di Flavia Capitani e Emanuele Coen
Il taxi sobbalza ogni cinque metri ma Vasile non ci fa neanche caso. Tra una parola di italiano e due di inglese, continua a raccontare come Bucarest stia cambiando ogni giorno sotto i suoi occhi. La strada che collega l’aeroporto al centro della città è un cantiere continuo, una lunga linea dritta spezzata da file di auto più o meno sgangherate e tir stracarichi di materiali per costruzioni. “Impressionante, qui dopo il Duemila tutto è impazzito – sospira il corpulento e loquace tassista –. Guardate quanto sono grandi questi magazzini Ikea, e lì a destra quel Carrefour. Laggiù stanno tirando su il più grande Bricofer d’Europa. E più avanti vedrete un concessionario dietro l’altro: Porsche, Bmw, Jaguar. Automobili che non riuscirei a comprare neanche con i guadagni di una vita. E pensare che sotto il comunismo appartenevo a una classe agiata, lavoravo per una grande azienda che aveva rapporti commerciali con Italia e Inghilterra. Da qualche anno giro la città in lungo e in largo per mettere insieme uno stipendio appena decente. Intanto il mio vicino di casa, che sotto Ceausescu era un semplice poliziotto, ha tre appartamenti e una Mercedes”.















