Franz Krauspenhaar intervista Zelda Zeta
Io sono un precario. Se Nanni Moretti rinascesse cinematograficamente oggi forse intitolerebbe così il suo esordio di metà anni settanta Io sono un autarchico. Il precario è una figura sfigurata senza che sia passata dalla carezza mortale del vetriolo, è una figura sfuggente come un personaggio di un quadro di Magritte, visto sempre di spalle; da questa non è una pipa, a questo non è un lavoratore. E allora? Questo è un precario, ecco: serbatoio umano troppo umano di angosce, di speranze, di sentimenti che a ruota d’un lavoro a tempo determinatissimo diventano anch’essi precari. Sul precariato dei cosiddetti call center (e tale esperienza l’ho fatta anch’io in due riprese, per il totale di 16 mesi, alla Doxa) é uscito da poco per Cairo Editore il romanzo Voice Center (pagg.219, euro 14,00) di Zelda Zeta, un nome, una sigla, un logo, che racchiude tre scrittori alla prima prova: Pepa Cerutti, Chiara Mazzotta e Antonio Spinaci. Ho rivolto a loro alcune domande sul libro e sulla loro esperienza, e loro mi hanno risposto con la voce telefonata e le parole di Zelda, quest’entità letteraria che li racchiude armoniosamente insieme.

di Nicolò la Rocca
di Riccardo Ferrazzi