di Maria Cerino
Il rumore della portiera dell’autobus è l’unico suono che riesce a distinguere tra quelli sgraffignati nel passato. Si regge ad un sedile per restare in piedi nella rinculata che fa il mezzo dopo una brusca frenata. Stringe anche una ciocca di capelli lunghi e neri mentre si tiene aggrappato alla spalliera, nel frenare e sbalzare un po’ indietro e poi tornare con la schiena e la testa avanti sente la passeggera urlare. Si sposta, non si scusa e scende.
I rumori del centro lo investono. Gli arrivano tutti insieme allo stomaco, come un calcio; anzi, lui che di calci ne ha presi e dati, non penserebbe proprio a un calcio perché in quel caso il dolore ha una superficie d’interesse mentre ora sente le vibrazioni attraversargli il corpo, rintronargli la testa. Con le orecchie turate che lo allontanano e un altro foro – un foro che sembra cercarsi con le mani ma che non riesce a cogliere a tatto – dissociato a ciò che vede.











