di Roberto Rossi Testa
III.
Non basta una lezione
a diventar piloti.
Pure dopo una sola
lezione mi fu imposto
di montar su un aereo
e volare da solo
fino ad un promontorio
che si stagliava là
oltre un braccio di mare,
per poi fare ritorno.
di Roberto Rossi Testa
III.
Non basta una lezione
a diventar piloti.
Pure dopo una sola
lezione mi fu imposto
di montar su un aereo
e volare da solo
fino ad un promontorio
che si stagliava là
oltre un braccio di mare,
per poi fare ritorno.
di Silvia Salvagnini
non la sai la storia della gomma?
che se due si danno la gomma
è come se si fossero baciati?
(tò.)
(e io ho la tua gomma nella bocca
leggera bocca nella mia bocca)
*
[Ci sono libri come questo che non ha importanza che siano belli o brutti, ma che facciano male. Questo libro mi ha fatto soffrire. L’autore ha deciso di rimanere anonimo perché non cerca una gloria personale, semmai uno sguardo verso un mondo a noi vicino eppure sconosciuto. Ho chiesto a lui e al suo editore, Leonardo Pelo di Noreply, di scrivere due note attorno a questo libro. Ve le porgo. G.B.]
di Andrea e Leonardo Pelo
Andrea: “E ora? “
Leonardo: “Lo pubblichiamo.”
::::::
Un problema lo riconosci quando ti smuove dentro un insieme di sensazioni talmente aggrovigliate e brucianti da non poter essere digerite a freddo. I problemi sono nervi scoperti, richiedono pazienza, attenzione, riflessione, tempo. Dolore. Dovevo scrivere quanto avevo vissuto e visto.
::::::

di Gloria Caccia Redig
Questo dolore fermo immobile sfocato
Quasi altro da me sconcio solo mio
Indirizzo subacqueo di male attraversato
Che m’attraversa parte a parte
Rimbalza chiodato e non esce da me
Che sto fuori di me e osservo covo tremo
Ferma sui nidi del passato che non muore.
di Franz Krauspenhaar
1. Mi sveglio alle tre dopo aver sognato di essermi perso in un documentario che parlava di me… A un tratto, un tipo ambiguo che mi offriva delle pillole per dormire accende un grande televisore al plasma nel quale trasmettono un documentario su Bacon; dell’artista nessuna traccia, solo la mia voce off che racconta della sua arte, e la visione di quadri astratti uno più improbabile dell’altro, dai colori pastello, che scorrono uno dopo l’altro a una velocità pazzesca.

Watching struggles
di
Sergio Bologna
Mentre l’Italia registrava l’ennesima morte sul lavoro e le lacrime di coccodrillo da sottile rivolo diventavano torrente in piena, io passavo ore a seguire sul video del mio computer di casa le vicende dello sciopero degli sceneggiatori americani. Non è per raccontarlo, meglio di me altri lo hanno fatto, ma per riflettere sulle possibilità della comunicazione oggi che propongo queste considerazioni. Per dire che il soggetto è doppio, noi che seguiamo da lontano e loro che laggiù agiscono e la riflessione va fatta su tutti e due, perché ambedue siamo coinvolti in un processo di trasformazione. Perché ci ho speso del tempo? Perché ormai i comportamenti conflittuali dei “lavoratori della conoscenza” e della “classe creativa” sono diventati il centro della mia riflessione; ritengo questa una delle componenti sociali più dinamiche in tutti i sensi. L’industria dell’entertainment produce più occupati dell’industria dell’auto e le forme lavorative al suo interno sono dominate dalle figure tipiche del lavoro postfordista, intermittente, mobile, intellettuale, pressato dalle nuove tecnologie ecc..
di Marco Rovelli
Sono felice di aver conosciuto Marino Magliani prima di leggere un suo libro, e di averlo conosciuto nel suo ambiente olandese, nella sua casa nel condominio di IJmuiden, nel suo studio stretto e ingombro, di aver camminato con lui sulle sue spiagge olandesi, tra i bunker in faccia al mare. Così ho potuto riconoscerlo, nel libro che ho letto solo dopo, Quattro giorni per non morire. E ogni cosa, qui, la dico del libro e di Marino insieme, c’è come una soglia di indifferenza che mi impedisce di distinguere: perchè, in ambedue i casi, il discorso articolato è lo stesso. Un discorso che disumani.
di Ornela Vorpsi
The Fullness of being
Il passaggio de La vita degli animali a cui sono più legata è quello in cui si risponde alla domanda: che cosa noi uomini abbiamo in comune con gli animali? Coetzee-Costello propone una risposta sul piano dell’esperienza attraverso una prova allo stesso tempo miracolosa e concreta – la più concreta di tutte – che ci è immediatamente accessibile, tanto che ci basta aprire gli occhi per verificarla: è l’esperienza della vita come pienezza.
Filippo La Porta to Christian Raimo
Caro Christian, ho appena fatto una recensione al libro da te curato (Il corpo e il sangue d’Italia), però la tua introduzione mi ha lasciato perplesso. In che senso? A prima vista ineccepibile, ultracorretta. ll valore semantico della parola “verità” (che una volta Freccero disse trattarsi di citazione dagli anni ’60), e poi il principio di realtà e perfino la “provocazione etica”! Ma sei sicuro che queste cose ti appassionino? Mi sono perso forse qualche passaggio. In un dialogo con Cortellessa non ricordo che tu opponessi una resistenza memorabile al suo negare il valore semantico dei concetti di “verità” e “autenticità”…
Dopo aver letto la tua introduzione ho pensato di avere di fronte un ircocervo: che so, il corpo di Cortellessa ma la testa socratica di Fofi, il nichilismo un po’ cinico di Scarpa e lo sdegno che dà sul vernacolo di Giacopini… Mi permetto di dirtelo proprio perché tu stesso inviti a mettersi in gioco. Visto un po’ dall’esterno il tuo atteggiamento sembra una variante all’interno del gioco italianissimo dei travestimenti. Ma: pronto a ricredermi, naturalmente. L’etica? Sì, vabbè, ma su cosa la appoggiamo? Una tradizione? Il passato? Il futuro? L’amore per qualcosa o qualcuno? Una fede appunto nella “realtà”? Tutte cose che, credo, abbiamo urgente bisogno di ri-motivare di nuovo. Non ti pare?

di Sergio Soda Star
a gucci
sono preda delle particelle
che sono belle
vedo le luci colorate
l’intermittenza ci fa qualcosa
nel sogno (pure) è innamorata
cadono le comete e tutti gli astri
quando mi ricordi
capita di rado
sono venuto a dirti che me ne vado
***
In assenza di.
Se ciò che è riflesso somiglia
occorre che il vetro sia rotto
perché con le schegge si tagli.
La pelle (l’immagine sotto).
Riportare notizie in merito ad un percorso proprio implica la necessità di un’osservazione attenta ed attendibile. Poiché, tuttavia, un percorso in fieri è per definizione in continuo movimento, una fotografia dello stesso non potrebbe che risultare mossa. Inoltre, riferire di un’esperienza necessaria continuamente rinnovata (quale la scrittura per chi, qui, ne scrive) sarebbe come segnare i punti cardinali del proprio mangiare o dormire etc.. Infine, il miglior modo che un autore può scegliere per veicolare il proprio percorso è, per l’appunto, la propria opera e più rivolto a questa sarà lo sguardo più la focale risulterà esatta. Una prima forma di assenza è quindi mancare rispetto al compito assegnato. Ecco che di fronte all’invito a tracciare una traiettoria relativamente al proprio “fare versi”, chi scrive in questa sede tenta impropriamente di seguire la traiettoria che un verso, il verso di qualunque autore di poesia, fa o può fare.
di Cristina Babino
Monsanto è un lembo sperduto e antico del Portogallo centrale, nella regione interna di Beira Baixa. Nel 1938 il regime fascista, col suo vacuo primatismo da propaganda, coniò per esso la definizione di villaggio più portoghese del Portogallo, motto che occhieggia tutt’ora nei dépliant turistici e sui cartelli stradali. Dall’aeroporto di Lisbona occorrono circa tre ore di macchina per giungere qui, nel distretto di Castelo Branco, a sud-est della catena montuosa della Serra de Estrela. Il confine spagnolo è a un passo, si avverte nei nomi delle cose, e nell’aria calda e calma che pervade le vallate anche in inverno. Dalla capitale si punta in autostrada al cuore di roccia del Paese, per due buone ore e mezzo, poi ci si inerpica per strade più o meno impervie tra i diciassette villaggi del comprensorio di Idanha-a-Nova, di cui Monsanto è un municipio – una freguesia, secondo il termine locale usato ai tempi dei remoti splendori dell’Impero portoghese.

Un’orchestra che non agonizza, un singolare caso di lotta per il lavoro
di
Cristian Raimo
Tempo fa sempre qui scrivevo questo, che c’era un’orchestra che moriva.
Oggi ci sono delle novità, che non sono novità. Il tavolo con la Regione, due incontri, è chiuso. La Fondazione ha promesso di rispettare il contratto nazionale sottoscritto l’anno scorso (9 mesi di programmazione) ma a scapito della densità di concerti, presentando cinque mesi di programmazione. Dopo uno stop di sei mesi non retribuiti. I bilanci, promessi, non sono stati presentati. La ridotta attività comporta una ulteriore riduzione dei finanziamenti pubblici. Regione e comune latitano. L’Orchestra ha deciso l’agitazione permanente, cioè tutti i concerti in Auditorium saltano fino alla riapertura delle trattative. Pare che il vero capo della Fondazione sia un uomo solo (dimissionario in teoria, ma ancora in carica), arroccato a Segni, che ha rifiutato diverse offerte di direttori stabili, inviti a festival stranieri, ecc. forse per mantenere l’egemonia. Oggi l’ANSA dà notizia della petizione. Altre iniziative programmate: manifestazione a Segni (venerdì), concerto gratuito domenica, probabile occupazione della Sala Sinopoli, manifestazione in Campidoglio. Politici in soccorso: zero.
C’è una petizione da firmare
di Giampiero Neri
Di quella fontana stile novecento
che doveva durare
oltre le nostre vite
si è persa la traccia
morta con la sua epoca breve.
Era ridente nella sua rotondità
spensierata all´apparenza,
finita chissà dove.
di
Francesco Forlani


di Gianluca Morozzi
[A Bologna, domenica 24 Febbraio alle 19,30, XoMeGaP presenta il libro di racconti Mutazioni (LAB – Giulio Perrone Editore), al salotto post litteram dell’Arterìa (Vicolo Broglio 1/E). XoMeGaP è un un progetto letterario nato nel 2005: un “gruppo di affinità”, tra amici scrittori, in rete come sito e come blog. Da qui è nato Mutazioni, dodici racconti di dodici autori: Ivano Bariani, Sara Bosi, Simone Covili, Eliselle, Michele Governatori, Ettore Malacarne, Gianluca Morozzi, Massimiliano Prandini, Cecilia Randazzo, Giuseppe Sofo, Gabriele Sorrentino, Fulvio Tosi. Di seguito, il racconto di Morozzi.]
1.
Questo è quello che è successo all’inizio.
Un demone si era annidato nel cervello di suo padre.
E gli aveva ordinato di uccidere tutti.
di Franz Krauspenhaar
Un paio di giorni di malessere generale causato dall’insonnia. Riemergo in qualche modo, faccio una lunga passeggiata nella sera di fine inverno, attorniato da poca umidità. Passanti che trottano assieme ai loro cani, il dopolavoro del bravo borghese.
Vicino a un bar tabaccheria – l’unico aperto nel mio quartiere dopo le otto di sera, un posto che negli anni si è lentamente ripulito ma che è rimasto comunque abbastanza malfamato – vedo una Mercedes 320 blu scuro parcheggiata con le ruote verso l’esterno. A bordo un uomo robusto, dalla faccia quadrata, che parla concitatamente al microfono del suo cellulare. La sua bocca esprime dentatura e sforzo, tensione. Ho appena visto un uomo baconiano e l’ho riconosciuto. Il cellulare è quest’arnese di invadente comunicazione che, previa le cuffie, rende un sacco di passanti degli zombi che muovono le bocche come pesci in un acquario, o barboni ripuliti e imborghesiti che parlano da soli per le strade della città, ma più assorti, barboni di successo.
[dedico questo video ai miei due amici Tashtego e Valter Binaghi (ma anche a tutti gli altri indiani e lettori indiani) G.B.]
di Nicola Ponzio
Esiti, – dove si ostinano parole
e resistenza.
Rotoli in preda al silicio,
tra segni elettronici persi
nel vuoto del web.
Ora insisti
sui versi, – ti avviti
sugli input, desisti…
Se nel monitor vibrano impulsi vitali
o già morti, – dati al ritmo di bit

Scheletri della Cappella San Severo
I critici, soprattutto in Francia, sono fin troppo vanitosi per non parlare mai di null’altro che non sia il loro magnifico se stesso. Mai del tema. Tanto per cominciare, sono troppo coglioni. Non sanno nemmeno di che cosa si tratti. E’ uno spettacolo di grande vigliaccheria vederli, questi stomachevoli, sbattersi, offrirsi una stretta di mano subdola alla vostra buona salute, approfittare della vostra povera opera, per fare gli splendidi, pavoneggiarsi per l’uditorio, camuffati, sedicenti “critici”.
Louis Ferdinad Céline, Bagatelles pour un massacre
Perché introdurre con queste parole di Monsieur Destouches la lettura che sto per proporvi? Perché aver tradotto un brano del genere tratto dal più odioso libro mai scritto, dalla voce tra le più autentiche del Novecento, per parlare di Acqua Storta, di L.R.Carrino? Forse per alludere al marcio del sistema delle lettere italiche, tutto cronometrato sui rinvii d’ascensore dei critici / autori, autori /critici?