Quattro anni fa ho pubblicato un libretto di poesie. Un libretto clandestino, edito da una microscopica casa editrice massese. Erano poesie che per la maggior parte risalivano agli anni immediatamente precedenti, quando vivevo in una casa nel bosco. Non le ho mai pubblicate qui, per una sorta di pudore. Qualche tempo fa le ho date a Francesco Marotta, che ha voluto pubblicare il libretto – per intero – sul suo “sito poetico” (nel senso pieno dell’espressione). Qui. A questo punto non posso far altro che imitarlo, ed esporre il corpo del testo anche qui.
Marco Rovelli, Corpo esposto, postfazione di Mariella Bettarini, Memoranda Edizioni, 2004.
In margine
(davanti alla Flagellazione
del Caravaggio)
Il corpo ripiegato, abbandonato alla piega, esposto alla morte, ma prima ancora all’infamia dell’assedio dell’altro. Corpo che in questa esposizione espone la sua bellezza. La bellezza di chi non ha nulla da perdere, perché ha già perduto tutto, ed è solo un corpo, un corpo senz’altro, nudo nella sua esposizione, nel gesto dell’esporsi, nell’aperto della passione, del patimento. Corpo che patisce l’altro, ne patisce il legame. In questa esposizione del finito alla sua finitezza traluce il divino dell’uomo.
I suoi occhi chiusi, il pensiero muto: non ha più nulla da dire, né da dare, è solo corpo, puro e semplice, impuro e molteplice corpo che resta, tutto intero, nel gesto del sottrarsi. E’ svanimento, quel corpo in torsione, in abbandono. Preso in un gesto innaturale, perché interamente consegnato al fuori.
Sono io, quel corpo esposto. (E nel riconoscermi, non c’è più io che possa dire: ‘sono io, quel corpo esposto’…).