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Didattica emotiva

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di Christian Raimo

Negli ultimi anni è venuta fuori da più parti l’idea che in Italia la scuola stia vivendo una profonda crisi. Se è vero che quella scolastica è una specie di crisi di sistema (se leggete la letteratura di un secolo e mezzo di scuola italiana, da Ada Negri a Leonardo Sciascia a Domenico Starnone, la maggior parte racconta di una scuola in crisi, spesso sull’orlo del crollo), è vero anche che negli ultimi dieci anni si sono verificati alcuni fenomeni concomitanti: un aumento consistente della presenza di agenti formativi esterni che non sono la famiglia (altra istituzione in presunta crisi), l’aprirsi di un fossato tra il periodo di formazione e quello lavorativo con la conseguenza di una continua e profonda messa in discussione di molte delle condizioni di base dei percorsi formativi (per cui, come reazione: lo sviluppo della formazione continua, le diverse e forse ridondanti riforme scolastiche…), la progressiva perdita di autorevolezza delle istituzioni pubbliche (dall’università ai partiti allo Stato tout-court).

Do you remember Peteano? – parte prima

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di
Manuela Vittorelli

Gorizia, 1972, ultimi giorni di maggio.
Budicin Giorgio, ventisette anni. Sarebbe stato un bravo calciatore, ma l’hanno rovinato l’amore per la vita comoda, per le belle macchine e per le moto. Fa il rappresentante per Gorizia e Trieste per conto di un’azienda del settore anti-infortunistico.
Il 27 maggio Budicin, che ormai vive a Verona, arriva a Gorizia per lavoro e per giocare una partita di calcio in un torneo tra bar. Va all’albergo Transalpina, si cambia, esce in tuta e scarpe da ginnastica. Ma è in ritardo, può giocare soltanto un tempo. La partita finisce due a due. Il campo non è attrezzato con docce e spogliatoi e Budicin torna in albergo con le scarpe ancora sporche di terra e le lava nel lavandino.
Le tre sere successive Budicin le trascorre con amici in un night di Nova Gorica. La sera del 31 cena e poi si mette a guardare la finale di Coppa Campioni, Ajax-Inter. Finita la partita fa un giro e infine va a letto.
Il mattino dopo si sente chiamare. Sotto c’è il suo amico Maurizio che gli grida: “Ciò, mona, te ga visto i tuoi amici? I li ga fati saltàr”.

NON TOCCATE I BAMBINI E LE BAMBINE ROM E SINTI

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di Filippo Miraglia, responsabile immigrazione Arci

Il 7 luglio riempiamo di impronte digitali il Ministero dell’Interno
E’ già iniziata la schedatura e la rilevazione delle impronte digitali dei rom, minori compresi, nei campi rom con lo scopo di “censire” quanti vi risiedono. Una misura fortemente voluta dal ministro Maroni, nonostante l’indignazione con cui è stata accolta da gran parte dell’opinione pubblica.

Etere 5*: Kant di Königsberg

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di Antonio Sparzani

Il fiume il cui nome russo è Pregolja, e quello tedesco Pregel, scorre anche in Lituania, ma alla fine entra in quella strana enclave russa, stretta tra Lituania e Polonia, un tempo territorio prussiano denominato Prussia Orientale, che ha in Kaliningrad il suo centro, e porto, principale. Kaliningrad era in tempi prussiani Königsberg, città dalla storia illustre – ben prima della nascita, che certo molti richiameranno subito alla mente, di Immanuel Kant – per essere stata residenza del gran maestro dell’Ordine Teutonico e poi capitale del ducato di Prussia. Lasciatemi ricordare che diede i natali anche a David Hilbert, uno dei massimi matematici del ‘900, e a Ernst T. A. Hoffmann, illustre autore dei Racconti e dell’Elisir del diavolo.
Un altro motivo per cui la città viene ricordata è la peculiare distribuzione dei suoi sette ponti, che vedete qui sopra schematicamente segnati. Siccome parlo del Settecento, la chiamerò Königsberg, e chiamerò Pregel il suo fiume.

Vuole una leggenda metropolitana che i cittadini benestanti di Königsberg, verso la metà del Settecento, la domenica passeggiassero per la loro città

Dalla Milano da bere a quella da vomitare #1

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di Franz Krauspenhaar

1. C’era una volta la Milano da bere…

Nacque tutto da uno spot, quello dell’amaro Ramazzotti. Sulle note di Birdland, capolavoro jazz-rock dei Weather Report, si stendeva un tappeto d’immagini glamour della città di Milano nel pieno sfolgorio di paillettes. Se negli anni Sessanta c’era stata l’anticipazione – proprio l’aperitivo immaginifico – del grande attore teatrale e televisivo Ernesto Calindri, che beveva il suo Cynar in mezzo a una piazza (Piazza Siena, vicinissimo a casa mia, dove nel settembre del ’67 vidi sfrecciare la Fiat 1100 scura della banda Cavallero inseguita a pistolettate da due Gazzelle Alfa Romeo della polizia) , mentre le auto, nel bianco e nero della pellicola d’antan, sfrecciavano non solo simbolicamente attorno all’attore che placidamente sorbiva il suo aperitivo “contro il logorio della vita moderna”, vent’anni dopo tutto era cambiato, a parte la speranza di un nuovo rinascimento all’ombra della Rinascente. Milano si ripresentava nell’immaginario degli italiani non più come il mulo da traino dell’intera economia nazionale, ma come dispensatore di mode, vezzi, abitudini. L’aperitivo non veniva più sorbito in Galleria, come da decenni di tradizione, ma per il lungo e il largo di una metropoli pulsante, una specie di piccola mela rilucente, che aveva allontanato da sé tutte le nebbie propagate dagli anni di piombo. Gli anni Ottanta furono gli anni di Milano, questa Milano da bere che, a partire da uno slogan felice e di successo, riprese a rappresentarsi agli occhi dell’opinione pubblica e dell’immaginario collettivo come simbolo di durata nel successo, di velocità, arditezza, anche di gioia di vivere.

Dieci nuovi poeti. Quaderno del Nodo Sottile 5

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Nodo Sottile nasce dall’impegno e la passione di Daniele Ciullini, responsabile dell’Archivio Giovani Artisti del Comune di Firenze e dei due curatori Vittorio Biagini e Andrea Sirotti, che per ogni edizione non si limitano alla scelta dei testi, ma ricercano la collaborazione di critici e poeti per introdurre gli autori nella realtà del lavoro poetico. Vorrei anche ricordare la prima antologia (Cadmo, 2000), curata da Domenico De Martino e nata da una selezione di testi poetici di giovani autori fiorentini, raccolti presso l’archivio e dalle segnalazioni della poetessa Mariella Bettarini, curatrice insieme alla poetessa e fotografa Gabriella Maleti delle Edizioni Gazebo. (f.m.)

Dalla postfazione:

(…)Dopo le quattro antologie, il premio alla silloge inedita e le numerose iniziative di diffusione e di formazione sulla poesia giovanile nelle edizioni scorse, per questa edizione di Nodo sottile abbiamo pensato una formula che fosse sintesi e arricchimento del lavoro precedente. Un’offerta inedita, almeno in Italia, che combinasse in modo forte l’aspetto dello “scouting” (il rilevamento delle emergenze poetiche giovanili significative) con quello “formativo” (l’offerta di occasioni di maturazione di consapevolezza e di affinamento degli strumenti del mestiere). Ecco la ragione dell’istituzione del primo corso residenziale di Nodo Sottile – “L’officina della poesia”- come momento successivo ad un’ampia selezione di dimensione nazionale.

Il bosco interiore. Festa della Ghiacciaia a Pistoia

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Domenica 6 luglio 2008 dalle ore 15.00 in poi

Il bosco interiore: La Festa della Ghiacciaia (2° edizione)

Ghiacciaia della Madonnina, località Le Piastre (Pistoia)

Ente promotore: Legambiente (Pistoia). In collaborazione con Pro-loco Le Piastre

RADIOBAHIA: racconti per canzoni [008]

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di Marco Ciriello

RADIOBAHIA: suona

“Moondance”
di Van Morrison

8.
Il primo a scendere fu Z. con una smorfia di soddisfazione, non pensava di farcela con quella vecchia carcassa a raggiungere ancora una volta quel posto lontano, evitando ogni tipo di controllo e senza nessuna guida. Erano stati molto fortunati. Il viaggio lungo e pericoloso.

Teoria critica della razza e libertà di espressione: alcuni punti problematici

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(Si conclude qui una serie di interventi sul razzismo curati da S. Morgagni – 1, 2, 3, a. i.)

di Giorgio Pino

1. Un rapporto ambiguo

In questo contributo mi occuperò del trattamento che le teorie critiche della razza (Critical Race Theory, CRT) riservano alla libertà di espressione. Si tratta di un trattamento controverso e ambiguo, perché per un verso la libertà di espressione rappresenta una delle tradizionali libertà civili, vessillo del movimento dei civil rights negli Stati Uniti degli anni Sessanta del Novecento, e come tale rappresenta uno strumento prezioso per gli appartenenti alle minoranze per far sentire la propria voce e far conoscere la propria storia di oppressione e discriminazione. Per altro verso, tuttavia, la libertà di espressione sembra poter giocare a sfavore degli appartenenti a minoranze connotate in senso razziale, in tutte quelle occasioni in cui le parole, le opinioni, sono funzionali a veicolare e rimarcare la distanza, la differenza, tra la presunta maggioranza e la presunta minoranza, o anche sono direttamente veicolo di offesa e stigmatizzazione razziale (1).

Ah les vaches!

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di
Carlo Grande

Si chiamano “Primula”, “Camomilla” e “Margherita”, sono scappate alla fine dell’estate scorsa, mentre le altre centosessanta sorelle salivano disciplinatamente sui camion per scendere a valle, al termine della stagione degli alpeggi. Sono rimaste tutto l’inverno oltre i duemila metri di quota, sulle montagne piemontesi di Pragelato, in Val Chisone, vivendo allo stato brado, sfuggendo a una decina di tentativi di cattura da parte di margari, addetti del Comune, veterinari e privati cittadini “che avevano offerto collaborazione”, come nel Far West. Chi è andato a cercarle ha potuto solo osservarle da lontano, perché appena cercava di avvicinarsi a meno di trecento metri le vedeva fiutare l’aria e scappare lontano, sempre più in alto. Le “fuggitive” sono tre giovani mucche di razza piemontese (fra l’anno e mezzo e i due anni), protagoniste di una “fuga per la libertà” che ha dell’eccezionale: hanno passato l’inverno ad alta quota, a temperature proibitive (è cresciuto loro il pelo, come agli yak tibetani), sono sopravvissute ai lupi che bazzicano i valloni, sono sfuggite alle laboriose catture con “teleanestesia”, con proiettili-siringa, cioè muniti di narcotici. Hanno resistito sei mesi, superando d’un balzo – per qualche straordinario “richiamo della foresta” – millenni di adattamento all’uomo.

A gamba tesa: sotto il grembiule niente!

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mercoledì 02 luglio 2008
In sede di Commissione cultura viene proposta la reintroduzione del grembiule nelle scuole. Per il ministro Mariastella Gelmini è una soluzione da prendere seriamente in considerazione.

di
Francesco Forlani

L’ho cercato dappertutto stamattina. In ogni angolo della casa, della mente, del palazzo, della città che non è la mia, ma poi che importa! Con lo scudetto sul braccio, no, solo coi tre bottoncini argentei, maschi, che hanno visto solo per pochi attimi quelli femmine del distintivo tricolore. Azzurro, celestino, squadra Sant’Agostino, Francesco Keller, blu scuro, Suore Riparatrici, Alfonzo Valentino, nero della De Ámicis, Giampo Brancaccio. Ho perfino chiesto alla vicina se potevo dare un’occhiata da lei, visto che il mio monolocale non offriva una superficie, all’altezza della recherche. E così mi sono imbattuto in qualche Fiesta, un po’ ammaccata, una coccarda – ma la davano soltanto al capoclasse – una tuta operaia – ma era solo per la classe -, e quando sono andato via mi ha regalato un ovetto kinder. E allora l’ho scartocciato, ho strangolato con le mie mani uno della lega antiabortista che s’era nascosto lì dentro e ho provato ad aprire l’ovulo. Sorpresa!

Bucarest

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di Flavia Capitani e Emanuele Coen

Il taxi sobbalza ogni cinque metri ma Vasile non ci fa neanche caso. Tra una parola di italiano e due di inglese, continua a raccontare come Bucarest stia cambiando ogni giorno sotto i suoi occhi. La strada che collega l’aeroporto al centro della città è un cantiere continuo, una lunga linea dritta spezzata da file di auto più o meno sgangherate e tir stracarichi di materiali per costruzioni. “Impressionante, qui dopo il Duemila tutto è impazzito – sospira il corpulento e loquace tassista –. Guardate quanto sono grandi questi magazzini Ikea, e lì a destra quel Carrefour. Laggiù stanno tirando su il più grande Bricofer d’Europa. E più avanti vedrete un concessionario dietro l’altro: Porsche, Bmw, Jaguar. Automobili che non riuscirei a comprare neanche con i guadagni di una vita. E pensare che sotto il comunismo appartenevo a una classe agiata, lavoravo per una grande azienda che aveva rapporti commerciali con Italia e Inghilterra. Da qualche anno giro la città in lungo e in largo per mettere insieme uno stipendio appena decente. Intanto il mio vicino di casa, che sotto Ceausescu era un semplice poliziotto, ha tre appartamenti e una Mercedes”.

lettera alla madre

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di Ingrid Betancourt

(resa pubblica il 1° dicembre 2007)

È un momento molto difficile per me. Chiedono le prove che sono viva e ti apro l’animo in questo scritto. Fisicamente sto male. Non mangio, non ho fame, mi cadono molti capelli. Non ho voglia di niente. Credo che sia la cosa migliore che possa capitare, non aver voglia di niente, perché qui, in questa giungla, l’unica risposta a qualunque richiesta è “no”. Dunque, è meglio non avere voglia di nulla ed essere almeno libera dai desideri.
Sono ormai tre anni che chiedo un dizionario enciclopedico per poter leggere qualcosa, per imparare qualcosa, per mantenere viva la curiosità intellettuale. Continuo a sperare che, almeno per compassione, me ne procurino uno, ma è meglio non pensarci. Ogni cosa è un miracolo, anche ascoltarti ogni mattina, dato che la radio che ho è vecchia e mal funzionante. Voglio chiederti, mamma cara, di dire ai ragazzi di mandarmi tre messaggi alla settimana. Niente di speciale, se questo è anche il loro desiderio e se avranno voglia di farlo. Non ho bisogno d’altro se non di essere in contatto con loro. È la sola informazione vitale, essenziale, indispensabile, il resto non mi interessa più.

Mariti di donne dagli occhi grandi

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di Franz Krauspenhaar

Angeles Mastretta è una brava scrittrice messicana di quasi sessant’anni, nata a Puebla, una delle città più importanti del Messico, che a noi italiani ricorderà soprattutto le imprese calcistiche dei due campionati mondiali disputati nella grande nazione centroamericana. La Mastretta ha il curriculum tipico dello scrittore ispanico; è nel giornalismo, infatti, che molti scrittori sudamericani (e una volta questo avveniva molto di più anche in Italia) compiono i primi passi nella scrittura, imparando quindi la sintesi, che da noi, ormai, mancando una vera scuola di scrittura sul campo, è più che altro un dono, che sì ha o non si ha, e che difficilmente si apprende. Come mettere fatti rilevanti e commenti pregnanti in un piccolo spazio tipografico?

Il superfluo della vita

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[Si pubblica un frammento dal blog rospe in frantumi, camera di collaudo e taccuino di un editore. d.p.]

di Roberto Speziale

Cosa ci si aspetta dagli editori, soprattutto se giovani? Gli editori devono essere agguerriti, devono usare metafore agonistiche, preferibilmente calcistiche o rubate all’immaginario gladiatorio dei filmoni in sandali e perizoma. Non si concede volentieri fiducia a chi contravviene a queste pratiche consuetudinarie. Posso anche capirlo, in fondo, è tempo di slogan (e quando non lo è), è tempo di dimostrare che i libri non sono cartacce raccolte a prendere polvere sugli scaffali. È tempo che i libri siano qualcos’altro, anche se non vengono letti. Questo è il tempo dei giovani editori. Ci si aspetta che i giovani editori sappiano cosa fare. I libri sono sacrificabili, non si vendono libri, si vende il resto.

La prima è venuta così in sonno, poi l’ho sistemata da sveglio. La terza e la quinta erano fatte così. La quarta era così. Sì, era così.

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di Adelelmo Ruggieri

Scala

Ormai quasi cieco la mia visione si fece crepuscolare, inevitabilmente.
Stacchi di scuro dividevano i momenti della mia vita, ma l’ascoltavo
meglio così la vita. Ero un carpentiere. Avevo costruito una scala,
e mentre la costruivo la salivo. Ora stavo in cima mezzo cieco,
ma un po’ ancora ci vedevo. Fu allora che iniziai a capire le cose
tutte quante su di uno sfondo azzurro, e l’azzurrità proteggeva
l’innocenza del bianco, elideva lo scuro e l’oscuro. La scala era fatta
per scendere fra i bagliori di tutti i balconi. Ero stato prudente a non
gettarla via da me. Mi aspettava una barca dove non stare più straniero

Azzurro

 

Ad esempio. La scoperta della poesia

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di Giuliano Mesa

Ad esempio

Ad esempio, dire di ciò che non sappiamo dire. Senza cercare teoria. Senza temere il conflitto, lo stridore, lo stridere delle parti. Se la poesia è relazione, mette in relazione, non finge sintesi.
(Tutto ciò, e ciò che segue, è detto facendo un passo indietro, incauto, di non-silenzio.)

La città che sale

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[lo so dico sempre le stesse cose, ma in certi casi è proprio vero che repetita juvant. G.B.]

di Gianni Biondillo

Poi all’improvviso Milano scomparve. Nell’immaginario collettivo nazionale continuava a vivere solo nei suoi luoghi comuni: la nebbia, le fabbriche, il panettone. Qualcuno la immaginava ancora una città rampante, da bere. Si smise di rappresentarla, nel cinema, nella fiction televisiva, divenne un buco nero della memoria. Menomale che alcuni scrittori, spesso quelli più artigianali, di “genere”, continuavano a raccontare le sue trasformazioni antropologiche, i suoi panorami mutevoli. La classe operaia che non andava in paradiso ma in pensione, la romantica ligera che diventava criminalità internazionale… era da farsi: la Milano di Scerbanenco finiva a Piazzale Loreto, da lì, ai suoi tempi, iniziava ancora, e per davvero, l’aperta campagna. In fondo Peck, all’inizio del secolo scorso, stagionava i suoi salumi nell’aria salubre della Brianza. A Precotto. Oggi invece Milano è una città rete, una città territorio, che più che portare la sua nobile tradizione edile nella territorio extraurbano ha visto tracimare dentro di sé la Brianza velenosa di battistiana memoria. Milano s’è pastrufaziata, per dirla con l’ingegnere, che oggi non saprebbe più riconoscerlo il territorio. E forse anche la sua borghesia.

Volantino distribuito al Museo Egizio di Torino da alcuni antirazzisti torinesi

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GLI EGIZIANI

O LI VOLETE SCHIAVI

O LI VOLETE MORTI

Gentili visitatrici, gentili visitatori che state per entrare nel Museo Egizio di Torino, ci permettiamo di interrompere il normale flusso della fila per dirvi due parole. Data la necessità e l’urgenza di quanto vogliamo comunicarvi, siamo certi che comprenderete l’eccezionalità del metodo impiegato per attirare la vostra attenzione.

EQUILIBRIO F. L. WRIGHT- Luigi Esposito

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EQUILIBRIO F. L. WRIGHT

 
per violino solo
dedicato alla casa sulla cascata di
F. L. WRIGHT

 

“In una magnifica foresta, uno sprone di solida roccia che sorge a fianco di una cascata… la soluzione naturale apparve quella di sospendere in aggetto la casa al suo sostegno roccioso, sopra la cascata. La prima, tra le case da me costruite, eseguita in cemento armato: e perciò la sua forma si modellò sulla grammatica di questo tipo di costruzione” (F.L. Wright) “… segna l’apice poetico del metodo organico e la massima vetta raggiunta dalla libertà creativa. ” (Bruno Zevi)

 

Un ricordo improbabile

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di Massimo Rizzante

Dirò subito che ho incontrato una sola volta il grande “Jaufrè”, come lo chiamava Montale. Ricordate:

Jaufrè passa le notti incapsulato
in una botte. Alla primalba s’alza
un fischione e lo sbaglia. Poco dopo
c’è troppa luce e lui si riaddormenta

Quando un incontro importante resta unico, ogni gesto, ogni parola, ogni dettaglio della scena prende un’aria poetica.
Era l’estate del 1982. Credo luglio o agosto. Non avevo ancora diciannove anni. Ero seduto al bar della piccola stazione di San Donà di Piave (l’eterna provincia veneta!). Aspettavo un treno per Venezia, concentrato sulle Poesie d’amore di Nazim Hikmet, il poeta turco, amico di Majakavoskij. Leggevo un rubai (molto tempo dopo ho appreso che si trattava di una forma metrica tradizionale arabo-persiana), scritto da Hikmet nel 1933 a Istanbul, esattamente trent’anni prima di morire stroncato da un infarto sul pianerottolo del suo appartamento moscovita. Estate del 1963. L’estate in cui sono nato. Coincidenze. (La fame di coincidenze è il pane quotidiano della giovinezza). Ne ricordo una quartina:

Finito, dirà un giorno madre Natura
finito di ridere e piangere
e sarà ancora la vita immensa
che non vede non parla non pensa