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Un frammento di memoria da salvare

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Rocco Gatto era un uomo perbene. Era un mugnaio calabrese, testardo e comunista, con la passione degli orologi e quasi un’ossessione per l’onestà. Rocco Gatto si ribellava ai soprusi, non pagava il pizzo e denunciava i mafiosi. La ‘ndrangheta l’ha ammazzato il 12 marzo 1977.

Richieste ravvicinate del terzo tipo

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[richieste raccolte da amici librai (Deanna, Debora, Giorgia, Giovanna, Ilary, Itria, Monica e Marco) a Modena e Forlimpopoli e da me prontamente rigirate all’inclito pubblico di NI. G.B.]

La crescenza di Piacenza di Stendhal.

I Poveretti di V. Hugo.

– Dove posso trovare Le mele di notte?

Sodoma di Saviano.

Paesi Bassi

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di Marino Magliani

Prima di quel giorno Gregori non era mai stato al consolato italiano di Amsterdam. Gregori abitava in Olanda da parecchio, in una cittadina sul Mare del Nord, anche se a volte gli risultava difficile sostenere che viveva in Olanda, egli in realtà abitava in una stanza, la cui finestra dava su una strada alberata e sul mare. Dentro quella stanza il signor Gregori scriveva storie. Tutto lí. Quel giorno si recó al Consolato perché aveva ricevuto una proposta di lavoro. Avevano saputo che era un buon traduttore dallo spagnolo e avevano pensato a lui per l’attività di interprete. Cosí, dopo essersi presentato all’ufficio amministrativo, Gregori fu ricevuto dal Console in persona. Era un signore alto e distinto, e guardava dritto negli occhi.

E quasi una ragazza era . . .

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costellazione della Lira

vi propongo uno dei sonetti a Orfeo (il II), di Rainer Maria Rilke, scritti nel 1923 nel suo ultimo rifugio di Château de Muzot, presso Sierre, nel cantone Vallese della Svizzera, con due differenti traduzioni, l’una di Giaime Pintor, contenuta nel volume Poesie (Einaudi 1963) e l’altra di Giacomo Cacciapaglia, nel volume Sonetti a Orfeo, (Studio Tesi 1990), La prima è quella di Pintor, in fondo trovate il testo originale. a.s.

 

E quasi una fanciulla era. Da questa

felicità di canto e lira nacque,

rifulse nella trasparente veste

primaverile e nel mio udito giacque.

Orti di guerra

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di Linnio Accorroni

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Consiglio di lettura numero uno: aprire il libro e piluccare, in mero ordine cronologico, tre o quattro ‘Orti’ di seguito o tre o quattro pagine di seguito (cioè più o meno 7/8 ‘Orti’) senza interruzione alcuna. Come per miracolo, d’acchito, ci si troverà, dopo la lettura, sia essa cursoria o meditatissima a: sorridere, indignarsi, sghignazzare, immalinconirsi, scuotere la testa, incazzarsi, rattristarsi, commuoversi. Chiudere il libro. Se lo si desidera: uscire, leggere altro, incontrare, passeggiare, sentire musica, guardare la Tv, mangiare, dormire. Riaprire il libro: rieseguire fedelmente ciò che sta scritto nel Consiglio di lettura numero uno.

Ah, nos amours! effeffe

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from Procida
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Il mio Faletti

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di Franz Krauspenhaar

Faletti, il noir italiano. Faletti all’Isola d’Elba mangia una trota spedita in busta refrigerata chiusa dal Lago Maggiore. Faletti si masturba pensando ad Antonio D’Orrico. Faletti che fischietta Minchia signor tenente mentre si fa la doccia. Faletti a Montecarlo, venti anni fa, incubando Io uccido, mangiando crostacei, Crystal Rosé in ghiaccio, la moule n.1 sul piatto, la moule n.2 in camera da letto, mitile noto, ginecologicamente prossimo all’apertura.

Brindisi augurale

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 a f.m.

Alla carrarina. Si leva il bicierin in alto, lo si fa digradare verso terra, poi lo si porta a sinistra e infine a destra: un segno della croce, insomma, e l’importante è che l’occhio non perda mai di vista il vino. Si salmodia nel gesto apotropaico: “chiar al’è chiar – muscirin an’in’en – te’n te vò – te nemmanco – al’beve me” (più o meno). Va da sé che si pronuncia l’ultimo verso levando il bicierin alla bocca per assimilare il Verbo.

Visione delle ossa aride

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di Giorgio Vasta

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Camminando per Palermo, una volta con il piede prendo un osso. È bianco, calcinato dalla luce della luna, a forma di pugno, completamente spolpato. Lo tocco con la punta della scarpa e poi me lo passo da un piede all’altro per un po’ di metri, schivando i platani e lanciandolo in avanti sul marciapiede. Quando torno in città ed esco a camminare ne trovo spesso, di ossa. Sono piccole esplosioni secche e dure. Eruzioni. Credo vengano fuori dal cemento della strada. Si trovano le ossa degli arti, un pezzo di colonna vertebrale, una mandibola. Animali che muoiono e restano lì in laboriosa decomposizione, i gas che scoppiettano nel silenzio della notte, la giostra degli insetti visibili e invisibili che brulica e si nutre, una specie di festa biologica, necrologica (nella misura in cui a Palermo, ogni giorno, biologia e necrologia coincidono in modo naturale, senza strepiti), che prosegue nel corso dei giorni con la pietra che assorbe i resti, con la loro restituzione quando dopo la pioggia l’acqua reflua porta fuori quello che stava nel profondo.

Con una poesia di Wystan Hugh Auden

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Ho ricevuto da Domenico Scarpa, this present. Su mia richiesta ha accettato di condividerlo con i lettori di Nazione Indiana. Auguri a tutti.
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Care amiche e amici,
vi mando una poesia di Auden tradotta da me per augurarvi un buon 2008. Il titolo originale è As I walked out one evening. E’ molto bella: una filastrocca irrequieta, a tratti spietata, ma credo che sappia dare a chi la legge una forza rabbiosa, da terremoto, una forza allegra anche nel dubbio e nello strazio. Spero che anche in italiano, di questa poesia, qualcosa sia rimasto. L’anno nuovo, invece, è lì tutto intero, e mi auguro che dia il meglio a tutti quanti voi. Un caro saluto e a presto.

Domenico

Una sera che andavo passeggiando
di
Wystan Hugh Auden

trad. Domenico Scarpa

Una sera che andavo passeggiando –
Facevo Bristol Street nello scuro –
La folla che affollava il marciapiede
Era grano a distesa, maturo.

Lungo la riva del fiume pimpante
Sentii un innamorato cantare
Sotto un’arcata della ferrovia:
“L’amore non può mai finire.

Il cane di Ptosis

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di Alejandro Jodorowsky

Alejandro Jodorowsky

[come fausto presagio per il nuovo anno, non resisto alla tentazione di offrirvi questo racconto di Jodorowsky, tratto dalla raccolta Il passo dell’oca, Oscar Mondadori, 2007. a.s.]

Ptosis si sentì orgoglioso e ne aveva motivo: dopo studi pazienti aveva scoperto ciò che poi fu chiamato “Il cane di Ptosis”. Scoprire qualcosa di nuovo nel sacro film Notti d’amore a Bombay era praticamente impossibile.

Il popolo di Lexgopol, unico sopravvissuto alle guerre preistoriche, aveva eliminato !’immaginazione (fonte di ogni male) da molti millenni. Mediante lobotomie generali era stato soppresso !’istinto del gioco. Si era venuta a creare una razza burocratica capace di vivere senza nostalgia di cambiamenti o avventure.

Il mondo di Christina

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di Francesca Matteoni

Sfoglio un libro ricevuto da poco, Memory and magic, il catalogo di una mostra sul pittore realista americano Andrew Wyeth. Mi sembra appropriato, sottintende la memoria come tema costante dell’artista, la magia come attitudine dello sguardo. Le scene rurali, la quieta solitudine del paesaggio, la concentrazione sui particolari, come il tessuto sottile di una tenda che ondeggia sul chiaro del vetro, le foglie intrappolate nel ghiaccio o la prospettiva scelta per raccontare una foresta di sempreverdi – il loro riflesso capovolto nel lago, l’immersione e l’uso delle figure umane come strumenti di un messaggio, trasformano la realtà in una dimensione dello spirito.

Il luna park di David Lynch

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di Giovanni Carta

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All’inizio di Ninna Nanna, uno degli ultimi romanzi di Chuck Palahniuk, c’è una frase che starebbe proprio bene scritta nelle ampie stanze del piano terra della Triennale di Milano, che dal 9 ottobre ospitano The Air is on Fire, la mostra ideata da David Lynch per la Fondation Cartier di Parigi: “La maggior parte delle risate preregistrate che si sentono in tv, risalgono all’inizio degli anni Cinquanta. Oggi buona parte della gente che sentite ridere è morta”, scrive Palahniuk. Queste parole non solo fanno pensare all’iconografia decadente, stile Chateau Marmont, cui si sono votati anche diversi attori che vedevamo in quelle serie (Dana Plato, la Kimberly di Arnold, si è suicidata a trentacinque anni con un’overdose di farmaci dopo una vita che definire piuttosto movimentata è un eufemismo; Brian Keith, il popolare zio Bill di Tre nipoti e un maggiordomo si è tolto la vita nel ‘97; solo per citarne due), ma sono anche l’epigrafe ideale a un’opera senza titolo che chiude la mostra di cui sopra.

Scriverei anche di un sasso

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Franz Krauspenhaar intervista Cristina Annino

Cristina Annino è una bionda bellezza matura che ricorda le eroine hitchcockiane, è una toscana che dice quello che pensa non per vezzo ma per imposizione del benigno demone del suo carattere, soprattutto è una poetessa importante. E se dico importante non voglio dire che ha il petto colmo di medaglie al valore e onorificenze al merito, ma perché il suo lavoro letterario, pur poco conosciuto per varie ragioni, ha inciso e incide, se le si da la giusta attenzione, se insomma ci si sofferma a leggerne con la necessaria partecipazione i brani, gli episodi, i capitoli. Cristina è un’artista che ha maturato  lungamente la sua poesia e nell’età di una giovane maturità, l’età di quando si capisce – se si ha la fortuna di non aver perso la bussola prima – chi davvero si è nel mondo, è arrivata a un passo da un riconoscimento che le è stato negato, sostituito da un silenzio che lei contribuisce ad alimentare.

Per Sante Bernardi

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La non facile vita di Sante Bernardi è illustrata nel suo blog, che già  qui ho menzionato, e sul quale si possono trovare ulteriori notizie e aggiornamenti, interessanti anche per capire qualcosa di più sul funzionamento della sanità in Italia. Si è pensato ora, visto che Sante riesce comunque a utilizzare il suo PC, di fargli arrivare dei testi che gli facciano compagnia, nella sua infermità. Chi volesse del tutto liberamente farlo può inviarli a Fabrizio Centofanti (fabrizio.centofanti@gmail.com), che lo ha aiutato, lo aiuta, e che gli ha organizzato questa attività. Grazie. a.s.

Leggere variazioni di rotta

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LiberInVersi – L’Antologia

Come annunciato lo scorso luglio, è imminente l’uscita dell’antologia di LiberInVersi, che vedrà la luce editoriale in cartaceo a febbraio 2008. Curata dalla redazione dello spazio/blog, l’antologia, senza mettere la parola fine al processo di mappatura del paesaggio poetico italiano avviato nel 2005, manifesta l’esigenza di ritornare sul materiale raccolto, di operare una scelta e di approfondire la lettura dei testi selezionati. Il testo uscirà in una forma che tenterà di contribuire ad una possibile reazione alla situazione a nostro modo di vedere disastrosa in cui versa l’editoria italiana, specie sul versante poetico.

Con questo post si apre anche una sottoscrizione per verificare il numero di persone interessate all’acquisto dell’antologia, che avrà un prezzo oscillante tra i 7 e i 10 euro. Chiunque avesse già intenzione di acquistare una o più copie, potrà scrivere a liberinversi@livecom.it facendone esplicita richiesta e riceverà le indicazioni sulle modalità d’ordine non appena disponibili.
Qui di seguito un’anticipazione del titolo e degli autori scelti e analizzati. A tutti, lettori e autori, un sincero augurio per un Sereno Natale e buone feste.

Su le mani giù le mani. Variazioni su Scurati

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di
Francesco Forlani

Alzi la mano chi non ha mai guardato un film porno. Molti ultracinquantenni, un po’ sdegnati, staranno alzando le loro mani innocenti. Ma se scendiamo anagraficamente, troveremo che sotto i quaranta sono già ben pochi i lettori che potranno proclamarsi immacolati rispetto alla pornografia. Sotto i vent’anni d’età, poi, non troveremo quasi nessuno che non abbia fatto uso di pornografia.
Antonio Scurati su: LA STAMPA, 22 dicembre 2007

Alzi la mano chi non ha mai guardato,
alzando le loro mani innocenti
ultracinquantenni, un po’ sdegnati, staranno.
Ma se scendiamo troveremo sotto

I vent’anni sotto non troveremo

Chi non ha mai guardato la mano alzi un film porno
Alzi , staranno alzando
se scendiamo troveremo

non troveremo quasi nessuno
troveremo le loro mani innocenti

la mano un po’ sdegnati, staranno alzando

Natale, ingerire per favore

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di Andrea Bajani

Per fortuna gli italiani hanno ricominciato a consumare. C’è stato un momento in cui si è temuta concretamente l’estinzione dei consumatori, ma per fortuna l’allarme è finito. Uomini e donne, relegati al loro pallore di cittadini a ridotta funzionalità, per giornate intere si sono affaccendati con lo sguardo vacuo di fronte agli scaffali vuoti dei supermercati. I tir ingombravano le autostrade, occludevano le aeree di sosta, bloccavano le vie di scorrimento come meteoriti precipitati sulla terra. I tir scioperavano, gli automobilisti suonavano i clacson, si esibivano in gesti e parole sconsiderati, e loro, i consumatori, si aggiravano smarriti per le corsie dei supermercati.

Sulla propria pelle: Eraldo Affinati e il canone dei testimoni

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di Martino Baldi

«È la vita che ci connette, Benjamin, non l’artificio»
(Chaim Potok)

Non ci vuole molto a capire che, contrariamente a quanto potrebbe sembrare sulla scorta di un ingannevole sottotitolo (Storie di viaggi, bombe e scrittori), l’ultimo libro di Eraldo Affinati (Compagni segreti, Fandango, Roma 2006) non è un florilegio di divagazioni aneddotiche di un romanziere all’apice della propria maturità.

Il dono senza perché

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dono1.jpgdi Barbara Spinelli
E’ naturale che giornali e televisioni si affollino, da molti giorni, di parole e immagini sul Natale che viene e in modo speciale sul rito associato da tempo immemoriale alla divina festa: parlo di quel che vien chiamato lo scambio dei doni. Vien chiamato così ed è già una stortura: perché nessun dono, se è dono, è accostabile allo scambiare, allo stipulare contratti, a un dare condizionato. È un evento che crea società stretta oltre che promiscuità privata, ma, come accade per l’uomo che in San Paolo vive presso Dio, il prodigare è della società e non della società, usa il mondo come se non l’usasse appieno. È qualcosa di misterioso, di estraneo a ogni mercanteggiare. È estraneo perfino alla fiducia, che è ingrediente cruciale del vivere comune.

Il tradimento dei rospi

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di Federico Italiano

L’invasione dei granchi giganti

Bugøynes, Norvegia, Circolo Polare Artico.

Giunsero da Vladivostok negli anni Trenta
con un convoglio sprofondarono
nella Baia di Murmansk,
granchi del Pacifico, robuste
concrezioni del sale, corazze
purpuree. I russi non ne diedero notizia,
non calcolarono la rapidità
procreativa della loro carne acidula.

Avanzarono nel Novecento profondo in formazione,
divorando miglia d’alghe, le chele tenaci
sull’instabile pack li condussero
in acque norvegesi.
I coloni d’Oriente aumentano
di giorno in giorno, succhiando dal sale
il nostro ossigeno, confiscando
i secolari tributi del mare.

E non ci sono più pesci, nemmeno per le esche.
Non hanno concorrenti,
se non le verdi reti dell’uomo.
Si spingeranno verso Sud, defloreranno i fiordi
occidentali e scenderanno verso Sylt,
Helgoland, verso le coste delle filiali d’Europa, Amburgo,
Anversa, Bilbao, si batteranno coi loro simili
dei mari più caldi, per poi entrare nel Lago Promesso.

Prendo le misure degl’invasori, incrociando in Excel
tutti i mari del globo e il più cangiante
latinum dei crostacei, redigo
le mappe della vita in eccesso,
sono il notaio del Mar di Barents, il contabile
inviato da Oslo. Tutto pesa nei miei taccuini,
ma nulla quanto l’addizione
– struttura della speranza e principio della resistenza.

Popolo che muovi sotto le acque, prelibata
carne della distruzione, migrazione
disgiuntiva della ricchezza,
bilancia del consorzio umano, inconsapevole
armata della storia,
moltìplicati,
perché la piaga sia piena e la punizione completa.