di Christian Raimo
Uno pensa a Gadda e Pasolini, milanese l’uno e friulano l’altro e tutti e due romani d’assimilazione, che nel Pasticciaccio brutto de via Merulana e in Ragazzi di vita, decidono di utilizzare il romanesco: perché? per la sua carica espressionista, per la sua capacità di verità. Gadda compenetrandolo con l’italiano e partendo dal corpo letterario, le letture del Belli; Pasolini cercando una mimesi incarnata nel parlato delle borgate romane, lì dove sembrava ancora allignare quella civiltà tradizionale in via di prossima estinzione. Due opzioni, che entrambe tendono però a fare dello strumento linguistico del dialetto una scelta etica: e insieme gnoseologica.



