di Marina Pizzi
33.
dove è calesse il nido del cervello
quando se lieta la manciata di sabbia
torni al vagito di tutto innamorare:
quasi marsupio il sibilo del nodo
mai più di pianto lo scoscendere
di Marina Pizzi
33.
dove è calesse il nido del cervello
quando se lieta la manciata di sabbia
torni al vagito di tutto innamorare:
quasi marsupio il sibilo del nodo
mai più di pianto lo scoscendere
di Giovanni Nuscis
Una muta di occhi
ti segue
nella notte vascolare
nell’intrico di rivoli
e fiumane di rubini
bilie d’ossigeno in corsa
dentro confini di carne.
Colpi di tosse
brevi
e vai avanti.
Attendi per fermarti il fiato caldo
sulla nuca
l’ala sulla scapola.
La mano nel buio
nell’altra
invisibile di brina
e ben venuto sei
nell’ascendenza infinita.
Al spousi zòvni
Al spousi zòvni l’è pavaiòti
Ch’a l perd l’arzént pr’una fulèda ad vént
Gòzli d’aqua
Ch’ a l roiga un voidar
La matòina prèst.
Le giovani spose
Le giovani spose sono falene/ che perdono l’argento per una folata di vento/ gocce d’acqua/ che rigano un vetro/ al mattino presto
di Simone Ciaruffoli
Prefazione imperfetta
Bisognerebbe che gli industriosi della perfezione estetica facessero ammenda e la smettessero di rifilare ai film l’aggettivo “perfetto”. Ma se si pensa per esempio che la critica statunitense ha incensato Sideways di Alexander Payne ritenendolo “L’unico film perfetto dell’anno”, non sembra proprio che questa devozione alla sindrome d’onnipotenza possa svanire con facilità. Occorrerebbe affrancarsi da una certa concezione romantica dell’opera, farsi detentori di un credo e un approccio ateo all’Arte, e cercare il proprio padre-dio putativo altrove, magari nella preghiera. Il film, come tutte le pratiche artistiche, è filosoficamente imperfetto, o se si vuole, in una frase che smentisce ma suffraga allo stesso tempo questa astrazione, il film non può essere che in un modo, come è stato concepito, perfetto in tutte le sue storture, imprecisioni o compiutezze.
di Gianni Biondillo
Imre Kertész, Storia poliziesca, traduzione di Mariarosaria Sciglitano, Feltrinelli, pag. 79
È un piccolo gioiello questo di Imre Kertész; una Storia poliziesca dal sapore cupo, kafkiano. È la lunga confessione fatta da Antonio Rojas Martens, ora che un cambio di regime (l’ennesimo?) lo ha reso da carceriere a carcerato.
di Sergio La Chiusa
Sul finestrino sinistro del treno si srotola rapidissimo un paesaggio orripilante, smisurati stabilimenti industriali, serbatoi stragonfi, ciminiere fumanti, tralicci d’acciaio, e poi una distesa ininterrotta e disordinata di casermoni di cemento armato bucherellati come moderni termitai, casupole di legno scuro circondate da giardinetti e tutte irte d’antenne, palificazioni che sostengono pesantissimi grovigli di fili della luce e del telefono, groppi di tagliolini elettrici con gli scatoloni dei trasformatori e, come nuovi aggressivi intrusi, grattacieli di vetro supermoderni, marziali, indipendenti feudi del capitale che si lanciano sfide a distanza. Sono le città del litorale pacifico che, sterminate e disorganiche, si succedono senza apparente confine in una striscia di terra iperedificata e iperpopolata oltre la quale non si riesce nemmeno a indovinare la presenza dell’oceano pacifico. Ci si domanda come possa, sull’altro finestrino, elevarsi con tanta celestiale purezza il perfetto cono vulcanico del Fuji.
di Filippo Agazzini
Fangio Juan Manuel, di Balcarce, dell’undici, da emigrati abruzzesi fu partorito, e a diciott’ anni su e giù nel Sudamerica, che gran gare per scomposte terre brulle d’agave di forza disputava. Gran Premio del Norde, ché partiva da Buenos Aires a salire le Ande fino a Lima, e ritorno sempre spedito. A trentasette si spostò in Europa, all’Alfa Romeo, con Nino Farina, e nel 51 vinse il primo dei suoi cinque titoli.
di Alfredo Giuliani
Le frasi (1) e (2) sono entrambe dei nonsensi, ma qualunque parlante inglese riconoscerà che solo la prima è grammaticale:(1) colorless green ideas sleep furiously
(2) furiously sleep ideas green colorless
Noam Chomsky, Le strutture della sintassi
senza colore idee verdi dormono furiosamente
furiosamente dormono idee senza colore verde
senza colore dormono idee furiosamente verdi
furiosamente dormono verdi idee senza colore
supponiamo che il mondo non sia verde bello
o senza da nubi roventi nevi piovono sulfuree
venti veloci abbaglianti inconcepibilmente
nel buio sonno a dirotto solcano senza colore
che dorme la traccia purpurea solare sensazione
mondo è masturbazione di un dio furiosamente
di Marina Pizzi
1.
sulla scrivania alla voce lacuna
è nata un’edera così che il tormento
dell’ignoranza superi la ronda
dello steccato faccia scempio
di corsari d’ascia
di Aniello Califano
(musica di Enrico Cannio)
Staje luntana da stu core,
a te volo cu ‘o penziero:
niente voglio e niente spero
ca tenerte sempe a fianco a me!
Si’ sicura ‘e chist’ammore
comm’i’ so’ sicuro ‘e te…
– Mi scusi, signor Guichard, ma ha dimenticato di dire al commissario…
– Ah sì! Ha ragione. Il signor Sim, come ha sottolineato lui stesso, non è un giornalista. Non corriamo il rischio di veder pubblicate cose che devono rimanere confidenziali. Mi ha promesso, senza che io glielo chiedessi, di utilizzare ciò che potrà vedere o sentire qui dentro solo nei suoi romanzi e in una forma diversa, in modo da non crearci noie.
Georges Simenon, Le memorie di Maigret, Adelphi
Ringrazio Rosaria, amica da sempre.
Vent’anni di cronaca in «Sandokan. Storia di Camorra» di Nanni Balestrini.
I clan e quello strano paese dove non nascerà mai un Gandhi
di
Rosaria Capacchione
Eccone un altro, pensi. Ecco un grande scrittore che non si è mai sporcato le scarpe nel fango e nel sangue, che non ha mai visto un morto ammazzato, che non sa neppure Casale dov’è, e che vuole venire a raccontarci Casale, la camorra, Sandokan e Bardellino: con la retorica dei professorini e con la puzza al naso.

Qui si chiarifica una particolarità tutta specifica del demoniaco, cioè la sua assenza di fisionomia, la sua anonimità. Quando si chiede se il diavolo sia una persona, si dovrebbe giustamente rispondere che egli è la non-persona, la disgregazione, la dissoluzione dell’essere persona e perciò costituisce la sua peculiarità il fatto di presentarsi senza faccia, il fatto che l’inconoscibilità sia la sua forza vera e propria. In ogni caso rimane vero che questo rapporto è una potenza reale, meglio, una raccolta di potenze e non una pura somma di io umani.
(da Liquidazione del diavolo, ripubblicato in J.Ratzinger, Dogma e predicazione, Queriniana, Brescia, 1974, pp.189-197)
“‘Please excuse me,’ he said, speaking correctly, but with a foreign accent, ‘for presuming to speak to you without an introduction.'”
da Il maestro e Margherita di Michail Bulgakov
Please allow me to introduce myself,I’m a man of wealth and taste,I’ve been around for a long, long years,Stole many a man’s soul and faith
Sympathy for the Devil – Rolling Stones – 1968

foto di scena www.pierregrosbois.net
«La letteratura è delirio, e a questo titolo gioca il proprio destino fra due poli del delirio. Il delirio è una malattia, la malattia per eccellenza, ogni volta che innalza una razza alla pretesa d’essere pura e dominatrice. Ma è misura della salute quando invoca quella razza bastarda oppressa che ininterrottamente si agita sotto le donimazioni, resiste a tutto ciò che schiaccia e imprigiona e si configura in profondità nella letteratura come processo […]. Fine ultimo della letteratura, liberare nel delirio questa creazione di salute o questa invenzione di un popolo, ossia una possibilità di vita» (G. Deleuze, La letteratura e la vita, in Id., Critica e clinica, Raffaello Cortina, Milano 1996, pp. 13 -19, p. 17).
Bartleby
di
David Géry
Regista dello spettacolo , tratto dall’omonimo racconto di Herman Melville, traduzione in francese di Laura Koffler
con
Raphaël Almosni, Yann Collette, André Chaumeau, Claude Lévèque, Grégory Quidel
durata 1h50
di Gianni Biondillo
[a fine luglio, dopo una operazione di polizia a Quarto Oggiaro che ha messo in carcere un po’ di persone, nel giro di una settimana sia le pagine milanesi di Repubblica che quelle del Corriere mi hanno chiesto un’opinione. Solo ora riesco ad allegarle qui di seguito.]
di Enzo Jannacci
Eh, eh, eh, ma se me lo dicevi prima
Eh, se me lo dicevi prima
Come prima?
Ma sì, se me lo dicevi prima
Ma prima quando?
Ma prima, no
Eh, si prendono dei contatti
Faccio una telefonata, al limite faccio un leasing
Se me lo dicevi prima
Ma io ho bisogno adesso, sto male adesso!
Ma se me lo dicevi prima ti operavo io…
Ma io ho bisogno di lavorare, io sto male adesso
Eh sto male e sto bene, macché il lavoro e mica il lavoro
Posso mica spedirti un charter
Bisogna saperlo prima che dopo non c’è lavoro, prima, capito?
di Bartolomeo Di Monaco
Antonio Pizzuto: “Si riparano bambole” (1960). Sellerio, pagg. 304. Euro ) 9,30
Antonio Pizzuto, palermitano morto a Roma nel 1976, appartiene al novero di quegli autori che hanno molto innovato nel loro tempo, destando l’interesse della critica più avveduta (fu infatti apprezzato, fra gli altri, da Cesare Brandi e da Gianfranco Contini, che lo considerarono un punto alto dell’avanguardia letteraria) e che oggi giacciono dimenticati.
di Antonio Sparzani

Giorgio Cicogna muore improvvisamente a causa di uno scoppio nel laboratorio di Torino, dove stava sperimentando un nuovo motore a razzo di sua invenzione e progettazione, nel 1932. Singolare personaggio di scienziato e di poeta, non è mediamente ricordato dalle antologie della nostra letteratura – il Meridiano curato da Pier Vincenzo Mengaldo Poeti Italiani del Novecento (I ed. 1978) non ne fa menzione – né da quelle della storia della tecnica, ancorché alla sua morte immatura (aveva 33 anni) abbia ottenuto lodi per la sua opera d’inventore da Guglielmo Marconi in persona, all’epoca assai in auge. Molti elogi riceve invece da Alfredo Galletti, autore del volume il Novecento della gloriosa Vallardiana, la Storia della Letteratura Italiana, uscita sul finire degli anni 30 per l’editore Francesco Vallardi, mentre poi il suo nome viene mediamente dimenticato. Fortunatamente sopravvive nel sito di liberliber dove lo potete trovare.
Trascrivo qui qualche riga del positivo giudizio del Galletto, perché non solo la storia della letteratura è interessante, ma talvolta anche quella della critica letteraria.
di Sergio La Chiusa
Sta tormentando con le unghie un cappello nero. L’ha acquistato a Londra – mi dice. Sembra esserne molto fiero. Dopo una breve conversazione, scopro che il giovane seduto accanto a me sul volo Francoforte – Tokyo si chiama Yasuhiro, è un ingegnere informatico, lavora dodici ore al giorno, dorme in un minuscolo appartamento a un’ora e mezza di treno dall’ufficio e tutte le domeniche, per mantenersi in forma, si sfiata su un campetto di calcio con gli stessi impiegati che rivedrà lunedì in azienda. Gli si infiammano per un attimo gli occhi quando accenna alla partitella domenicale tra programmatori e sistemisti. Ma subito si incupisce. Tace. Si direbbe che, almeno per un istante, abbia fissato lo sguardo sulla routine che l’attende dopo il breve viaggio in Europa, sulle trecento scrivanie e i trecento monitor militarmente inquadrati nell’open-space di un trentaquattresimo piano di uno dei tanti grattacieli di Tokyo. Si rianima solo quando, poco dopo, ritorna al suo cappello nero. L’ha acquistato a Londra – mi dice. Lascio cadere un’occhiata al cappello, e alle unghie che continuano a tormentarlo. Certo si è stabilito un intimo legame tra il feticcio londinese e il giovane ingegnere, un nodo che, con ogni probabilità, si stringerà caricandosi di nuovi e più contorti significati dopo il suo ritorno in Giappone.
di Gaja Cenciarelli
Si voltò e fece l’occhiolino al sole, che si era spostato alle sue spalle. Era nascosto da una cortina di nuvole. Se ne compiacque: era l’unico modo per lei di tollerare e, in verità, di accettare l’esistenza del suo sfrontatissimo fulgore.
Tornata a guardare davanti a sé rifletté sul significato di quanto aveva appena fatto.
Aveva bisogno di comunicare il suo reale stato d’animo a qualcuno. A una creatura.
Percepiva la vita esploderle dentro: si guardò la pelle degli avambracci aspettandosi di veder erompere schizzi di energia da ciascun poro, di deflagrare e di andare in mille pezzi per il motivo più dolce: essere davvero. Dietro al parabrezza il cielo era sbrindellato dalle nuvole.
La bomba dentro di sé aveva iniziato a ticchettare dal mattino.
colloquio con Franco Roberti di Gianluca Di Feo
Leonardo Sciascia, sempre lui. Il responsabile dei pm napoletani che
si occupano di camorra cerca le parole per descrivere i boati che
scuotono la pax mafiosa dei Casalesi, la più potente organizzazione
criminale campana e forse la più ricca cosca italiana; fruga nella
sua mente tentando di semplificare le dinamiche complesse che
rendono incandescente questa confederazione di clan con le radici nel
Casertano e ramificazioni in tutta Europa. E alla fine Franco Roberti
deve ricorrere alla memoria di Sciascia: «Lui diceva: “I mafiosi
odiano i magistrati che ricordano”.

di Silvio Mignano
Mercoledì 24 aprile 2007
«Come ti chiami?».
«Lázaro».
«Non si chiama Lázaro, straniero, il suo vero nome è Ramón, però qui tutti lo chiamano Lázaro».
«E perché?».
«Perché era morto ed è risuscitato».