L’editing può essere visto come una forma di terapia – naturalmente limitata a un preciso aspetto della sua esistenza, la scrittura – alla quale un autore di testi letterari si sottopone. In barba a tutte le credenze di origine romantica e postromantica, ma ancora ben radicate, relative all’essenza “non interferenziale” dell’atto creativo, lo scrittore si fa aiutare da un altro essere umano, uno specialista della cosa, per migliorare la propria scrittura. Non per conformarsi a qualche modello esteriore, almeno limitandosi per ora all’accezione più alta di editing, ma, proprio come avviene nelle terapie, per essere più se stesso (si potrebbe prendere a prestito, per rendere più esplicito il parallelo, la junghiana “individuazione”). Per riconoscere nella propria scrittura cliché e debolezze, per vincere le resistenze che imprigionano le proprie possibilità. Chi non ha mai fatto una terapia tende a credere che il fine del terapeuta sia orientare e pilotare il paziente verso pensieri e comportamenti predefiniti, così come chi non ha mai lavorato con un editor tende a credere che l’editor voglia imbrigliare l’autore. I bravi editor, come è stato sottolineato più volte anche negli interventi precedenti qui su NI, non imbrigliano nessuno.
Quarto Oggiaro come Scampia!

di Gianni Biondillo
Martedì scorso mi ha cercato un giornalista di cronaca nera. Voleva rendermi noto degli arresti di alcuni spacciatori fatti a Quarto Oggiaro e della reazione, a suo dire, della popolazione del quartiere che li ha difesi, insultando gli agenti di polizia.
Tutto quello che doveva essere il Gwen Dibley Show #6
di Christian Raimo, Carlo Marcolin, Giuseppe D’Ottavi
“Avevo saputo”, ricorda Michael Palin, “che durante le registrazioni dei Beatles in studio Paul McCartney faceva una pausa per vedere e fare vedere agli altri il nostro show, e poi tornavano a registrare. È stato il primo momento in cui mi ricordo di aver pensato ‘È straordinario. I Beatles sono interessati a noi?’
Il resto della storia, che non ho ragioni per contraddire, è che George Harrison dice di aver mandato un biglietto di complimenti alla BBC dopo la prima trasmissione che avevamo mandato in onda. Ma questo biglietto non ci arrivò mai, forse perché la segreteria della BBC non aveva idea di chi fosse questo tale signor Harrison, o di che cosa fosse il nostro programma”.
Claudia Mancini
Una cosa non le era sfuggita, in mezzo al solito caos di particolari inutili (le dita fra le dita, la luce che calava, un odore di torta). Da qualche tempo, la madre le aveva messo un televisore davanti al letto. Era sempre acceso e doveva farle compagnia. Impedirle di sentirsi sola, anche quando lo era: ma in realtà sortiva appena l’effetto opposto, quello di un altro rumore subacqueo. L’ennesima prova che lei esisteva.
In fondo la malattia non si riduceva che a questo: a un problema di percezione. Lo sfondo diventava l’elemento rilevante. Uno specchio in cui vederti così com’eri, schiacciata nel letto, condannata alle bollicine nel bicchiere. Alla polvere sul comodino. Mentre tutto il resto, tutto l’importante scivolava via.
Ma una cosa, ora, non le era sfuggita.
La ragazza era stata trovata giù sul marciapiede. Sotto il balcone di casa. Era appena tornata dall’università. Il collo si era rotto nell’impatto. Il video si bloccò su una bionda con gli occhiali, magrettina, il volto sporcato di nei.
La voce disse che si chiamava Claudia Mancini.
Libero di non amare
di Mauro Casiraghi
Non ho la minima idea di dove sto andando. So soltanto che non tornerò a casa. Mentre guido ripenso al giorno della sentenza di divorzio. Alessandra si era tagliata i capelli e portava un paio di scarpe nuove, coi tacchi alti. Sembrava ringiovanita, a prima vista.
Said e il numero 9
di Marco Rovelli
“Non l’avete capito che questo è un territorio fuori dell’Italia? Qui comanda la polizia. Qui non vi sente nessuno!” Così, racconta Said, gridavano i poliziotti durante il pestaggio del 2 marzo 2003 nel CPT di via Mattei a Bologna. Grida che esponevano ciò che i migranti sanno fin troppo bene, dentro un campo: che non hanno diritti, e che ciò che fa valore sono i puri rapporti di forza. Ieri Said Imich ha ripercorso quella notte, durante l’udienza al tribunale di Bologna. Ne ha ritracciato la dinamica, così come aveva fatto altre volte, con la stessa precisione, senza smagliature, esattamente ripercorrendo quanto mi è accaduto di riscrivere in uno dei capitoli del mio “Lager italiani”.
Pelle di confine
di Franz Krauspenhaar
Dal di fuori la sembianza è quella italiana, di quella terra solcata dai mari, di quella terra solcata a strati d’altre terre. Terra di Siena la faccia, quando al brillare durevole del sole il bronzo si alliscia sulla pelle, e prima s’arrossa. Nel grigiore a metropoli, Milano da bere e vomitare, aperitivi sbagliati, come negroni a qualità registrata, la mia faccia è su quella tinta-non tinta, colore non colore, come pennacchi di fumo, come nebbia d’argento.
dal Manifesto del Comunismo Dandy
Art. 132 I comunisti dandy e la tristezza
di
Francesco Forlani
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immagine:Lénine travaillant à la Bibliothèque ..
Per quanto i comunisti dandy si facciano portatori sani di ironia e leggerezza può capitare anche a loro di essere un po’ giù di corda e non avendo nessuna tendenza al suicidio, non cercano il sapone per impiccarsi a un cattivo pensiero. Eppure, quando il male affiora dalla inconfessata sindrome dell’abbandono, un fuoco si annida tra labbra e gola e allora intona il suo canto. O piange.
Il comunista dandy non è depresso e meno che mai ipocondriaco.
Il comunista dandy ha lo spleen, che è una forma nobile di quella insufficienza raccattata sui banchi dell’esistenza. Una salve di interrogativi gli esploderà nella testa in una selva di voci interiori e di rigurgiti di parole, in un coro di reiterati scartamenti e inconcludenti note di serigrafie dell’esperienza.
Un milione di euro
di Nicola Lagioia
[dal numero di marzo/aprile de ilmaleppeggio.it]
Ore due e trenta del pomeriggio, Arturo mi invita a un pranzo di lavoro. Siamo in un noto ristorante di piazza del Popolo i cui prezzi sul menù, sommati tra di loro, danno più o meno il quintuplo delle mie entrate mensili. Esclusi i vini. Mi dice: “Sara, abbiamo i finanziamenti…” Il suo sguardo invita a mantenere la suspense. Sorrido senza dire una parola. Tutto felice di circonfondersi nella luce di questa pausa scenica, riprende a parlare. Spara la cifra: “Un milione di euro”.
Il salto mortale
di Gianni Biondillo
Kenzaburo Oe, Il salto mortale, traduzione di Gianluca Coci, Garzanti editore, 2006, 938 pag., 23,00 euro. (IBS)
I fondatori di una setta, conosciuti con gli appellativi di Maestro – che contatta il divino attraverso delle trance – e di Guida – che interpreta e divulga tali visioni – sono i protagonisti del “salto mortale”, atto di pubblico ripudio della loro fede.
Intervista a Paul Otchakovsky-Laurens (estratti)
Il recente rilancio del dibattito su editoria e ruolo dell’editor mi ha fatto ripensare a questa vecchia (2002) intervista all’editore francese Paul Otchakovsky-Laurens (POL, sito che vivamente consiglio di visitare per farsi un’idea del tipo di casa editrice). Ne traduco i brani che mi sembrano più pertinenti rispetto alla discussione in corso. Il testo originale, più completo, si trova qui.
Per inquadrare il lavoro di POL, molto per sommi capi direi che si tratta di una casa editrice che ha come obiettivo esplicito quello di far saltare le barriere fra generi e di far arrivare ad un pubblico relativamente vasto scritture considerate difficili o sperimentali. Alcuni “colpi” editoriali, quali Perec o Duras, ne hanno a lungo facilitato la sopravvivenza. Da alcuni anni – dopo questa intervista – POL è stata rilevata da Gallimard che ne assicura, almeno in parte, la tranquillità finanziaria. La linea della casa è rimasta sostanzialmente immutata.
Quanto all’allergia dell’editore per le barriere fra generi, è interessante constatare che l’etichetta “romanzo” scompare dalle copertine quando le vendite vanno bene, e riappare nei momenti più duri, come – con alti e bassi – negli ultimi anni. Pare che la dicitura “romanzo” in copertina faciliti molto le vendite, la sua assenza le freni. Il che è senz’altro banale in sé; ma ciò che mi interessa è, capovolgendo il punto di vista, la possibilità (non solo teorica, non del tutto effimera, anche se soggetta a scossoni) di “raffinare” il proprio pubblico portandolo a leggere, semplicemente, ciò che gli si presenta. In altri termini: in alcuni periodi, e lavorando duro, POL è riuscita a creare un pubblico desideroso di seguire un editore proprio perché capace di contraddire il vero o presunto orizzonte d’attesa del pubblico stesso.
Le posizioni di Otchakovsky-Laurens sull’editing non mi sembrano richiedere particolari commenti. Semplicemente mi chiedo (o più esattamente chiedo, perché non sono del mestiere): sarebbe concepibile per una casa editrice italiana di medie dimensioni (quale è POL) restringere tutto il lavoro di editing alla semplice selezione, a monte, di autori capaci di scriversi e giudicarsi in piena autonomia? a.r.
(…)
Lei oggi rappresenta una giovane scena letteraria interessante e coerente – come ha lavorato per formarla, riunirla ?
Non l’ho deciso. Ma la casa ha un’immagine, uno statuto che fa sì che certi autori vi si riconoscano e mandino i loro manoscritti. Per esempio, Marie Darrieussecq ci ha mandato Truismes perché Camille Laurens pubblicava da noi, e le era molto piaciuto Philippe. Emmanuel Hocquard ci ha portato Olivier Cadiot e Pierre Alferi. Jean-Charles Massera e Nathalie Quintane ci hanno mandato il loro primo testo perché pubblicavamo Olivier Cadiot. Charles Pennequin è stato portato da Christian Prigent, eccetera. Sono queste connessioni che assicurano la o le coerenze della casa editrice.
Tutto quello che doveva essere il Gwen Dibley Show #1
di Christian Raimo, Carlo Marcolin, Giuseppe D’Ottavi
I Monty Python nascono nel 1939, si potrebbe dire. È John Cleese il primo a venire alla luce. Segue a distanza di un anno Terry Gilliam l’americano. Non passano neanche due mesi ed ecco arrivare Graham Chapman. Mentre il primo febbraio del 1942 è la volta di Terry Jones, gallese. Eric Idle e Michael Palin giungono uno a ridosso dell’altro nel 1943, rispettivamente il 29 marzo e il 5 maggio.
I sei si ignoreranno bellamente per i primi trent’anni della loro vita, studieranno materie inutili come medicina e architettura. Fin quando accadrà che una serie di circostanze li farà incontrare così tante volte da non pensare possibile evitare di lavorare insieme.
Palermo (1994-2007)
di Giorgio Vasta
[Sono andato via da Palermo undici anni fa. Ieri a Palermo ci sono state le elezioni comunali. Ha vinto, ancora, Forza Italia. Mentre leggevo la notizia mi è tornato in mente un pezzo – estratto da un altro pezzo più lungo – che avevo scritto circa dieci anni fa, quando da Palermo ero andato via da pochissimo. Il pezzo descrive un episodio accaduto nel 1994 e racconta le macerie quotidiane, e un altro andare via. Mi sembra abbia qualcosa a che fare con quello che è accaduto ieri. gv.]
Ho incontrato Aldo dieci giorni prima della sua morte, di domenica. Per tre giorni consecutivi ci eravamo dati appuntamento e ogni volta avevamo dovuto rimandare. Ogni sera, circa un’ora prima di vederci, Aldo mi telefonava, mi diceva che non se la sentiva di uscire, era molto stanco, si era affaticato al lavoro, preferiva restare a casa, riposare. Si rimandava tutto al giorno dopo. Ne parlavo con Egle, Egle richiamava Aldo, gli chiedeva notizie, parlavano, scherzavano un poco. La domenica sera ci siamo incontrati. Aldo è passato a prendermi e insieme siamo andati a prendere Egle. Era una serata importante.
Livia Candiani, “La porta” (estratti) e una segnalazione
“Tutti abbiamo una porta, non sappiamo cosa c’è dietro”
(Livia Candiani, La porta, la biblioteca di Vivarium 2006)
La porta.
A destra
e a sinistra
solo aria.
Sopra
e sotto
solo aria.
Ma alla porta
si sostava.
Dalla porta
bisognava passare.
Dietro la porta
l’assassino di fuoco.
La porta si apriva
verso l’interno.
La porta era
sbarrata.
Catenacci.
Di ferro.
Cocente.
L’autodafé di un editor
di Edoardo Brugnatelli
[Iannozzi aveva ragione! Ho estorto questa confessione a Brugnatelli, capomafia di Strade Blu, sul vero ruolo dell’editor. Inutile girarci attorno, questa è la vera verissima verità. Ovviamente l’ho editata un po’, tagliuzzando di qua e di là, tanto per farlo soffrire… G.B.]
Ebbene, sì. Non è più possibile tenere nascosto il terribile segreto di cui noi, membri della massoneria degli editors siamo detentori. Il nostro lavoro non è come cerchiamo di farvi credere che sia. Ora vi racconto in realtà come è per davvero.
Letture Indiane/Confini
Sconfinamenti letterari nelle praterie della narrazione.
Lunedì 14.05.2007 presso Arena Bookstock, Fiera del Libro di Torino, ore 12.00
Letture di: Andrea Bajani, Sergio Garufi, Franz Krauspenhaar, Marco Rovelli
Il viaggio della letteratura è quello dell’anima umana che non ha una cittadinanza definita. Se i paesi sono segnati da confini geografici spesso innaturali, la forza di persuasione e di testimonianza della letteratura oltrepassa le frontiere; e negli effetti le abolisce, spiegandosi con un linguaggio che è, nei migliori casi, d’efficacia universale.
Nazione Indiana, in modi tra loro differenti, propone una lettura a più voci da parte di alcuni dei suoi membri sul tema dello sconfinamento, provando a dare attraverso queste letture suggestioni che possano trasformarsi in suggestioni successive, forse ancora più grandi.
Avo
di Domitilla Di Thiene
Avo ha una passione da qualche anno, una cosa che tutti credevano morisse dopo poche settimane e invece oramai è tanto che va avanti e si sono dovuti arrendere.
“Guarda un po’ se ti doveva venire un figlio scienziato” è il modo con cui il padre di mari commenta con sua madre, e avo ne è molto orgoglioso. Il nonno di avo, il padre della madre, era un medico, un ematologo. Avo non lo ha mai conosciuto perché è morto l’anno della sua nascita, ma a casa sono rimasti tutti i suoi libri, in quello che era il suo studio e che ora è la sua camera. Avo li ha presi, prima solo perché vecchi, ingialliti, con il gusto di trovarci dentro qualche appunto personale, o qualcosa conservato tra le pagine. Poi mano a mano si è lasciato incuriosire dai disegni, a china nera, molto dettagliati, alla fine di ogni paragrafo. Ha iniziato dai disegni per la verità. Poi lo ha catturato anche la descrizione, dell’anatomia. I muscoli e le ossa, in particolare. Che ogni singolo centimetro del suo corpo abbia un nome, una funzione, e che sia proprio lì, può guardarla sul libro e ritrovarla all’istante sul corpo. Toccare con mano, la carne.
Quattro giorni per non morire
di Franz Krauspenhaar
E’ in uscita il nuovo romanzo di Marino Magliani, Il collezionista di tempo, per Sironi. Con l’occasione ripropongo la mia breve recensione del suo libro precedente – Quattro giorni per non morire– pubblicata nel numero di Ottobre 2006 del mensile Letture. FK
La copertina e il titolo richiamano le locandine di certi noir francesi anni 60/70; tolto il richiamo cinematografico, questo è un romanzo che sta sul bordo del genere – senza mai per l’appunto veramente entrarci – per certe venature della trama: un uomo gravemente malato torna dal carcere di Regina Coeli – dove da anni sconta una pena per traffici illeciti – nel borgo ligure natio, e laggiù ritrova le sue radici incontrando personaggi che le incarnano. Ha i quattro giorni di permesso accordatogli per organizzare una fuga in Messico dove potrebbe curare una grave malattia contratta un decennio prima.
Nessuno
Poesie di Massimo Rizzante
Telemaco in Islanda
Qui sotto non c’è che Atlantico,
o quanto resta del distacco terrestre rispetto ai limiti del mondo
Dalla parte di Dio, nel frattempo, la solita lezione: nuvole
Solo ciò che fugge muore, pazienza dunque per le isole
In settembre le sterne hanno già nidificato,
e sulla spiaggia di Reykjavik i pensieri si schiudono come uova:
inevitabile attributo qui l’uomo è un intruso,
essendo la sua storia un sostantivo declinabile solo all’accusativo
Nasce “Chiarelettere”

[Da ieri è in libreria il primo libro di Chiarelettere, il nuovo progetto editoriale di Lorenzo Fazio. Il primo titolo è Come resistere nella palude di Italiopoli, di Oliviero Beha. Subito sotto il comunicato che racconta la nascita e gli obiettivi di Chiarelettere, potete leggere la prefazione di Beppe Grillo al libro di Beha.
Per chi fosse a Torino in questi giorni della Fiera del Libro, domenica 13 maggio, in Sala Gialla, alle 20,00, presentazione del progetto Chiarelettere e del libro di Beha. A seguire, alle 22,00, presso Avventura Urbana, in via Baretti 9, festa per la nascita di Chiarelettere.
A Lorenzo Fazio e a tutta la redazione, un grande in bocca al lupo. gv.]
CHIARELETTERE
È un nuovo marchio editoriale diretto da Lorenzo Fazio, già direttore editoriale della Bur Rizzoli (2003-2006) e dirigente della casa editrice Einaudi (1992-2003). Chiarelettere nasce come editore multimediale indipendente (libri, dvd, web) con l’intento di creare uno spazio in cui l’informazione e la cultura possano sottrarsi all’influenza sempre più evidente di partiti, associazioni, gruppi economici e religiosi. Per controllare e stimolare criticamente tutti i poteri, di qualsiasi colore politico. Per raccontare il presente scoprendo nuove energie politiche e sociali.
Chiarelettere è una società a responsabilità limitata, i suoi soci sono: Lorenzo Fazio, Gruppo editoriale Mauri Spagnol (GeMS), Sandro Parenzo, Guido Roberto Vitale.
Persecutori (da)
Sequenze
di
Francesco Forlani

Forse la suggestione di certe figure femminili, eroine travestite da agenti segrete, femmes fatales militari. Le hostess. Un numero infinito. Con uniformi da tagli e colori differenti a seconda delle compagnie aeree o dei paesi di destinazione. Sospese in un corridoio fatto di promesse e miglia da solcare per migliaia, con valichi danzanti tra perturbazioni e vuoti d’aria.


