, via Baccina 79 – tel. 0669940850 – email: info [at] empiria [dot] com
Gli ultimi giorni di Lady Day
di Vincenzo Martorella
1.
In quello che sarebbe stato il suo ultimo anno di vita, il 1959, Billie Holiday incise poco. Pochissimo. Appena dodici brani, tra il 3 e l’11 marzo. Sebbene altre registrazioni siano emerse dopo la sua morte – come quella del concerto allo Storyville Club di Boston, col suo trio (Mal Waldron, Roy Haynes e Champ Jones), trasmesso dall’emittente radiofonica WMEX – il lascito di Lady Day ammonta a quel pugno di canzoni, a quella minuscola silloge di respiri e aria, di sofferta e luminosa arte. Al suo fianco ancora Ray Ellis e la sua orchestra. Ancora lui, dopo quel dolorosissimo e stupefacente documento che è “Lady in Satin”, opera definitiva e precaria, unica e screpolata, piena di magie e macerie.
Anteprima Sud n°13-Francesco Feola
Sud n°13 uscirà la prima settimana di maggio.
Le lacrime dell’assassino

Anne-Laure Bondoux, Le lacrime dell’assassino, San Paolo, pp.187, Traduzione Francesca Capelli
«Per chi ha una visione edulcorata della narrativa per ragazzi questo libro sarà un bel pugno nello stomaco». Così Roberto Denti, scrittore e fondatore della Libreria dei Ragazzi. Non possiamo che essere d’accordo: il romanzo d’avventura e di sentimenti, della 37enne Anne-Laure Bondoux, protagonista nei giorni scorsi del festival «Minimondi» in corso a Parma, è un capolavoro.
Il treno della morte
di Franz Krauspenhaar
Sono a Roma Termini, verso le 17.30 di un venerdì di dicembre. Nella mia devastante ingenuità penso di poter acquistare un biglietto per un Eurostar direzione Milano direttamente in stazione, come ho fatto varie altre volte, però dalla mia città… Ma è venerdì, appunto. Sono stato nel Lazio tutto il weekend. Prima a Fiuggi, per presentare il mio ultimo libro, poi a Roma, per svago. Il venerdì sera, per ovvie ragioni, i posti sono tutti prenotati. Non mi perdo d’animo, finisco in uno stand, di un servizio esclusivo per clienti Eurostar di cui ho cancellato il nome dalla mente. Clienti ma di prima classe. La hostess mi risponde come fossi un pezzente. La ringrazio con una smorfia. Nulla da fare, devo cercare un altro treno. O passare la notte a Roma, in un albergo. Ma ho poco tempo, sono stanco, abbastanza depresso, e l’indomani a Milano ho di nuovo da fare. Trovo l’unica alternativa. Che sarà mai un espresso? Ne ho presi tanti, da ragazzo.
Autismi 9 – La mia cacca (2a parte)
di Giacomo Sartori
La mia cacca continuava però a deludermi. Ora i risultati erano tangibili, le equazioni matematiche parlavano chiaro, ma c’era pur sempre ogni volta qualcosa che non andava. Proprio per il fatto che i miglioramenti erano lì sotto i miei occhi e sotto il mio naso, era più difficile accettare gli scacchi. Quando il colore era decisamente gradevole, né troppo chiaro né troppo scuro, con una calda tonalità pastello che sembrava venire dalla tavolozza di un postimpressionista, l’odore era disgustosamente rancido, o fradicio di putrefazioni vegetali, o anche nel contempo agrodolce e nauseabondo, quando l’odore era accettabile la consistenza era grumosa e il colore vomitevole, quando il colore era proprio bello saltava fuori un’insopportabile mucosità, e via dicendo: mai una volta che tutti i caratteri positivi apparissero assieme. Sembrava quasi che qualche solforoso spiritello si divertisse alle mie spalle.
Mi sentivo molto solo.
Non avevo capito niente

di Gianluca Veltri
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“A volte ho la sensazione che tutti gli ieri palpitino sotto la terra come se si rifiutassero di scomparire del tutto, l’enorme cumulo […] di quel che è raccontato e taciuto, di quel che mai si è saputo o non ha avuto testimoni o è stato nascosto”.
(Javier Marìas)
Forse fu perché stavano per arrivare gli anni Ottanta, anche per me. Non per caso suonavo le serenate alla chitarra, sotto i balconi e persino al telefono. E nel nostro repertorio era entrato “Saturday Night Fever”.
Sono morto e non so il perché
di Antonio Sparzani

Sono morto nell’anno terzo della settantaduesima Olimpiade, in un passo di montagna vicino all’Ellesponto, chiamato Termopili, che dalla Tessaglia porta a sud, verso Atene e Corinto; sono stato mandato qui con gli altri miei compagni opliti da Sparta, per difendere la Grecia tutta dalla furia dei Persiani di Serse, abbiamo resistito per giorni agli assalti dei Persiani, ma erano troppo più numerosi di noi, e alla fine siamo morti tutti.
Sono morto pochi mesi dopo, annegato con tutti i marinai della mia nave nelle strette acque di Salamina, dove i Greci del troppo astuto Temistocle ci hanno circondati e sconfitti – mentre pensavamo di avere già noi sconfitto Atene – grazie alla grande agilità delle loro navi, abituate a muoversi in quelle infide acque; ero arrivato col mio re Serse, il Re dei Re, dalla lontana Battriana, figlio di genitori Sciti, per trovare la morte nelle acque straniere di un lontano paese dell’ovest.



