di Dario Voltolini
“IL VUOTO” di Armando Punzo
di Marco Alderano Rovelli
Armando Punzo è ben noto per la sua attività registica con la Compagnia della Fortezza, compagnia teatrale di attori detenuti nel carcere di Volterra. Nei giorni scorsi c’è stata la prima nazionale del suo spettacolo ‘Il vuoto, ovvero quel che resta di Bertolt Brecht’, il primo che Punzo ha messo ideato e messo in scena al di fuori della (Compagnia della) Fortezza. Ecco come l’ho visto, e vissuto.
L’introibo è un’innodia weilliana, in un paesaggio arrossato di forme sbilenche degne del dottor Caligari. I fantasmi di Grosz e Dix campeggiano da squarci di un fondo che è tutto superficie, e al centro della scena un’ultima cena che gareggia in blasfemia con Viridiana: vescovi, spose, canti, balli e sodomie. Un imbonitore con la testa in gabbia come un pettirosso declama Nietzsche e ride come Butthead, mentre due gemelli siamesi in frac con protesi ferrigne sulla bocca accolgono il pubblico non più pubblico.
Le scimmie… (95)
di Dario Voltolini
Le buone pratiche di cittadinanza

In preparazione dell’incontro “GIORNALISMO E VERITA’” segnalo una recente pubblicazione della rivista “Una città”: L’almanacco delle buone pratiche di cittadinanza
La rivista “Una città” è un mensile di interviste e foto, 24 pagine in grande formato, indipendente, autofinanziato, senza pubblicità, che si riceve solo per abbonamento. Si stampa a Forlì ed è coordinata da Gianni Saporetti che sarà presente all’incontro di sabato 19.
Scoprirla è stata per me una grande sorpresa. Vi si trova ciò di cui altrove si tace, cioè pezzi non semplificati di realtà contemporanea, aspetti della vita che la comunicazione mediatica tralascia, colti attraverso voci, esperienze, racconti.
Oltre alla rivista, pubblica anche dei volumi. L’ultimo uscito è appunto l’ Almanacco delle buone pratiche di cittadinanza.
Cosa vi si trova?
Un’altra Italia, quella che “fa da sé ma non per sé”, che quasi mai viene raccontata dai giornali e dalle televisioni, che non trova udienza, spesso, presso la “grande politica”…
Due parole sul IV Quaderno di POESIA DA FARE
di Biagio Cepollaro
E’ online il IV Quaderno di Poesia da fare (www.cepollaro.it/IVQuadern.pdf)
e il suo supplemento Attività scultorea (clic su
www.cepollaro.it/IVSupp.pdf): con il IV Quaderno si concludono due anni di
lavoro: quattro quaderni che coagulano il flusso del blog in qualcosa di più
solido e più agevolmente leggibile.
sanvalentino (2)
Marco Berisso
I nostri nomi
ho sillabato il tuo nome, nel buio,
poi l’ho diviso in lettere,
l’ho preso tra le labbra, per una volta ancora,
dicendolo così, come se fosse
la prima volta,
per risentirlo dentro la mia testa
sanvalentino (1)
[volevo postare ieri un paio di poesie in tema. poi mi sono incasinato con i dischetti e ho lasciato perdere. mah, gli auguri, anche se in ritardo, sono comunque sinceri. a.r.]
Mariano Bàino
del proprio amore innamorati,
ancora e sempre
come nei primi quindici minuti
di pubertà, si disorientano
pinocchi
e pinocchie l’un l’altro, si frastornano
a bugie così feconde che una sola
ne partorisce cento
Le scimmie… (94)
di Dario Voltolini
Appunti sparsi sul “popolare”
di Franz Krauspenhaar

Sapete una cosa? (Sempre che ve ne importi). Io non ci capisco quasi più niente. Resto però fermo su poche convinzioni: al momento attuale la letteratura non è popolare. Perché dovrebbe esserlo? Non è abbastanza popolare nemmeno il cinema. E’ popolare la fiction televisiva, specie quella propagandistica. Ho letto i commenti su Lipperatura, l’intervento di Beppe Sebaste e quello di Giuseppe Genna, l’articolo di Cristina Taglietti sul Corriere, il parere di Edoardo Sanguineti, grandissimo poeta, fumatore accanito, tombeur de femmes, e poi il parere di Sebastiano Vassalli, la replica di Carla Benedetti, e poi ancora, sul Corriere, l’intervento di un editore, Fanucci, e altri post qui, come l’intervento di Antonio Moresco.
Al risveglio, col caffellatte
di Franz Krauspenhaar
Jean-Claude Kaufmann, insigne sociologo. Lo intervisto a proposito del suo libro “Quando comincia l’amore”. Un libro che parla di quando ci si sveglia al mattino accanto a una sconosciuta. O a uno sconosciuto. Insomma, a scelta dell’ interessato. O dell’interessata. Insomma, a scelta e basta.
Storia infelice di una progettista web
di Aldo Nove
Sara lavora nel mondo del web. La sua storia è quella di tanti giovani che hanno vissuto le illusioni di un un “nuovo” che non ha significato nuovo lavoro ma nuove illusioni, vecchie prefigurazioni di un futuro che non è mai arrivato. Ecco, dalla sua voce, come è andata la sua vita. Per sua volontà, i nomi (il suo, quello delle città dove ha lavorato) sono stati cambiati. Perché, dice, “se mi riconoscono, non mi prende più nessuno, a lavorare”.
Come va?
Malissimo.
Ancora sul genocidio culturale e letteratura popolare
Anche a seguito del recente intervento di Antonio Moresco, segnalo un libro sul tema “letteratura popolare e altro”, aperto dopo la pubblicazione sull’Espresso dell’articolo di Carla Benedetti (vedi qui).
Si tratta di Beethoven e le mondine. Ripensare la cultura popolare, di Fabio Dei, pubblicato da Meltemi nel 2002. Credo che possa offrire molti spunti di riflessione, non fosse altro che Fabio è un antropologo, e gli antropologi (non solo italiani) dibattono sul tema da sempre. Il libro di Dei mi pare faccia il punto in modo assieme preciso e compitamente provocatorio, offrendo molteplici stimoli di riflessione anche per i risvolti politici del dibattito in corso. Se non avete tempo di leggere l’intero libro, sul sito dell’editore(www.meltemieditore.it) è possibile scaricare il pdf dell’introduzione, quindici pagine che vale proprio la pena di leggere (pv).
Duo da camera (4)

di Andrea Inglese
Getta la maschera e smettiamo
d’arrovellarci a vanvera: sei
una dannata a vita, una schifata
di te, di me, del mondo, senza un valido
motivo che non sia la tua abissale
incapacità di vivere. Tu gli uomini
li abbatti con metodo, li snervi
con perizia, li acconci pallide ombre
di loro stessi, spenti manichini
da passeggio – fuori – e da oltraggio
– dentro le mura di casa -, oppure
li rendi avide belve di vendetta.
Le scimmie… (93)
di Dario Voltolini
PICCOLA NOTA
di Antonio Moresco
Nel dibattito in corso su editoria, “letteratura popolare”, best seller ecc. (che ha preso le mosse dall’articolo di Carla Benedetti sull’Espresso) emergono continuamente -oltre alle immancabili semplificazioni e caricaturalizzazioni infamanti- anche alcuni luoghi comuni e assiomi dati per scontati e anzi usati come capisaldi da cui far partire le critiche e sferrare gli attacchi.
Vorrei introdurre una piccola riflessione almeno su due di essi.
Gramsci. Il suo nome è stato utilizzato come incontestabile auctoritas e tirato in ballo strumentalmente per difendere lo status quo presente e l’alluvionale produzione libraria preconfezionata che ha poco o nulla a che vedere con quella cosa chiamata un tempo “letteratura popolare” e su cui Gramsci, dal fondo della sua prigione, ha impegnato a lungo la sua intelligenza e la sua osservazione.
Boss e poeti
di Roberto Saviano

Aveva vinto diversi premi, era andato a riceverli di persona, applausi, targhe, pubblicazioni. Raffaele Lubrano aveva da sempre coltivato la poesia, dalla sua bella villa costruita nelle campagne di Pignataro Maggiore paesino dell’agro-caleno circondato da rassicuranti distese di campi. La sua ditta di costruzioni edili gli portava via sempre più tempo ma Lubrano sembrava una fedele sentinella della scrittura poetica.
Intervista a Valerio Evangelisti
di Luca Gabbiani
Abbiamo fatto alcune domane sul dibattito in corso sulla “letteratura popolare” a Valerio Evangelisti, riconosciuto all’unanimità come il re della letteratura di fantascienza italiana. Il suo ultimo libro, pubblicato nella collana “Strade blu” di Mondadori, si intitola “Noi saremo tutto“: parla di mafia, ma il protagonista non è uno dei tanti buoni poliziotti che ci sono nei gialli letterari o televisivi. Evangelisti ha cominciato a scrivere nella mitica collana “Urania” e ora vede quei suoi libri, che hanno come protagonista un inquisitore benedettino, ristampati negli Oscar Mondadori. Si può dire a buona ragione, dunque, che Evangelisti sia uno scrittore “anche di genere”. Non solo: è anche “popolare”.
I “misteri” di Piazza Fontana
Intervista al giudice Guido Salvini

Il 12 dicembre 1969, l’esplosione di una bomba nella Banca Nazionale dell’Agricoltura, in piazza Fontana a Milano, provocò diversi morti e cambiò la storia d’Italia. Fu una “strage di stato”, come venne immediatamente definita dalla sinistra extraparlamentare. Grazie a un lavoro efficace di controinformazione, che sfociò nel libro “Strage di stato” (vedi qui), nacque nel paese una controspinta rispetto ai disegni occulti di strategia della tensione, il cui intento era di incolpare dell’attentato gruppi anarchici o maoisti e decretare lo stato d’emergenza.
In vista dell’incontro “Giornalismo e verità ” che si terrà sabato 19 febbraio al Teatro i di Milano (via Gaudenzio Ferrari 11) pubblichiamo un’intervista al giudice Guido Salvini, il magistrato che dal 1989 al 1997 ha indagato nei misteri della strage di piazza Fontana e degli altri attentati del ’69.
Le scimmie… (92)
di Dario Voltolini
La verità nell’epoca della sua riproducibilità tecnica (3)
di Piero Vereni
Credo che il giornalismo d’inchiesta sia un’attività necessaria, lodevole e pericolosa. Il rapimento di Giuliana Sgrena ne è l’ultima dimostrazione. La giornalista del manifesto è stata rapita perché voleva sapere, voleva informarsi, voleva raccontare la verità. I casi di bravi giornalisti in grado di fare lavoro sul campo sono numerosi, ma non credo che la passione eroica per la verità di alcuni consenta alla categoria di sentirsi assolta dalle proprie responsabilità. I giornalisti si trovano oggi nella paradossale condizione che pubblicare un libro di inchiesta su un tema qualunque è diventato più semplice che pubblicare un’intervista a un qualunque personaggio di media levatura (un qualunque profugo di una Fallujah qualunque). La facilità della produzione dei fatti in formato libro, quindi in “formato analisi” (e, simmetricamente, la difficoltà della produzione dei fatti in formato intervista, quindi in “formato dati”) credo costringa il mondo del giornalismo a porsi alcune domande sul senso della propria attività.
Didascalia del Papa
di Alessandra Lisini
Colui che insegna eviterà dunque di utilizzare tutte le parole che non insegnano: e se egli può utilizzare al loro posto parole corrette e intelligibili, egli le preferirà alle altre. Se però egli non potrà utilizzare tali parole, sia perché non esistono, sia perché non gli vengono alla mente, si serva di termini meno corretti, purché l’argomento del suo discorso possa essere ben spiegato e ben imparato. […] Ecco perché colui che parla deve fare ogni sforzo per aiutare chi ascolta in silenzio.
(Rabano Mauro, De institutione clericorum, IX sec d.C.)
Il papa in playback all’Angelus è stato fermo o appena tremulo, forse era giusto quel rollio di camera, il ronzio che dà agli occhi il movimento delle frequenze di trasmissione dell’immagine o dell’operatore, oltre alla probabile oscillazione naturale che un decimo piano di palazzo può avere al vento.
