La poesia… Qualcuno è intimidito dall’idea stessa. Qualcun altro scrive versi da sempre, o vorrebbe farlo. Qualcuno non ci ha mai pensato.
Eppure non vi è un punto più o meno privilegiato per imbarcarsi in una delle sue avventure. Perché, quale che sia la nostra personale posizione nei suoi confronti, la poesia esiste da sempre e brilla nel mondo come forza propria, costituendo qui ed ora una grande opportunità per ciascuno: di espressione, di espansione culturale, di affinamento della sensibilità, di immersione fruttuosa nelle zone più autentiche di se stessi.
La proposta di Oltreparola è un ciclo di incontri attivi in cui praticare lettura, scrittura, ascolto e confronto.
Oltreparola – seminario di scrittura poetica
L’anima mia è morta per colpa tua
di Alessio Arena
Siamo come l’erba dei tetti,
Che secca prima di crescere.
(Salmo.129)
Scivola quel jeans, ma che donna sei,
battiti nel cuore, non l’avevi fatto mai.
(Raffaello -il cantante)
Dopo mangiato ho preso il numero di Enzo il farmacista per chiedergli il fatto del test.
Sì, sì, non ti preoccupare, ha detto lui, con quella voce che sembra che sta pregando, non ti preoccupare, sei uscita incinta.
Io mi sono messa un poco vergogna perché non sapevo cosa dire, perché non parlavo e non mi era caduto il telefono dalle mani come succede a una che è uscita incinta dentro a Biutiful, per esempio, o dentro a Un posto al sole.
Forse ho detto: no e chi si preoccupa ? E ho aperto il cassetto che sta sotto al tavolino del telefono per prendere carta e penna.
– Come si chiama il marito della Dottoressa Nadia ?
– Che c’azzecca mo ?
– Vedo se sta sopra all’elenco.
– Ma quello è uno pisicchiatrico, nenné.
– Uh Gesù, allora ci dico che mi deve aiutare a non far nascere a un altro pazzo.
– Tu non stai bene.
– E voi sì, la verità, cu’ cchesta voce ‘e vecchia ‘nzallanuta.
– …
Variazioni Meridiano – 5: Marco Giovenale
industria / distruzione
distruzione delle vite e distruzione del tempo delle vite sono prassi e procedure che si sono moltiplicate e sono diventate industria, nel percorso del secolo passato.
questo fatto carica di uno spessore di ombra aggiunta lo spazio dei segni, e dunque — in fondo — anche la scrittura di versi, che già per statuto suo è o può essere luogo laterale e asimmetrico rispetto al sermo communis.
all’interno delle forme e dei lessici si può cioè sommare quella macchia di assenza, di violenza e distacco, che le innumerevoli vite ferite, offese o perse (e il loro tempo bruciato) testimoniano o puramente sono. (fuori da linguaggi).
Tutti i colori del cielo

di Giuseppe Rizzo
Qualcuno aveva una lampada ad olio. La spiaggia, non appena quello accese il lume, si riempì di ombre. Decine di fantasmi neri iniziarono a scontrarsi e maledirsi. Uno bestemmiava il cielo per tutto quel buio. Uno tirava pedate all’acqua del mare. Uno era inciampato e si era ricoperto di sabbia. La donna stava immobile con le gambe aperte. Il pancione brillava sotto la luce del lume. Fu al momento di rialzarsi che sentii per la prima volta la sua voce. Le tesi la mano, ma il gesto fu così goffo che attirammo l’attenzione di tutti. La donna all’in piedi era piccola e tonda. La pancia le si gonfiava da sotto le vesti e inchiodava lo sguardo di tutti alla sua rotondità. Qualcuno disse che non poteva venire con noi. «È pericoloso», mormorò, «per lei e per noi». È pericoloso, pensavo anch’io.
Sei autrici per margini, frontiere – anteprima Sud 11
Il ciliegio quell’anno aveva un male nel corpo
a fiorire, come
se inclinasse una chioma innaturale
verso un mondo che non vagliava
le cavità del mondo (…)
Alessandra D’Agostino
dieci mattoni
uno sopra l’altro
stucco a farcire (…)
Giovanna Frene
«Il nervo scoperto della nostra virtù: la vita
separata in due frammenti incoincidenti,
la dignità del mondo attraversata
come una scorciatoia» (…)
Florinda Fusco
conto le ossa adesso che sei quasi vicino
dietro il vetro la mano spinge non arriva
il corpo piegato a ricamare un bosco con gli spilli (…)
Marina Pizzi
appunti di sorpassi da questo indietro
da questo corriere dei piccoli permanenti
vedere il mondo da indici di fagotti
comunque la perdita senza la fronte querula
starsene d’angolo in gola alla forca(…)
Laura Pugno
allatta
una scimmia cucciolo
dalla pelliccia d’oro,
trova a terra
il corpo di una scimmia grande
scuoiato (…)
Un requiem per Misia
Misia, μισέω, miserere. Così suona nella mia mente un requiem per la donna che fu Misia Sert. Nacque Godebska il 30 marzo del 1872 mentre sua madre moriva nel darla alla luce. In questo evento Misia fonda il suo destino: nata dal dolore di sua madre che, malgrado il ventre gravato oltre l’ottavo mese, viaggiò un intero viaggio dalla Francia alla Russia, perché non poteva credere alle parole di un’anonima e rozza scrittura che le annunciava l’infedeltà dell’amato consorte, grave e altrettanto gravida di umane conseguenze; usata e umiliata dalle molte matrigne amate dal padre, ribelle alla paura e ai soprusi e perennemente in fuga; innamorata e venduta dal suo primo al suo secondo marito, amò solo il terzo e lo lasciò libero di andar via quando questi s’innamorò a sua volta di un’altra donna, che Misia accolse come una figlia. Rispetto chiese sempre per sé e per chi amava, rivendicando ogni ora la libertà di scegliere la propria via. Nelle sue vene scorreva sangue polacco e belga e russo e francese. Artista figlia di artisti, fu il cuore dei salotti d’avanguardia parigini. Scrisse con la leggerezza di una farfalla tutte le note bianche fra quelle nere della sua vita. Leggetene il ritratto a carattere che ne fece Jean Cocteau e ammiratene tutta la forza che non è più.
Sul ricordo di Misia oggi io canto un requiem per il cerimoniale dell’otto marzo e per tutte le donne che non hanno più fame di libertà e di rispetto.
Cinque minuti
di Sabrina Campolongo
Cinque minuti.
Cinque minuti persi, realizzò Davide, sostenendosi con una mano contro lo stipite della porta del bar. Sospeso a fissare il cronografo al suo polso, quasi che chiamando a testimonianza il suo fiato corto e le gambe stanche potesse convincerlo a rettificare la sua posizione.
Ma a nulla sarebbe servito, nemmeno se gli avesse detto che non si era fermato, che non aveva incontrato nessun conoscente nel parco, che non aveva condiviso nemmeno una parte del percorso, nessuna chiacchera, nessun fondoschiena di bella ragazza in calzoncini da ammirare, niente.
DeLillo
Qualche mese fa Tommaso Pincio sul Manifesto faceva il punto sulla produzione di romanzi americani sull’11 settembre (Updike, McEwan, Kalfus, DeLillo, Massud, McInerney, Safran Foer…), concludendo più o meno che il tentativo di scrivere qualcosa di realistico – a partire da una tale overdose di Reale – si rivelava, anche per scrittori di indiscusso talento, un po’ fallimentare. Mentre Pincio riteneva più convincenti due libri come L’accademia dei sogni di William Gibson e la fiaba apocalittica La strada di Cormac McCarthy, che sceglievano di usare gli strumenti della letteratura per contrapporsi direttamente all’immaginario dell’11 settembre (lo scenario di paura e devastazione) e non al suo dato di evento storico. La questione era sintetizzata da una battuta di Martin Amis, che, all’indomani dell’attentato, aveva dichiarato: “il 12 settembre, dopo essere stati un paio d’ore seduti alla scrivania, tutti gli scrittori della Terra avevano considerato, seppure controvoglia, la possibilità di cambiare mestiere”. Ossia: è morale una narrativa di finzione di fronte a una catastrofe? Che senso ha scrivere storie?
Un mutamento di clima – 1
di Tiziana de Novellis
Come medico, ho sentito la necessità di dare un piccolo contributo al dibattito sui temi di bioetica, nel tentativo di chiarirne alcuni degli aspetti tecnici, oltre che sociali e umani. Questo scritto, a causa della complessità delle tematiche affrontate, non pretende né di esaurirne gli aspetti scientifici né di dare risposte univoche o risolutrici. TdN
“Solo il fanatismo, che come sempre nasce da un’intenzione apparentemente buona, può far credere che i medici di Napoli non siano persone perbene ma stregoni sadici, allegri assassini di nascituri. Il signor giudice, mandando la polizia in sala operatoria, ha trasformato un luogo di lenimento della sofferenza in un quadro di Bosch. E alla fine invece di mostrare il presunto orrore della professione medica, ha mostrato tutta l’asfissia di un’altra professione, della sua professione.” Francesco Merlo, “La crudeltà dell’ideologia”, la Repubblica, 13 febbraio 2008.
Riconsiderando alcune delle recenti vicende politiche del nostro paese, a cominciare dall’abbandono del dibattito parlamentare sulla normativa che avrebbe dovuto regolare le unioni di fatto, il rifiuto delle cure, la procreazione assistita fino alla recente messa in discussione della legge che regola l’aborto volontario e terapeutico, è evidente che l’ingerenza pressoché quotidiana delle gerarchie ecclesiastiche nella vita politica dello Stato risulta essere più efficace del dibattito politico stesso. Ciò che è in gioco, oggi, è la sopravvivenza del confronto democratico intorno a quei temi cosiddetti “eticamente sensibili”, a cui si contrappongono alcune “idee” sempre più radicate come “articoli di fede”.
La passeggiata improvvisa (e congedo)
di Franz Kafka
Quando la sera sembra ci si sia definitivamente risolti a restare a casa, si è indossata la veste da camera, dopo cena si siede al tavolo illuminato e si è iniziato un qualche lavoro o gioco, concluso il quale d’abitudine si va a dormire, quando fuori c’è un tempo ostile che rende naturale il rimanere a casa, quando ormai si è rimasti fermi così a lungo accanto al tavolo che l’andarsene non potrebbe che suscitare la sorpresa generale, quando le scale sono già buie e il portone sbarrato, quando ora, nonostante tutto, ci si alza presi da un disagio improvviso, ci si cambia la giacca, si ricompare subito vestiti per uscire, si dichiara di dovere andare, e lo si fa senz’altro dopo essersi brevemente accomiatati, si pensa, giudicando dalla rapidità con cui la porta è stata sbattuta, di essersi lasciati alle spalle più o meno contrarietà, quando ci si ritrova in strada, con membra che rispondono con particolare mobilità alla libertà inattesa che si è loro procurata, quando per quest’unica decisione si sente raccolta in sé ogni capacità di decisione, quando con evidenza maggiore del solito si comprende che, più che il bisogno, si ha la forza di operare e sopportare facilmente il cambiamento più repentino, e quando si cammina così per le lunghe vie – allora, per quella sera, si è usciti del tutto dalla propria famiglia, che s’allontana nel nulla, mentre noi, saldissimi, neri per l’assoluta nettezza dei nostri contorni, battendo con le mani dietro le cosce, ci si innalza alla nostra vera figura.
Tutto si rafforza se, a quell’ora di notte, si va a trovare un amico, per vedere come sta.
[con questo post prendo congedo dai lettori di Nazione Indiana ringraziando per questi quattro anni di letture e scritture. A loro, e chiaramente a Nazione Indiana, un saluto e arrivederci.]
“eppur si muore”

di
Sergio Bologna
Io non credo che interventi legislativi o misure organizzative (come ad es. la creazione di un pool di magistrati specializzato) possano produrre effetti di una qualche rilevanza nella lotta agli incidenti mortali sul lavoro. Com’è possibile prescrivere una terapia quando non si conoscono le condizioni del paziente? Posso peccare di presunzione, ma sono quasi certo che le istituzioni non hanno presente la mappa del mercato del lavoro in Italia, nemmeno a grandi linee. E quindi non hanno la più pallida idea della mappa del rischio. Cominciamo da un dato: il differenziale di circa 2,4 punti percentuali tra l’incidenza dei morti sul lavoro in Italia rispetto al resto dell’Europa è dovuto al fatto che da noi si muore “in itinere”, cioè mentre ci si sposta per lavoro o per andare o tornare dal luogo di lavoro. Quindi “il luogo” di lavoro di per sé, concepito come luogo fisico, non sarebbe più rischioso in Italia di quanto sia quello di altri Paesi europei. E’ lo spazio della mobilità quello più rischioso. Perché?
Discoterra/Musico/Bombarderia 2# e fine
di Silvia Salvagnini
ci sono baci che non si conoscono
che non si affondano che navigano
volano tuonano baci che non si sanno
che hanno ridanno in questo
scambievole scarico di scivoli:
altalene scivoli altalene.
e quando non mi conosci
che mi perfori divori fori.
*
La mossa di Tito

Sono quello che sono
di
Azra Nuhefendić
Visto che uno dei candidati alla presidenza degli Stati Uniti, Barak Ehud Obama, è stato accusato di essere musulmano [v. “The Sunday Times” -Culture International, 16 dicembre 2007], che alcuni musulmani nell’Italia settentrionale furono detenuti avendo pregato in pubblico, ho deciso che la cosa migliore per me sia di ammettere: va bene, anch’io sono una musulmana.
Come mai mi è successa una cosa del genere? E perché è capitato proprio a me? Di solito, come nei casi di malattie gravi o di tradimenti sentimentali, sono stati altri ad accorgersene per primi.
che lega, ancora
di Serena Granatelli
Si siede il doppio
riporto la toppa
di un’anticamera
[disidratata]
e scanzo allo scoperto
un sogno di vergogna;
ho tradito il dato
bruto al confronto
diretto ti ho dato
di petto il mio buco
telato, svelato sul ciglio
da un fanatico compositore.
Idillio Forsennato: Arno Schmidt
C’è una poesia di Günter Eich, poeta e drammaturgo tedesco tra i fondatori del Gruppo 47, che è considerata emblematica dell’istanza rifondatrice del linguaggio poetico della Trümmerliteratur, la «letteratura delle macerie» che si sviluppò in Germania nell’immediato dopoguerra. S’intitola Inventario e comincia così: «Questo è il mio berretto, / questo è il mio cappotto / qui la mia roba per fare la barba / nella borsa di lino». In una lingua semplice e scevra da patetismi, soltanto nominando i pochi resti personali, l’io lirico del soldato prigioniero ritesse le fila della propria esistenza nel mondo, fino a riaffermare la propria identità poetica: «La mina della matita / è ciò che amo di più: / di giorno mi scrive i versi / che ho pensato di notte».
Titoli
Non so se esiste una storia dei titoli in arte e letteratura. Una trattazione breve ma abbastanza esaustiva riguardo ai libri l’ha fatta Gerard Genette in Soglie. I dintorni del testo, partendo dagli interminabili titoli barocchi per arrivare fino alla brusca concisione di quelli novecenteschi, ed elencandone le funzioni principali (identificazione dell’opera, designazione del contenuto, valorizzazione). Umberto Eco, nelle Postille al suo primo romanzo, spiegava la genesi di quel titolo, di cui fu corresponsabile – come accade spesso – il suo editore. Vennero rifiutati titoli troppo neutri, che prendevano a prestito il nome del protagonista, come Adso da Melk (il preferito dall’autore); o titoli più banali, come L’Abbazia del delitto, che lo faceva somigliare a un giallo di serie B. La scelta finale fu azzeccata, Il nome della rosa è una chiave di lettura appropriata, per le valenze nominaliste a cui rimanda l’esametro latino finale e perché resta sufficientemente vago da non precludere ulteriori percorsi ermeneutici.
L’uomo della frontiera
(Anticipazione da «Sud» 11)
di Giovanni Fazzini
L’uomo della frontiera inteso come uomo libero, indipendente, padrone dei grandi spazi non ci interessa. È qualcosa che appartiene al mito e nemmeno il mito ci interessa. Ci preme, piuttosto, delineare quelle dinamiche che hanno fatto della frontiera un laboratorio del domani, cercando di individuare le linee di un processo sostanzialmente cieco o, comunque, ben lontano da ricostruzioni consolatorie.
Le santissime parole di Ascanio Celestini (prima parte)

Qualche giorno fa, in una conversazione con Sergio Bologna gli ho chiesto se avesse visto il film documentario di Ascanio Celestini, Parole sante. E gli ho anche detto che secondo me lo si poteva considerare per una serie di motivi che proverò a formulare, la traduzione in immagine, in movimento di molte delle riflessioni che hanno animato quella straordinaria scuola di pensiero politico e sociale che è stata l’operaismo, e per certi versi determinate analisi del mondo attuale scaturite da quelle tesi. Insomma, gli ho detto: ” Sergio, devi assolutamente vedere Parole Sante“.
La mia tesi è che Ascanio Celestini, tra tutti gli autori che in Italia si sono occupati di lavoro precario- e a loro va comunque riconosciuto il merito di essersi rivolti a quei cambiamenti- è riuscito a “raccontare” più che semplicemente descrivere o croniquer le mille trappole del lavoro precario e lo ha fatto da una prospettiva distante anni luce dal miserabilismo e dalla compiacente mortificazione delle persone asservite all’ideologia del “posto fisso” secondo una logica e visione dei sindacati “attuali” in Italia. La storia di Parole sante, del resto, non è una storia di parole, ma di esperienze. E per osservare un’esperienza bisogna mettere le facce di chi l’esperienza la fa, soprattutto sulla propria pelle. E non smette di sorridere nemmeno quando è nel pieno della battaglia.
Innanzitutto cos’è l’operaismo?
Scrive Mario Tronti*
Variazioni Meridiano – 4: Stefano Guglielmin
omaggio al meridiano
Respiro, il che significa direzione e destino. Mi si chiede perché scrivo, ed io rispondo, con Celan: perché respiro. Dico: respiro, e scrivo. Scrivo del verso che si contrae e si dilata, del verso-mantice che dà fiato al mio “20 gennaio”. Così facendo, il verso lo traduce in canto, muta quel tragico giorno in direzione e destino. E tuttavia nel canto, nel mio canto, direzione è destino. Per me scrivere è andare incontro, andare verso, tornare. Verso, ossia volgere, girarsi, così che andare lungo la direzione sia, anche, tornare nei pressi di dov’ero già stato. E, da qui, parlare. Fato ha la medesima etimologia; phatos: detto, sentenza, oracolo. E sorte: annodare, legare insieme. Dico: respiro, e annodo la lingua al presente, indicando una direzione, facendo il verso alla direzione. Guardo indietro, come l’angelo di Klee. Riconosco nelle macerie il mio destino. Inorridisco, in loro vedo intero il mio 20 gennaio, la mia “soluzione finale”. Eppure destino è bifronte. Il futuro è già qui, aperto. Direzione è destino nell’aperto della lingua.
Lo scultore
di Fernando Arrabal
Che fai, scultore, perduto nelle gallerie d’arte?
Ti faranno marcire, sarai castrato, digerito.
Barbaro e analfabeta, se non stai all’erta
ti trasformeranno in un cittadino illustre.
Ieri hanno esposto Van Gogh,
l’altro ieri pubblicato Rimbaud, la sera
messo in scena Artaud,
oggi è il tuo turno.
La Biblioteca di Poesia a Milano
Alla CASA DELLA POESIA, Palazzina Liberty, Largo Marinai d’Italia, Milano
Giovedì 6 marzo ore 21
Presentazione dei quattro volumi della “Biblioteca della poesia” diretta da Massimo Rizzante: Jan Skácel, Haroldo De Campos, Tadeusz Rózewicz, José Ángel Valente
La collana “Biblioteca di Poesia” della casa editrice Metauro di Pesaro intende presentare al lettore importanti poeti contemporanei di cui non esiste in Italia un’antologia di alto profilo.
Intervengono Antonella Anedda, Giuliano Mesa, Massimo Rizzante.
A cura di Andrea Inglese



