di Francesca Matteoni

(Giangiacomo Degli Esposti è un ragazzo pistoiese di 33 anni. Fa l’ educatore in un centro socio-educativo gestito dalla cooperativa Pantagruel di Pistoia in un quartiere popolare con forte presenza di immigrati. Al polso porta vari braccialetti, di filo, cuoio, perline: ogni braccialetto è un luogo che ha visitato, un paese che porta con sé come un affetto, una persona. Paesi europei, ma soprattutto il nord ed il sud del Chiapas, dove è stato tramite associazioni non governative come osservatore internazionale; il Guatemala, esplorato autonomamente girando in autobus, ancora il Messico. Nell’agosto del 2006 si è recato in Palestina: al suo ritorno abbiamo trascorso un’intera serata (e mezza nottata) a vedere fotografie, a parlare, a ritornare su certe immagini. La Palestina entra nelle nostre case con cadenza più o meno quotidiana. Siamo talmente abituati, anestetizzati dai media riguardo l’esistenza di un conflitto arabo-israeliano, da rischiare di perdere il senso di realtà su quanto succede. Ma quando a raccontare l’evidenza è un amico, qualcuno che appartiene alla nostra storia personale, un comune occidentale proprio come noi, verità ed ignoranza si fanno consistenti: immagini di carne e sangue nel nostro presente. Per mesi mi sono rimaste impresse alcune fotografie di Giangiacomo: la spazzatura di Hebron, il bambino minuscolo sotto l’occhio del mitra, le catapecchie grigie, di terra inaridita sulle colline, come le case di cartapesta di un presepe di quarant’anni fa. Insieme abbiamo provato a raccontare la sua esperienza, nel modo più lucido e ordinato possibile, così che le parole diventassero anche il mio ricordo, la parte di memoria di qualcuno che non c’era, ma vuole ascoltare, come se vedesse. f.m.)